Il titolo che ho scelto, attento e rispettoso,
non tragga in inganno nessuno.
Tu mi stavi prendendo per il culo. Sorridevi in
un modo indefinibile, misterioso, enigmatico, per quasi tutti. Anche io ci sono
cascato per un po’, durante le prime ore di dolore assurdo, in apnea, guidato
solo dall’istinto.
Dopo averti composta, come sentivo di dover fare
senza averlo mai fatto prima con nessuno, nei primi minuti che hanno seguito la
tua morte, ho fatto le cose che sentivo giuste, e non sapevo se lo erano. Mi hai
beffato andandotene nei minuti nei quali, appena alzato stavo in bagno, in
giro, fuori dalla stanza. Mi hai rubato, anche per colpa mia forse, gli ultimi
istanti. Poi hai assunto uno sguardo rilassato, difficile da definire,
leggermente sorridente, un po’ come chi finalmente si è tolto da una situazione
sempre più difficile.
Hai iniziato a prendermi per il culo, a modo tuo,
senza farlo parere, senza offendere, solo per aiutarmi a intuire. Prendermi in
giro era il modo migliore che usavi per farmi capire quali idiozie io stessi
pensando o dicendo. Il metodo lo avevamo affinato assieme in anni di
perfezionamenti ed aggiustamenti, e tu lo applicavi in modo magistrale.
Ma perché, poi? Perché sentivi questo bisogno? Io
ti ho trattenuta giorni, forse esagerando, in quella bara coperta solo da una
lastra di vetro. Tu eri andata via da tempo, ma io ti volevo qui ancora. E tu
che mi prendevi per il culo, in modo sempre più evidente. Se mi capitava di
farlo notare tutti mi guardavano interrogativi. O mentivano oppure solo
io lo capivo. Se venivo a trovarti, e mi avvicinavo al vetro che tutto l’annacquavo, mi chiedevo perché,
nell’ingorgo di sentimenti neri e di impegni che tentavo di gestire con la
testa.
Poi, molto tempo dopo, non so come, ho iniziato a
capire. Non era una vera presa in giro. Tu non lo avresti mai fatto in quel
modo o con quell’intenzione. No. Era altro. Era prima di tutto la tristezza che
mascheravi con quella smorfia fintamente allegra. Ma poi, innegabile, una certa
aria di sfida, come a dire: ed ora vediamo che succede.
Già, è quello che inizio solo ora a capire. Cosa
succederà senza il tuo consiglio o la tua arrabbiatura? Sarà molto meglio per
me girare in bicicletta a Ferrara da solo, senza doverti aspettare ad ogni
incrocio? Oppure tornare la sera e non vedere la stanza dove stavi di solito
con le luci accese? No, quest’ultima frase è sbagliata. Era una mia paura
preventiva, era un terrore che volevo rimuovere ma anticipavo con la fantasia. Questa
non era una cosa tua.
Il tuo sorriso si riferiva, senza cattiveria, al
fatto che tu molte critiche me le esprimevi da tempo su quasi tutti i temi sui quali
discutevamo, ed ora eri pienamente consapevole che su moltissime le tue
conclusioni io avrei dovuto abbassare la testa e venire a più miti consigli,
senza neppure la soddisfazione di pretendere di aver ragione nei rari casi in
cui questo fosse avvenuto.
Accetterò anche questa presa per il culo, e
vincere ora mi interessa poco o nulla. Da tempo ormai il tuo sorriso un po’ beffardo
si è dissolto, ma non lo scordo. Non ho bisogno di alcuna immagine per ricordarlo.
Capisco, ora, su quel tuo viso, la difficoltà del vivere che in parte ignoravo.
Ora so che sulle mie spalle ho un peso che prima non avevo.
Ed ho preso una decisione. Accetto la sfida. Non so
chi sorriderà per ultimo.
Silvano
C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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