Rien ne va plus, les jeux sont faits
La pallina corre e ogni giocatore
la osserva. Vedo atteggiamenti tra il controllato, il nervoso e il distaccato
solo di facciata. Noto l’impercettibile sudore alla fronte o intuisco quello al
palmo delle mani, come immagino movimenti propiziatori o rituali segreti, ed
avverto il pensiero sospeso.
La croupier è professionale, non tradisce
emozioni e non sembra interessata a chi vincerà o perderà. È pronta a prendere
e a dare, ma non è lei a decidere. Sa che il banco alla lunga vince sempre ma che
intanto può concedere gloria passeggera al fortunato di turno.
Io cerco di non giocare per un po’, ed
osservo. So di non potermi sottrarre a lungo ma intanto non sono obbligato a
rispettare nessuna regola ferrea. La sola certezza che ho è che perderò l’ultima
puntata ma per ora non so quando metterò sul tavolo quei gettoni, o chi li
giocherà al mio posto.
Ho già perso molto e sono un po’ invidioso
per chi ancora sembra possedere la maggior parte del suo capitale. Ora non mi
fido molto della pallina, mi sembra traditrice più del solito. Ed aspetto.
La croupier osserva tutti in silenzio, quindi
guarda pure me. Io non riesco a intercettare il suo sguardo, ma devo ammettere
che non saprei sostenerlo. In realtà mi spaventa. So che lei non decide e non
ha meriti o colpe, ma ha un potere che mi sfugge, che mi terrorizza. Come potrei
farmela amica, avere un po’ della sua attenzione e venir trattato da lei con
maggiore indulgenza per le mie debolezze?
Giocare è un vizio, lo so, ma devo giocare. Tu
non giudicarmi con quegli occhi di ghiaccio, abbi pietà di me. Quando riprenderò
a giocare fammi vincere o perdere ma trattami con umanità, con pietà. Cerca di
capirmi, non infierire. Io non potrei difendermi.
Silvano C.©
(La
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grazie)