Per una settimana regnò sovrana l’euforia, per
una settimana.
Giulia, quando il lunedì mattina del primo del
mese si recò in banca per effettuare un bonifico riguardante un pagamento in
scadenza già il giorno precedente non riuscì a capire. Sul suo conto corrente,
solitamente vicinissimo al rosso, aveva un credito ad otto cifre. Lo scoprì
chiedendo il saldo per verificare se aveva denaro a sufficienza per il
versamento che le toccava fare. Non volle credere a quanto le diceva
l’impiegato, e quando lui controllò e la rassicurò che tutto era regolare, che
l’accredito milionario veniva da una restituzione con interessi di quanto lei
da anni sosteneva di aver ingiustamente pagato in tasse e che il movimento che
la riguardava era assolutamente legale, per un minuto buono rimase senza
parole, a fissare attraverso il viso di chi le stava davanti un punto imprecisato
dietro di lui.
Alla sede dell’azienda familiare agricola La Bella Mela, da sempre impegnatissima
nella produzione di frutta e verdura biologica, e costantemente in difficoltà
con i creditori, il secondo giorno di vera tranquillità economica iniziò
benissimo. Tutti si svegliarono presto ed eccitati, fecero una colazione
abbondante e rumorosa, nella grande cucina, poi si recarono al lavoro nel
terreno attorno a casa. Per la prima volta, dopo anni, senza ansie e con il
solo piacere di svolgere l’attività nella quale credevano.
Mercoledì mattina, senza convocare alcuna
seduta straordinaria, la sindaca iniziò a sentire informalmente tutti i suoi collaboratori,
gli assessori, i rappresentanti di maggioranza e d’opposizione, e riuscì a non
arrabbiarsi con nessuno, come non le capitava da anni. Sembrava che finalmente le
casse comunali, grazie a contratti che stavano dando i loro frutti ed a rimesse
da parte della Regione e dello Stato, fossero in una situazione che definire
florida era riduttivo. Prima di mezzogiorno stava nel bar sotto il municipio a
bere un aperitivo con il suo segretario, per una volta a parlare di vacanze e
non di scadenze.
Da un paio di giorni nessuno voleva più andare
in giro per strada a spacciare, Franco il
Dottore gli stava dicendo che non stavano vendendo più nulla e che tutti
improvvisamente non avevano più bisogno di denaro. Lui non riuscì a capire se
preoccuparsi o lasciar perdere. Era vero che il suo giro di affari sembrava
bloccato, ma era anche vero che non era mai stato ricco come in quel momento, e
decise che quel giovedì sarebbe andato al lago con Aurora.
Quando Azizi era sbarcato sano e salvo con sua
moglie e i suoi due figli, ormai sei mesi prima, si era sentito un fortunato.
Poi aveva dovuto capire che non era come immaginava. Dopo un mese rinchiuso in
quel centro aveva potuto uscire, miracolosamente, ma era stato aggredito e
quasi ucciso da una banda di balordi. Aveva lavorato ricevendo in nero una paga da miseria e vivendo
con la famiglia in una baracca di cartoni ed eternit, sino a quando si erano trasferiti lì. E da alcuni giorni possedeva tutti i soldi che aveva sempre
sognato di avere, cioè la sicurezza. Come prima cosa aveva comprato abiti
diversi, al posto di quelli che non poteva cambiare da troppo tempo. Ainka era
stata felicissima di questa possibilità, ed ora si sentiva più accettata,
quando camminava per strada.
Un sabato sera così al Rexhall non si ricordava da mesi, forse da anni, probabilmente da
sempre. C’erano tutti, assolutamente tutti i soliti frequentatori e tantissimi
volti nuovi. Il rumore prodotto dai discorsi che si accavallavano uno sull’altro
e delle risate arrivava ben oltre la piazzetta con i tavoli alti, all’aperto. Erano
spariti i gruppi muniti di bottiglia di birra al seguito che stazionavano agli
angoli meno battuti, ed ognuno voleva conquistare un posto nei salotti
pubblici, con un nuovo atteggiamento mediato dall’insperata e nuova sicurezza
economica diffusa. Anche baristi e bariste gareggiavano in eleganza con i
clienti, e in alcuni casi sembravano volersi confondere con loro, prima ancora
che servirli.
La corsa con la potente auto acquistata da due soli
giorni finì domenica sera verso le ventidue contro un platano della statale, su
un rettilineo, al km 24,400. Lui morì sul colpo, lei venne estratta a fatica
dalle lamiere quasi un’ora dopo, con le pinze idrauliche. Volevano festeggiare il nuovo negozio che avevano appena bloccato con una grossa caparra. Ma pure
lei non vide il lunedì mattina, e spirò nella notte.
Con Aldo e Lucia morì il loro sogno, ma anche
quello di molti altri. Quando l’ufficio anagrafe aprì, in ritardo, i suoi
uffici per il pubblico, due impiegati non si erano presentati, con un avviso
comunicato telefonicamente solo la mattina stessa. La signora Ebe, che
solitamente veniva accompagnata da una rumena molto efficiente e disponibile in
giro per il quartiere, rimase a casa, da sola. Dorina non era rientrata dopo il
suo giorno libero, e non aveva neppure telefonato. Nel giro di pochissimi altri
giorni l’intera città sembrò poco a poco fermarsi e perdere ogni allegria. La ricchezza
che tutti finalmente avevano raggiunto li rendeva poco disponibili a darsi
troppo da fare per lavorare. Improvvisamente uno scrittore famoso perse l’ispirazione,
una prostituta non volle più continuare il suo mestiere, un ragazzo che doveva
sostenere la tesi di laurea non si presentò in ateneo, ma se anche vi fosse
andato non avrebbe trovato il suo relatore, che era partito per Vienna. Due bariste
del Rexhall si licenziarono, Giulia
decise che sarebbe andata in America Latina col figlio che aveva allevato da
sola, dopo la fuga del marito, e smise di pensare a come arrivare alla fine del
mese. Ai mercati la frutta e la verdura iniziarono a scarseggiare, e molti
razzisti, per una volta, non riuscirono a dare la colpa dei troppi soldi ai
soliti immigrati, semplicemente non ne sentirono alcun bisogno, perché nessuno portava
via nulla a nessun altro.
In capo a tre soli mesi il benessere diffuso
distrusse il senso del dovere e di responsabilità. Una forma nuova di anarchia
prese il posto dell’organizzazione sociale che aveva funzionato, nel bene e nel
male, per decenni. In diversi iniziarono a pensare di abbandonare il Paese, e
sapevano che altri lo avevano già fatto. Le notizie che arrivavano da chi se n'era andato erano contraddittorie. Alcuni raccontavano che all’estero si viveva
bene, senza i problemi sempre più evidenti in casa nostra. Altri mettevano in
guardia rispetto al fatto che, una volta fuori, la sicurezza economica spariva
ed era necessario rimettersi in gioco per non perdere ogni cosa e tornare più
poveri di prima. Chi non voleva partire, o aveva dubbi, iniziò a pensare che
probabilmente era il caso di rimboccarsi nuovamente le maniche.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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