sabato 18 giugno 2016

in un secondo



Dicono che l’ultimo attimo di vita ti faccia rivivere tutto, dal primo secondo sino alla fine, ed è vero, devi crederci.
Si sono riempite pagine di ogni tipo su questa verità, e nessuno l’ha mai dimostrata, con prove scientifiche intendo, cioè fornendo i parametri esatti per riprodurre le condizioni della situazione e quindi verificarla. Ovvio se si usa la logica sperimentale, ma questa logica non basta per ogni cosa. Neppure la fede è sufficiente a questo fine, nel senso che non è necessario crederci per forza, senza averne prove ma considerandola come la necessità di una nostra supposta spiritualità slegata dal corpo materiale.
L’unica soluzione possibile sarebbe passare attraverso quel momento dal quale non si torna indietro per raccontare. Se ciò fosse possibile non si porrebbe alcun problema e non si perderebbe tempo a disquisirne.

Sono morto molte volte, e sono ancora qui. Non sono mai partito e sono pure andato via. Il tempo degli anni infantili scorreva lentissimo, ogni avvenimento copriva in moto totale l’attenzione, la presenza, e coinvolgeva sempre e comunque il corpo, legandolo a desideri e miraggi, a bisogni e piaceri, non necessariamente soddisfatti. Un anno era lungo secoli, sembrava non finire mai, ed una ferita impiegava troppo per rimarginare.
Poi, lentamente, molto lentamente, il tempo ha iniziato ad accelerare, e le ferite sono rimaste, non mai completamente rimarginate, anzi, hanno ricominciato a sanguinare quelle apparentemente guarite.

Se si pensa alle conseguenze di quanto detto sopra si capisce che il dialogo tra le generazioni non è mai possibile, come non potranno mai capirsi completamente un carnefice e la sua vittima, una moderna fotocamera digitale con una vecchia ma potente reflex armata di pellicola, costretta a mordere il freno per mancanza di alimentazione, pronta ad accusarmi di averla scordata, quando la rivedo, perché lei non ha mai smesso di essere in grado di fare fotografie. Le generazioni vivono in tempi diversi, incompatibili, incomunicabili. Usano un linguaggio comune all’apparenza, ma il significato delle loro parole è diverso, dilatato in un caso, compresso nell’altro. Il piccolo insetto sulla pelle corazzata del rinoceronte non può dialogare col suo mondo veicolo ed ospite, e se ci provasse, se gli parlasse all’orecchio, se gli facesse una domanda, la risposta non la potrebbe mai udire; la risposta arriverebbe solo dopo la sua morte.

In un secondo la vita la si può rivivere dall’inizio alla fine, e questo si capisce solo ragionando, estrapolando l’esperienza all’ancora non vissuto. Se prima il tempo era lento, lentissimo, ed ogni singolo accadimento era un intero volume enciclopedico, dopo, accelerando, ha compresso gioie e dolori, amori ed errori, lasciandoli intatti e completi, per quanto ci è dato ricordare, ma sovrapponendo presente, passato prossimo e passato remoto in una frazione temporale sempre minore. Immagina infatti, per avere un paradigma numerico, una frazione. Il numero sopra è il numeratore, la vita, quello sotto il denominatore, che denomina e divide. Andando avanti negli anni il numero sotto aumenta, ed è quello che divide la vita vissuta, sempre una sola. Arrivando alla fine, o anche solo avvicinandoci, perché questo facciamo tutti, eseguendo la divisione numeratore diviso denominatore otteniamo un valore sempre minore, un secondo forse, o meno ancora, chi può dirlo? Eccolo rappresentato l’attimo nel quale tutta la vita ci scorre davanti.


                                                                                                                            Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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