In questa mescolanza confusa ed apparentemente indistinguibile
di messaggi individuali che arrivano a chi frequenta i social una certa
percentuale è occupata sicuramente da richieste di aiuto mascherate, se non
decisamente esplicite.
Escludendo chi usa questi mezzi per lavoro, per
pubblicizzare un prodotto (che può essere anche sé stesso, ovviamente), chi lo
fa per semplice esibizionismo e per poter dire di esserci, chi lo utilizza per
scopi umanitari o, udite udite, per dare informazioni (vere, controllate o non
di rado bufale, cadendo quindi nella tipologia del sostenitore di una certa
idea, costi quel, che costi, anche la menzogna), rimangono le tantissime persone
comuni, come tutti noi, ben mimetizzate, che lanciano messaggi diversi.
Le richieste di aiuto sono tra queste. Non ho
alcun dato statistico al riguardo, ma azzardo almeno un 10%, anche se penso
molto di più. Chi ha la giusta sensibilità li coglie alla prima lettura, già
dall’incipit. Occorre avere le antenne puntate, poi non ne scappa uno, o pochi.
E in questi casi, quando cioè ci si rende conto
della situazione, cosa bisognerebbe fare? Poiché nessuno può aiutare tutti,
molti di questi appelli cadono nel vuoto, perché è naturale e giusto che così
avvenga. Negli altri casi si pone il problema, molto serio. Far finta di nulla?
Spesso funziona. Chiedere spiegazioni? Si può fare, a condizione però di essere
disponibili a mettersi in gioco. E dopo? E dopo non lo so. A volte basta dire
la parola giusta, altre volte non basta, ed occorre lasciarsi coinvolgere
ancora di più.
Nella solitudine mascherata dei social, dove a
parole tutti hanno trovato il segreto della felicità ma stanno sempre lì, a
spiegarlo, perché evidentemente tanto immediato non è, il dolore è una sorta di
allagamento che tocca solo la cantina, tenuto quasi sempre sotto controllo, fa
qualche piccolo danno a cose vecchie, ma il nostro salotto buono è sempre
presentabile, luminoso e molto ben frequentato.
Quando ci mancherà improvvisamente la connessione
saremo nudi, senza rete di protezione, l’acqua dalla cantina inizierà a salire
a pianterreno, ci sentiremo un po’ isolati, capiremo che la vita scorre anche
fuori, che le identità virtuali sono, appunto, virtuali, e che poche le possiamo
immaginare trasformabili in reali. Auguri, a ciascuno di noi, di non aver mai
bisogno di nulla, né virtualmente né realmente. Sarebbe un risveglio
fastidioso.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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