Sogno di una notte di mezzo inverno, di mezza
estate, di mezzo non so cosa. Ma sogno è e rimane, un sogno, che richiama alla
realtà e sicuramente vorrebbe che questa realtà quotidiana venisse modificata. Non
ho mai capito perché si sogna e perché si ricordino solo alcuni sogni e non altri.
Poi, al mattino, riflettendoci e parlandone con chi sa di me, sa più di altri e
si interessa, intuisco qualche cosa. Ma rimane una spiegazione parziale,
incompleta, non del tutto soddisfacente, come non è mai soddisfacente il
richiamo a ciò che si è perduto ed il sogno, da solo, non è in grado di
restituire. Ben altro mi servirebbe, del resto. Ma pare che questo non esista,
ancora, o non per tutti, non per me almeno.
Per un periodo non breve ti ho accompagnata
in giro per ospedali. Per un periodo non breve hai saputo trattenere per te le
tue paure, e non le hai confessate neppure agli amici, o solo in parte. Mascheravi
tutto sotto una maschera di ottimismo che non era mai rimozione ma enorme
rispetto per gli altri. Solo verso la fine non sapevi più mentire perché la sforzo
sarebbe stato impossibile da sostenere, disumano, e quindi spesso preferivi
tacere.
Eppure hai difeso sino all’impossibile la
dignità, ed hai ceduto alle debolezze umane trattandole per quello che sono. Debolezze
e basta, da accettare perché sono naturali. Mi assumo la responsabilità di dire
e non dire. Di mantenere il ricordo e di permettere l’oblio. Di nascondere e di
mostrare quello che io scelgo. Non ho obblighi nei confronti di nessuno in
questo caso, solo nei tuoi, e in questo mi sento vincolato. Sarei libero di
spostare ogni cosa ma lo faccio con estrema cautela. Mi dicono di prendermi i
miei tempi, ed io mi adeguo anche ai tuoi, quelli che ti sono stati rubati. Temo
di ferirmi trovando ciò che non sapevo esistere.
Poi capita che io parli di un certo tema, la
sera. Capita che per eseguire un rammendo invisibile
(sic) su un lenzuolo quasi nuovo strappato vicino ad un bordo io sposti la
scatola con le spolette e gli aghi, e trovi un diario con poche pagine e tue
parole confessate a te sola, ma lasciate perché poi, forse, tu potessi
continuare a scrivere. Capita che io prenda sonno volutamente senza leggere
nulla prima di spegnere la luce, e che la mente così navighi liberamente per
cercare ricordi. In tal modo io confondo assenza e presenza ed inizio ad
assopirmi. E così capita che io sogni e sia sveglio, e mescoli la realtà con
quello che non esiste, o non esiste più.
E tu resti nascosta, non ti mostri mai in
alcun modo, resti sottintesa, motore immobile e senziente, sorridente quasi. Mi
fai tornare a questioni pratiche, organizzative. Mi fai pensare ad orari di
treni e autobus, a come arrivare a prenderti per riportarti a casa perdendomi
in piccoli problemi che so affrontare senza difficoltà perché da sempre fanno
parte della mia forma mentale.
Ok, parto verso le 17, arrivo in città e poi vengo a piedi dove ho parcheggiato
l’auto, poi mi organizzo con le tue borse, e poi…
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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