Periscope prima di Twitter |
Non è che lo rifiuti a priori, per nulla. Anzi, mi affascina
pure, mi attira, ma allo stesso tempo non posso evitarmi di valutare cosa perdo
e cosa guadagno ogni volta che qualche cosa muta, attorno a me.
Proprio ieri gettavo un vecchio elenco telefonico del 2008,
e lo confrontavo con uno recente, oggi in uso. Quello era un volume
enciclopedico, questo un sobrio volumetto spesso esattamente la metà, con metà
pagine e, desumo, esattamente la metà dei numeri di telefoni fissi. Tutto ciò è
avvenuto in una manciata di anni.
Io mi intestardisco a scrivere, su questo blog, e non
rinuncio ad una postazione fissa, classica, “da ufficio”, e non sento alcun
bisogno, sino ad ora almeno, di modificare le mie abitudini. Il telefono
cellulare lo uso esclusivamente per telefonare o per mandare brevi messaggi. Un
uso diverso, che pure ho saggiato in un recente passato, senza arrivare a tutte
le opportunità che offrono oggi i modelli di ultima generazione, è stata una
parentesi eccezionale che giudico ormai chiusa, e non intendo ripetere. È
servita a farmi capire cosa non mi interessa della rete.
Ci tengo molto alla mia privacy, anche se la faccenda è
sempre più illusoria. Devo oggettivamente dare a chi ha contatti con me alcune
indicazioni, spiegazioni, anche una semplice immagine del viso, ad esempio, o
il nome. È un fatto di correttezza minima, che cerco di rispettare sui social,
ma oltre vorrei non essere costretto ad arrivare.
E poi capitano fatti nuovi, arrivano segnali di vario
genere, muta la geografia del comunicare, esattamente sotto i miei piedi.
Ad esempio sono riconosciuto da una persona incuriosita
dalla mia costante presenza su un social a supporto promozionale di un museo
importante. Ecco che non sono anonimo, mi dico. Anche una semplice foto in bianco
e nero è sufficiente a far capire, a chi è interessato a scoprire chi sono, quanto basta per
individuarmi. L’incontro, tra le altre cose, mi ha pure fatto piacere, sia
detto per chiarire.
Leggo poi indicazioni e consigli su come pubblicizzarsi,
sulle modalità per fare di se stessi una marca (un brand), un qualche cosa di
commercialmente riconoscibile, per raggiungere più facilmente potenziali
clienti. Mi dico, sulle prime, che non è il mio caso. Io che debbo mai vendere?
Ma mi sbaglio, evidentemente. Noi siamo il prodotto, ormai è chiaro. La
pubblicità ci sfrutta, i nostri contatti e quindi noi stessi abbiamo un peso (importanza)
per chi ci ospita apparentemente gratis.
E allo stesso modo le mie finalità, che sono esclusivamente quelle di
comunicare, o di essere letto in quanto scrivo, se non altro per foraggiare la
mia vanagloria, devono rincorrere le nuove opportunità, anche se più invasive.
Del resto non posso pensare di scrivere ancora con pennino,
cannuccia e calamaio, mi sono adeguato col passare degli anni. Ho quasi disimparato
a scrivere con la penna del resto. Quindi non si può dire che non capisca
quando è il tempo di passare ad altre modalità di interazione. Ricordo con
nostalgia la mia casalinga camera oscura, ma ora la mia fotografia è digitale.
Sentire che i blog ed i link hanno il tempo contato un po’
mi destabilizza. Ma ancora mi illudo sia solo un fatto commerciale. Poi però il
ragionamento si sposta ai mezzi, cioè all’hardware ed al corrispondente
software, che potrà leggere i vari supporti (senza poter più fare una
distinzione netta tra queste due realtà). Ed allora capisco che, se intendo
farmi leggere in futuro, dovrò necessariamente adeguarmi.
Sono rimasto molto colpito da un’amica che recentemente ha
abbandonato un paio di social, forse provvisoriamente, perché ha capito che non
l’aiutano a farsi pubblicare e che, allo stesso tempo, la mettono in una
situazione di dipendenza. Impossibile non tenerne conto.
Come è impossibile non tener presente la nuova app di
Twitter che permette di mettere in rete, in diretta, video di ogni genere,
spaziando in campi dove per ora solo la fantasia era arrivata, con un livello
di invadenza nel privato mai raggiunta prima. Se questa opportunità coinvolgerà
anche persone del tutto casualmente, solo perché di passaggio, toccando un
tasto molto critico sul diritto di immagine di cittadini comuni e non
personalità pubbliche, io non so che sviluppi potrà avere.
E poi Google plus, invadente il giusto, che ti collega
direttamente col tuo amministratore di condominio, il collega col quale non
vuoi spartire i tuoi pensieri, conosce tutto di te e lo sbandiera ai quattro
venti, senza possibilità di impedirlo. E infine scoprire che dentro ci sono già
persone che non sospettavi. Ecco, non credo di essere pronto per questo
mutamento. Sono passato senza troppa fatica attraverso le lusinghe della
nuvola, armandomi di memorie di mia proprietà, e conservando tutto il mio
lavoro, passato e presente, anche in supporti non in rete. Amo controllare
quanto mi riguarda. Non so come finirà con queste ultime sfide. A qualcuna
immagino dovrò cedere.
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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