All’inizio era per pochi. Era sottile, pochi
nomi, niente pagine gialle e tutti stavano assieme. Solitamente appartenere al
club degli eletti era indice di condizione economica come minimo accettabile (1).
Poi iniziò una crisi di crescita, durata molti
anni, con una situazione di monopolio che produceva elenchi confrontabili, in
certe città, a enciclopedie in più volumi. Ci si stava dentro tutti,
praticamente tutti, ed era un modo rapido per recuperare l’indirizzo e pochi
altri dati personali di ogni italiano. Sorgevano problemi solo quando si
trattava di trovare una persona che aveva il telefono, in famiglia, ma questo non
era intestato a lei, come ad esempio capitava di solito alle mogli casalinghe.
Quella stagione fu relativamente lunga,
coincise con la fine degli effetti del boom economico, col periodo delle stragi
dei terroristi, con un mutamento nazionale enorme ed iniziò a mostrare vaghi
segni di stanchezza solo con i primi telefoni cellulari. Poco a poco crebbero
le persone raggiungibili anche in modi alternativi al vecchio telefono fisso, cioè
con altri numeri non in elenco. Il libro però meritava ancora rispetto e rimaneva
di notevole spessore.
Poi la caduta libera. Alcuni scelsero di
abbandonare la rete fissa, il prezzo dei cellulari e dei relativi contratti
divenne sempre più popolare ed ora, a guardare un elenco telefonico viene la
tristezza. Sembra di essere tra i sopravvissuti dell’affondamento del Titanic,
ancora tenuti a galla dalle poche scialuppe di salvataggio. L’oggi tutti lo
vedono, ed è quest’attività frenetica di rinnovamento sempre più veloce, è la
riduzione quasi a semplice inserto del vecchio e caro elenco del telefono, è un
superare un mondo per andare verso un altro. In effetti sono ottimista. Siamo già
nell’altro mondo, ed io sono obsoleto come un antico reperto nuragico (2).
Oggi sono entrato nel negozio di un
operatore telefonico, due davanti da me avevano una pratica infinita, ma ho
aspettato un buon quarto d’ora. Poi è entrata una donna. Tutta tranquilla, dopo
pochi minuti ha chiesto un’informazione, ed io ho fatto notare che stavo
aspettando da tempo il mio turno. Breve spiegazione dell’unico responsabile e
nuova attesa. Poi è lui a dirmi che ci sono due minuti liberi, e che se
voglio dirgli… Io ci provo, ovviamente. Gli mostro il mio cellulare ottimo ma
datato, e lui: “Mi spiace, ma quello non usa l’UMTS…i nostri prodotti sono solo
per l’UMTS…”. Bene. Ho espresso il concetto. Nulla da aggiungere.
La difficoltà di capire, l’entusiasmo per un
nuovo amore, la tristezza per ciò che si è perso, la necessità di trovare una
via, e di crederci, il desiderio di tornare, sempre e comunque, all’inizio…
Parto dall’inizio, perché sono in difficoltà.
Non so capire ogni cosa, e se mi sforzo di superare una grossa ignoranza ben
sedimentata poi ne trovo altre tre al posto di quella. Ma che tragedia… È una
gara persa in partenza, alla quale devo partecipare, ma è ammessa solo la
partecipazione. Non so se qualcuno ha mai vinto in questa specialità. Ho visto
solo moltissimi che la sanno raccontare molto meglio di me, altri che pensano
di aver capito, e ne vanno tutti orgogliosi, ed altri ancora che mentono in
modo spudorato avendo in testa solo un loro fine nascosto, un loro interesse
poco confessabile, e si sa che pensano ai soldi, al sesso (vabbè, a quello ci
si pensa tutti, no?), al potere. I pochi che si salvano (non pochi, a dire il
vero, ma neppure tanti) sono quelli che esprimono una loro opinione, la
spiegano, non la impongono a nessuno e, anzi, a volte cambiano pure idea,
ammettendo di non aver capito. Che pirla, vero?
