Lo so che non dovrei farlo, ma so anche che
devo farlo. Dovrei superare poco a poco questa situazione, con i miei tempi,
che sono solo miei ed impossibili da quantificare a priori, e so pure che
questa situazione non la voglio superare, o almeno non con le modalità che mi
vengono suggerite da alcuni, e che puntualmente non seguo.
Digressione.
La situazione è ormai arcinota per chi mi
frequenta con un minimo di assiduità sia con una presenza fisica, sia al
telefono sia in modo virtuale, sulle piattaforme in rete dove da tempo sono
presente. E nessuno, tra i virtuali, si senta sminuito nella sua realtà di persona
vera ed esistente. La presenza sui social o sui blog o nelle altre forme ora
utilizzate è a tutti gli effetti una dimostrazione della nostra esistenza, non
meno vera dei contatti realizzati con le poste o le telecomunicazioni. Inoltre
un rapporto virtuale si può evolvere, ed ogni tanto per me uno di questi si
trasforma in un contatto diretto, in un incontro reale. Magari poi non succede
altro e non ci incontra più se non occasionalmente, ma otteniamo in tal modo
la conferma che tutti noi, anche se preferiamo l’anonimato totale o parziale, esistiamo.
Rientro in tema.
La cosa che non dovevo fare è mettere mano al
mio archivio fotografico recente, cioè degli ultimi dodici anni circa, gli
ultimi tuoi dieci anni di presenza in terra, con me accanto nel bene e nel male.
Cercavo una foto particolare e neutra per motivi contingenti, e sono capitato,
non volendo, nella mia e nella tua storia in immagini, in quello che ho
immagazzinato. Ed ho realizzato che dieci anni si racchiudono in poca memoria
digitale e in un universo di emozioni e ricordi da trattare con estrema
attenzione, rispetto, cura e prudenza. Ti ho rivista in tempi belli,
tranquilli, mentre eravamo impegnati in viaggi ed occasioni speciali, oppure
durante momenti di vita di tutti i giorni. E ti ho nuovamente spiato in attimi
difficili, ormai segnati dal destino che rifiutavamo. Ed entrambi eravamo
sovrappeso ed appesantiti da anni di ansie, di tensioni e di alimentazione
sbagliata e compensatoria, eppure a modo nostro vivi e presenti. Tutto passato.
E poi in varie occasioni non ti ho inquadrata ma tu eri con me quando fotografavo
quel paesaggio o quel monumento. E anch’ io non ci sono quasi mai nelle foto, non
mi andava di farmi riprendere. Ma ora vorrei vederti, in quei momenti, e mi rendo conto che non
ho scattato alcuna foto, e mi manchi anche così. Mi dovrò accontentare del mio
ricordo di te.
Mi crea dolore rivederti, nelle foto che ti
ho scattato, e dolore diverso ma ugualmente forte nel non trovare traccia della
tua presenza, quando non ti ho ripresa e tu eri con me. Ho sbagliato e continuo
a sbagliare. Ed ora è troppo tardi, e non so come dirtelo. Considero il mio dolore
un atto dovuto e alla fine non mi pesa, mi tiene compagnia.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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