Mazzola e Rivera |
Fu uno stupore, la vita non edulcorata,
rivisitata commentata e selezionata. Il passare dal virtuale al reale fu uno
shock, oggettivo quanto ridicolo nella sua scarsa importanza sociale, politica
ed economica riguardo al Paese di quegli anni.
Eppure quel verde pieno, invasivo, quelle
divise non solo bianche, nere o grigie, quell’immersione nel rumore, nelle
spinte e nel caos, quegli entusiasmi che non capivo, pur provando ad adeguarmi,
esattamente come quando tentai di fumare ma alla fine cedetti di fronte alle
mie incapacità e, soprattutto, al fatto che non interiorizzavo il motivo del mio
accanimento ad assuefarmi al fumo.
Sembra archeologia del ricordo, eppure è la
cronaca della vita reale di un disadattato calcistico, di un diversamente
sportivo. Solo con gli anni accettai la mia diversità non come un handicap, ma
non fu facile, lo confesso. Assolutamente nessuno degli amici di allora
sembrava immune dal tifo, e le domeniche, per un lungo periodo, furono vissute
(se non da solo) con qualcuno che ascoltava i risultati dai campi di calcio con una piccola
radiolina a transistor incollata all’orecchio, mentre tentavo un po’ di
appassionarmi ed un po’ di guardare la spiaggia, la riva del Po, chi passava in
bicicletta, le ragazze…
La cosa che mi mancò da subito fu la mancanza
di un commento, cioè mi sentii sperduto, a volte neppure capivo perché il gioco
si fermava, ed ovviamente non riconoscevo nessuno dei giocatori in campo, anche
se di alcuni sapevo i nomi. Chi stava facendo cosa? E poi qualcuno aveva fatto
goal? Niente, nessuna risposta; avrei dovuto chiedere, ma mi vergognavo.
Quella fu la prima volta, la prima di
pochissime nelle quali andai in uno stadio per una partita di calcio.
Sino al giorno prima avevo seguito,
obbligandomi, come se dovessi prepararmi ad un esame, le partite alla
televisione, in bianco e nero, e mi era chiaro cosa stavano facendo gli
attaccanti ed i difensori, li riconoscevo tutti grazie al telecronista. Allo stadio
invece no. Nessun commento. E non capivo nulla. In realtà non capivo perché non
mi interessava veramente, non riuscivo ad affezionarmi a persone pagate che
giocavano rincorrendo un pallone, e se poi mi affezionavo era pure peggio. L’anno
dopo cambiavano squadra, e mi sentivo tradito.
Ma la cosa che mi colpì subito furono i colori,
quelli non me li aspettavo. Verde, bianco, nero, giallo, viola, azzurro…quelli
sono stati l’impatto che ancora oggi rivivo e ricordo. La vita non era come si
vedeva in televisione.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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