Ercole I d’Este |
Occorre aspettare il 1492 ed i grandi mutamenti epocali per
vedere il signore di Ferrara, Ercole I d’Este, accogliere in città gli esuli ebrei cacciati dalla
cattolicissima Spagna, come testimonia una epigrafe posta in via Vittoria.
Epigrafe in via Vittoria |
Ercole I aveva un sogno, come si direbbe
oggi, e lo realizzò con la forza della quale ormai gli Estensi erano in grado
di disporre, su molti piani. Fu lui a rendere Ferrara la prima città moderna d’Europa, che fu moderna, a mio parere, non solo dal punto di vista urbanistico,
grazie al genio dell’architetto di corte Biagio Rossetti, ma anche per
l’accoglienza e l’apertura verso le altre culture.
La Ferrara estense quindi non era antisemita.
Con la ripresa di possesso del ducato da parte dello Stato Pontificio, nel 1597, le cose mutarono, e già nel 1964 venne istituito il ghetto, una divisione tangibile tra cristiani ed ebrei, non più accettati, questi ultimi, al pari degli altri abitanti la città. Il potere non era più nelle mani ferraresi, ma di Roma. Il ghetto venne riaperto durante la parentesi napoleonica, poi richiuso sino all’unità d’Italia. Passarono quindi secoli di segregazione durante i quali gli ebrei riuscirono comunque a mantenere la loro fede, a produrre cultura, ad esempio con personalità come Isacco Lampronti, sino ad arrivare alla prima guerra mondiale.
La Ferrara estense quindi non era antisemita.
Con la ripresa di possesso del ducato da parte dello Stato Pontificio, nel 1597, le cose mutarono, e già nel 1964 venne istituito il ghetto, una divisione tangibile tra cristiani ed ebrei, non più accettati, questi ultimi, al pari degli altri abitanti la città. Il potere non era più nelle mani ferraresi, ma di Roma. Il ghetto venne riaperto durante la parentesi napoleonica, poi richiuso sino all’unità d’Italia. Passarono quindi secoli di segregazione durante i quali gli ebrei riuscirono comunque a mantenere la loro fede, a produrre cultura, ad esempio con personalità come Isacco Lampronti, sino ad arrivare alla prima guerra mondiale.
Gli ebrei ferraresi erano talmente integrati, in quel
periodo, che molti di loro si dichiararono apertamente interventisti, e
partirono per il fronte, spesso volontari.
Venne poi il periodo del fascismo, al quale tanti ebrei
aderirono, sicuramente non immaginando quello che in seguito sarebbe avvenuto, in particolare, dalla seconda metà degli anni trenta, con la
promulgazione delle leggi razziali e poi con la formazione della
Repubblica di Salò, che portò a deportazioni ed inasprimento delle persecuzioni
antisemite.
Venne poi il periodo del fascismo, al quale tanti ebrei
Italo Balbo |
Giorgio Bassani criticò aspramente la borghesia ebraica per
l’atteggiamento nei confronti della dittatura, ma qui occorre ricordare che il
massimo esponente del fascismo ferrarese, Italo Balbo, sicuramente uomo con
molte colpe e responsabilità, non fu un antisemita.
Uno dei suoi amici ferraresi più cari infatti fu un ebreo, Renzo Ravenna, fascista come lui, podestà della città per dodici anni. Questa “anomalia” ferrarese era talmente conosciuta che non pochi ebrei, in quel periodo, si trasferirono a Ferrara sperando nella protezione del gerarca locale, anche se nel frattempo questi aveva assunto il governatorato della Libia. Il fascismo ferrarese, cioè, non fu antisemita, se non, in modo evidente, a partire dal 1943.
Uno dei suoi amici ferraresi più cari infatti fu un ebreo, Renzo Ravenna, fascista come lui, podestà della città per dodici anni. Questa “anomalia” ferrarese era talmente conosciuta che non pochi ebrei, in quel periodo, si trasferirono a Ferrara sperando nella protezione del gerarca locale, anche se nel frattempo questi aveva assunto il governatorato della Libia. Il fascismo ferrarese, cioè, non fu antisemita, se non, in modo evidente, a partire dal 1943.
Anche la cultura postbellica cittadina, dopo un necessario periodo di ripensamento riguardante i fatti del ventennio, non fu antisemita.
Il massimo studioso espresso da Ferrara nel novecento, il
maestro Adriano Franceschini, autore di questo libro citato all’inizio, era
amico di Paolo Ravenna, ebreo, figlio del podestà Renzo. Fu lo stesso Ravenna a curare
l’edizione postuma del lavoro di Franceschini.
il MEIS, a Ferrara |
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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