E poi un nuovo amore, sempre, in ogni istante,
anche se fosse l’ultimo, come se fosse l’ultimo amore della vita. Ma occorre
che sia nuovo, è essenziale. Serve a dare stimoli, a non accontentarsi, a
puntare un po’ più in alto, o a scegliere meglio, adattandosi alla realtà che
resta quella (mica si adatta lei!). Può essere lo stesso, sempre quello, ma da
vivere con l’entusiasmo del primo giorno, nell’attesa del possibile,
apprezzando com’è mutato, nel tempo, e ritrovarlo, diverso e uguale. Avrai
capito che non parlo esclusivamente di una persona, anche se quella resta
fondamentale, perché le persone lo sono, quelle poche lo sono. La scoperta e il
desiderio di scoprire, o di ritrovare (suo rovescio alternativo) sono un diesel
che si mette in moto e non si ferma più. Bisogna partire in quarta anche se si è in
salita, e crederci…come i bambini credono e costringono i grandi a realizzare, perché
anche loro vorrebbero crederci, lo vorrebbero, certo che lo vorrebbero… non
sono tanto stupidi da pensare veramente quello che dicono. Un nuovo amore ogni
giorno…
Ma non voglio diventare triste, ora, non
vorrei, anche se non posso farci nulla. Ho perso troppe persone, troppe cose,
sparite per sempre, e mi mancano da morire, come posso non essere così? Se mi giro ti rivedo, lo so, è solo perché non
ti guardo, vero? E poi sono io quello? Ma com’ero stupido, eppure no, mi
piacevo persino. Erano gli altri che ora mi mancano, quelle parole, quei posti,
anche quelle ferite. Ma non è un libro, la vita non è un libro. Non posso
tornare a pagina 25… poi andare alla 173…saltare tutta la parte dalla 34 alla
41. E tornare alla 173, ancora… Niente da fare, così divento triste.
Ognuno ha la propria, forse segnata. Per alcuni
è facile, sicuramente più di quella di tanti comuni mortali, ma tutti hanno una
propria strada. È che non sempre è facile da individuare, e sembra che le
possibilità siano veramente tante, che sia difficile scegliere, mentre a volte
è la strada che sceglie noi, e c’è ben poco da fare. Poi, una volta che inizi,
immagina di essere su una bici senza freni buoni, in discesa… Devi andare, anche
col rischio di sbattere, di cadere e farti male sul serio. Importante è
crederci. Arrivare per caso, magari, ma capire che era la scelta giusta. Dopo il
più è fatto.
Infine la nostalgia, quella che non controlli
neppure vincendo ogni sfida. Tu vai altrove, perché ti sembra che sia la cosa
migliore, e poi vorresti tornare, lo sai che vorresti, non lo dici ma vorresti.
Fare i duri incanta gli allocchi, ma tu non riesci ad incantarti se hai dato le
carte e sai come le hai sistemate prima di darle. Vorresti tornare, dove tutto
ebbe inizio, dove eri tu, dove ti cerchi, dove il cuore ti ha legato per
sempre. E tornerai, alla fine di tutto, in qualche modo, tornerai, sempre e
comunque, troverai la strada, troveremo tutti la strada, perché bisogna pur
vivere.
Vivere
Oggi che
magnifica giornataaa
che giornata di felicità (e così ?)
la mia bella, la mia bella, la mia bella se n'è andata
m'ha
lasciato alfine in libertà
Son padrone ancor della mia vita, (bella…)
son padrone ancor della mia vita (ecco…)
e goder la voglio sempre più:
ella m'ha giurato nel partir
che non sarebbe ritornata, ritornata...ritornata... ritornata... Vivereee sensa malinconiaaa
e vivereee sensa più gelosiaaa
sensa rimpianti, sensa mai più
conoscere cos'è l'amore
cogliere il più bel fiore
goder la vita e far tacere il cuore
e ridere sempre così giocondo
ridere delle follie del mondooo
e ridere finché c'è gioventù
perché la vita è bella
e la voglio vivere sensa tu.
