martedì 10 dicembre 2013

Il ragazzo della via Gluck


Alcune canzoni sono destinate a rimanere nella memoria di una generazione perché colgono un cambiamento, un sentimento condiviso, e all’inizio magari non sembrano colpire nel segno, vengono sottovalutate. Quando Celentano canta a Sanremo 1966 “Il ragazzo della via Gluck” viene subito eliminato, non piace a chi la giudica in quelle prime ore.
Il resto fa parte della storia della canzone italiana, e se sei curioso o non sai cosa è successo in Italia in quegli anni allora ti conviene andare a leggere di quel periodo per capire come mai oggi viviamo la situazione attuale. Negli anni ‘60 io colloco le radici, nel bene e nel male, di quello che oggi si legge sui giornali e in rete, o si vede in televisione e nelle strade.
Ma poiché non sono un commentatore politico né un sociologo io me la cavo raccontando una storia.

Un ragazzo viveva in paese (e questo l’ho già raccontato in piccole storie di Ferrara nel maggio scorso) dove iniziava ad affacciarsi al mondo delle scoperte destinate a durare nella vita, aveva un cerchio di amici, come era normale a quell’età, e cominciava a sentirsi più libero ed indipendente. Nelle giornate di nebbia, che si protraevano da ottobre a marzo, passeggiare nelle vie del paese ancora con pochissime auto in giro era perfetto per fare le prove di fumo. Cioè, nella nebbia, era facilissimo fumare le prime sigarette senza timore di venir scoperti, visto che non ci si vedeva oltre pochi passi, e pure pedalare in  bicicletta era rischioso, vista la scarsa illuminazione pubblica.
Ora a ripensarci sembra tutto magico, ma non lo era per nulla. Un po’ come chi ha vissuto la guerra e rimpiange quel tempo di grandi amicizie, in realtà pensando ai suoi anni giovanili, che sono rimasti aggrovigliati ad eventi più grandi della sua vita.
Cambiare in quel periodo significava tutto per il ragazzo, significava crollare o costruire, e traslocare è sempre un mutamento che segna, anche in condizioni ottimali. Per farla breve la famiglia decise che era arrivato il momento del grande passo, che occorreva una casa moderna, con i termosifoni, il bagno in casa riscaldato, magari rinunciando al piccolo pezzetto di orto, o ai polli, alla campagna. Una piccola rinuncia per un grande miglioramento insomma.
Quando venne il giorno preannunciato da mesi il ragazzo si illuse di poter gestire facilmente tutto questo, ma si sbagliava, e di molto.
Pochi chilometri separavano il nuovo appartamento condominiale in un palazzone popolare dalla vecchia casa di paese, fredda in inverno, mal sistemata, ma dentro un mondo conosciuto.
La città era bella, nulla da dire, ma la solitudine assolutamente insopportabile. Come la famiglia di quel ragazzo quasi metà Italia si stava inurbando negli anni ‘60, con migrazioni entro i confini nazionali che superavano di molto, in distanza, i pochi chilometri che aveva dovuto accettare lui. Un mondo rurale, legato a valori secolari stava finendo, arrivava la prima plastica, si diffondevano le prime utilitarie, e Celentano coglieva quel mutamento in modo perfetto, con le parole adatte, con una ballata che quel ragazzo imparò a memoria facilmente, e ancora oggi, quando sente le prime battute musicali di quel pezzo, avverte un richiamo, e si ferma, un attimo.

                                                                          Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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