Alcune canzoni sono destinate a rimanere nella memoria di
una generazione perché colgono un cambiamento, un sentimento condiviso, e
all’inizio magari non sembrano colpire nel segno, vengono sottovalutate. Quando
Celentano canta a Sanremo 1966 “Il ragazzo della via Gluck” viene subito
eliminato, non piace a chi la giudica in quelle prime ore.
Il resto fa parte della storia della canzone italiana, e se
sei curioso o non sai cosa è successo in Italia in quegli anni allora ti
conviene andare a leggere di quel periodo per capire come mai oggi viviamo la
situazione attuale. Negli anni ‘60 io colloco le radici, nel bene e nel male,
di quello che oggi si legge sui giornali e in rete, o si vede in televisione e
nelle strade.
Ma poiché non sono un commentatore politico né un sociologo
io me la cavo raccontando una storia.
Un ragazzo viveva in paese (e questo l’ho già raccontato in
piccole storie di Ferrara nel maggio scorso) dove iniziava ad affacciarsi al
mondo delle scoperte destinate a durare nella vita, aveva un cerchio di amici,
come era normale a quell’età, e cominciava a sentirsi più libero ed
indipendente. Nelle giornate di nebbia, che si protraevano da ottobre a marzo,
passeggiare nelle vie del paese ancora con pochissime auto in giro era perfetto
per fare le prove di fumo. Cioè, nella nebbia, era facilissimo fumare le prime
sigarette senza timore di venir scoperti, visto che non ci si vedeva oltre
pochi passi, e pure pedalare in
bicicletta era rischioso, vista la scarsa illuminazione pubblica.
Ora a ripensarci sembra tutto magico, ma non lo era per
nulla. Un po’ come chi ha vissuto la guerra e rimpiange quel tempo di grandi
amicizie, in realtà pensando ai suoi anni giovanili, che sono rimasti
aggrovigliati ad eventi più grandi della sua vita.
Cambiare in quel periodo significava tutto per il ragazzo,
significava crollare o costruire, e traslocare è sempre un mutamento che segna,
anche in condizioni ottimali. Per farla breve la famiglia decise che era
arrivato il momento del grande passo, che occorreva una casa moderna, con i
termosifoni, il bagno in casa riscaldato, magari rinunciando al piccolo
pezzetto di orto, o ai polli, alla campagna. Una piccola rinuncia per un grande
miglioramento insomma.
Quando venne il giorno preannunciato da mesi il ragazzo si
illuse di poter gestire facilmente tutto questo, ma si sbagliava, e di molto.
Pochi chilometri separavano il nuovo appartamento
condominiale in un palazzone popolare dalla vecchia casa di paese, fredda in
inverno, mal sistemata, ma dentro un mondo conosciuto.
La città era bella, nulla da dire, ma la solitudine
assolutamente insopportabile. Come la famiglia di quel ragazzo quasi metà
Italia si stava inurbando negli anni ‘60, con migrazioni entro i confini
nazionali che superavano di molto, in distanza, i pochi chilometri che aveva
dovuto accettare lui. Un mondo rurale, legato a valori secolari stava finendo,
arrivava la prima plastica, si diffondevano le prime utilitarie, e Celentano
coglieva quel mutamento in modo perfetto, con le parole adatte, con una ballata
che quel ragazzo imparò a memoria facilmente, e ancora oggi, quando sente le
prime battute musicali di quel pezzo, avverte un richiamo, e si ferma, un
attimo.
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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