Ne - Urologia
Ultimo giorno di carnevale, per fortuna
In(m)paziente attesa
Tre titoli per un post sono troppi, lo so, ma ognuno di loro
mi piace, e non so decidermi. Quindi li tengo tutti (“Martedì grasso” non lo
considero il vero titolo).
Io subisco da anni il carnevale, solo raramente sono entrato
nel suo spirito, e il pomeriggio di oggi mi ha confermato nelle mie
convinzioni. Dovevo fare un controllo di ruotine, e mi sono recato con un
piccolo anticipo per sbrigare le pratiche burocratiche prima di andare nella
zona degli ambulatori. Sulle prime tutto bene, coda minima, e quindi posso
arrivare con circa 15 minuti di anticipo alla zona di attesa. Qui molti sono
seduti, ad aspettare, e la cosa quindi inizia a prospettarsi un po’ più lunga
del previsto. Appoggio giaccone e documentazione clinica su una delle sedie
vuote e passeggio piano vicino al muro. Molti vanno da altre parti, e quindi
non sono tutti in coda davanti a me, penso, e in quel momento arriva un uomo
con un ragazzino abbondante e con un gran ciuffo. Iniziamo a scambiare alcuni
commenti, per passare il tempo. Io racconto una piccola cosa, e lui mi risponde
ma non lo capisco molto bene. Annuisco per non fare il maleducato e cerco di intervenire a tono.
Mi racconta di un amico che ha avuto un incidente sugli sci,
anni prima, e che lui colpevolmente è andato a trovare in ospedale circa
quindici giorni dopo il fatto. Quell’incidente si è poi rivelato una fortuna
per quella persona perché successivamente si era scoperto che aveva un tumore alle ossa
in una fase ancora curabile, e che quindi quell’incidente gli aveva salvato la
vita.
Mentre lo ascolto, e rifletto sui casi dell'esistenza che a
volte si manifestano sotto mentite spoglie, vedo un uomo avanti negli anni
seguito da una giovane che ha tutta l’aria di essere la sua badante. Mi passa
accanto poi gira sicuro, va all’ambulatorio 1 ed entra senza bussare né essere
chiamato, mentre la ragazza resta ad una certa distanza, senza intervenire.
Pochi secondi dopo vedo l’infermiera che lo fa uscire con cortesia e gli spiega
che non si entra così e che deve aspettare il suo turno. Il signore riesce però
a consegnare una prenotazione con impegnativa all’infermiera prima che questa
rientri. E poi resta di guardia davanti alla porta. Io resto allibito dal
comportamento di questo personaggio, e lo guardo con attenzione mentre ascolto
anche il mio vicino, che però non sembra interessato alla cosa. Quel signore non è
molto presente a sé stesso, mi pare, anzi, è un po’ perso a dirla tutta, e poco
autonomo. Dopo poco esce la coppia che era prima nell’ambulatorio, l’infermiera
chiama un altro in attesa e spiega ai due che fanno la guardia davanti alla
porta che possono andare a sedersi, che li chiamerà lei.
Il mio vicino col figlio abbondante col ciuffo intanto viene
chiamato a sua volta, ed io mi guardo attorno, di nuovo solo.
“Ecco, lo vedi, quello è il mio professore di matematica”, e
sento il mio nome. Mi giro. Vedo un quarantenne con un bambino sui dieci -
undici anni. Mi avvicino, è stato mio alunno a metà degli anni ’80. Mi racconta
chi è, perché io non lo avrei mai riconosciuto. Mi confessa che ha sempre avuto
difficoltà in matematica, gli chiedo se ero severo, ma non sembra darmi colpe,
e lo dice tranquillo, come di chi ora ha trovato il suo spazio nella vita. Mi
racconta però che due suoi compagni di allora, due miei ex alunni cioè, sono morti
per droga e vita buttata via. Mi dice i loro nomi, e provo una sorta di
brivido. Di uno sapevo già. Schiantato in moto su una strada di montagna
durante un sorpasso azzardato. Dell’altro morto di overdose non sapevo nulla.
Rimango ammutolito. Morti prima di arrivare a trent’anni. Non è possibile. Non
è giusto. Io dico che purtroppo un incidente può capitare a chiunque, e lui
conferma. Suo padre infatti, più o meno della mia età, è caduto qualche mese
prima su un sentiero in montagna, ed è morto così. Io non so più cosa
rispondere, cerco di spiegare che mi spiace. Lui chiede se ricordo un collega
di quei tempi, anche lui più o meno mio coetaneo, che abitava vicino a lui. Era
andato in pensione molto prima, quando ancora si poteva, anche perché aveva
scelto di fare la libera professione. Morto pure lui. Rimango ammutolito.
Nel frattempo entrano a turno nei vari ambulatori le persone
in attesa. Esce anche l’infermiera di prima, chiama l’uomo anziano un po’
perso, gli dice di non alzarsi, e gli spiega che lui non deve andare in
urologia, ma in neurologia, per il rinnovo della patente.
Sconvolgente, non so che faccia fare, guardo le persone che
hanno sentito, tutti speriamo che la patente non possa in alcun modo riottenerla,
ma intanto l’infermiera è tornata dentro la sua stanza. Io scambio ancora due parole col mio ex
alunno, e poi sento chiamare il mio nome…
Ecco un normale pomeriggio di martedì grasso.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte. Grazie)
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