Dove sei che nel pomeriggio non sei venuto? Eppure
non sono lontana. Poco fa guardavi nella mia direzione, so che mi pensavi. Ed io
ho voluto passare in quel momento in strada, con la mia 600. So che mi hai
vista. È il nostro modo di parlare a distanza. Sarà poco, ma è quasi tutto ciò
che ci resta. Che poi non è vero, resta un universo, che rimane nostro, solo
nostro. In fondo è pure giusto che tu pensi a cose diverse, che faccia altro. Vorrei
che tu potessi viaggiare, scoprire mondi e persone, andare dove non siamo mai
stati oppure a rivedere i luoghi dove siamo stati bene, alle sole condizioni
che non siano cambiati troppo in peggio e che poi non ti facciano star male.
Il male è inutile, odioso, doloroso, ed
inevitabile. Però si può tentare di ridurlo, un po’ esorcizzarlo.
Piangere non serve a nulla, meglio sorridere.
Se qualche cosa ho provato in tanti anni a
farti entrare nella tua testa dura è quello di prenderla in modo diverso. Mio padre
lo ripeteva, lo sai. Nessuno ne esce vivo.
Che poi, devo dirtelo? Un po’ pensavo a dove sono ora, e mi capitava da tempo. Immaginavo che sarei arrivata qui, e ne avevo paura,
molta. Non conoscevo prima il punto preciso, quello no, ma il resto lo
immaginavo, con terrore e tentando di rimuoverlo o di non farti capire dove
stava navigando la mia testa. Ora che ci sono mi sembra un posto come tutti gli
altri. Simile al letto di una stanza in corsia di ospedale, ad una piazzola in
campeggio, al posto auto noleggiato a lungo sotto casa…
Tu invece ora pensi di aver previsto tutto,
di esserti assicurato per il futuro e sapere come finirà. Non aver fretta,
tanto adesso è inutile. E, dopo, la fretta avrà perso ogni significato.
E poi, per dirla tutta, non serve che tu
venga sempre. Però serve a te, e allora continua, se vuoi, ma prendila in
modo diverso, come una breve passeggiata prima di fare altro.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun
problema se si cita la fonte, grazie)
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