Spesso la commedia dell'amore ecco
la tua donna recitar ti fa,
tu diventi allora primo attore
e ripeti quel che tu vorrai.
Sul terz’atto scende giù la tela ohoo
e finalmente torna la realtà ..sì
e la sua commedia dell'amore
in una farsa transformata....trasformata trasforme lo so…sarà.
Vivere (c’è il banjo) senza malinconia (c'è il banjo)
vivere...(c'è il banjo!!)
sensa rimpianti, sensa mai più
conoscere cos'è l'amore...
E ridere sempre così giocondo
e ridere delle follie del mondooo
e vivere finchè c'è gioventù
perché la vita è bella
e la voglio vivere sensa tu
vivere finché c'è gioventùùù
perché la vita è bella
e la voglio vivere senza tuuuuuu...
adesso…
Vivere!...spesso la commedia dell'amore,
spesso la commedia dell'amore...
Basta, basta !!
a contarli non ci si crede.
i grandi attori morti negli ultimi anni mi fanno sperare che al
traguardo ci si arrivi veramente tutti, e che il sollievo di abbandonare
questa forma terrena al termine di un certo numero di repliche, non sia
riservato soltanto ad alcuni, ma anche ai guitti.
rimangono, ad allietarci le serate di fiction, figli poco talentuosi di
doppiatori asini raccomandati a loro volta dal genitore, che recitano in
teatro con il microfono e non sanno perché si trovano lì, nemmeno più
buoni a battere le finali.
questa è l’unica ragione per essere tristi a una notizia così.
perché bisognerebbe applaudirlo anche oggi, Paolo Poli, tutti quanti,
per la condotta irreprensibile e i suoi “modi”, che lo hanno
accompagnato, elegante come sempre, alla morte dei giusti. (continua a leggere...)
Erano gli anni settanta, i primi anni settanta.
Lui venne al Teatro Comunale di Ferrara, quando ancora non era stato intitolato
a Claudio Abbado. Venne con uno spettacolo allegro, irriverente ed ironico. Si sentiva
che recitava in modo naturale e che gli piaceva farlo. Anche le uscite
apparentemente non programmate facevano parte dello spettacolo. Ne erano forse
l’aspetto più emozionante.
Ero convinto, allora, che mi bastasse battere
le mani in modo determinato per farmi seguire prima dagli amici, e poi dall’intero
pubblico del teatro, e a quel punto obbligare chi stava dietro al sipario ormai
chiuso a farlo riaprire, per ottenere un altro saluto, un altro inchino, e prolungare
un piacere.
Ero convinto che l’entusiasmo non si potesse
controllare, che fosse stupido tentare di farlo, e che se si rischiava di
passare per stupidi allora la perfezione era a portata di mano. Applaudire ha un
significato profondo di condivisione e di complicità. È in grado di annullare le
distanze, di rendere i mostri sacri semplici esseri umani che possono mostrarsi
per quello che sono.
Non mi riusciva molte volte di poter realizzare
questa magia, ma a volte sì, ed era il mio attimo di gloria, quasi sempre in
incognito perché difficilmente si capiva chi insisteva ad applaudire da solo,
poi magari seguito da altri, e, se capitava, da tutti.
Con Paolo però non mi riuscì la magia. Il
sipario, alla fine dello spettacolo si aprì una sola volta, e non per merito
mio. Si ripresentò la compagnia, fece un inchino, poi tutti alzarono le mani unite
verso l’alto, e la pesante stoffa rossa si richiuse. Tentai un applauso, pochi
mi seguirono, poi non so cosa avvenne, è passato tanto tempo. Lui aveva
evidentemente previsto la situazione. Uscì da solo, scostando il sipario, illuminato
da un unico faro, e recitò una lunghissima filastrocca elegante e piena di
doppi sensi, con personaggi delle favole che si adattavano alla sua mimica,
alla sua voce in falsetto, e infine ci salutò, scomparendo di nuovo. Non lo vidi
più a teatro, e pensavo che un giorno, prima o poi, forse, mi sarebbe successo ancora.
Da poco so che non succederà più.