Loro sono in pensione, da alcuni anni, entrambi. Lei minuta, lui
solido, sicuro di sé, anche se non appare tanto sicuro quando li incontro nell’atrio dell’ospedale.
Lui indossa un pigiama da ricoverato, ed accanto ha una cassetta munita di
manico per essere portata sempre vicina con tubi e fili che ne escono diretti
al suo corpo. Di visibile solo un ago infilato al polso con parti di plastica
bianche rosse e verdi, quasi come una bandiera da esporre in un giorno
speciale.
Mi avvicino e mi informo perché sono stati colleghi, anni
prima. Il nostro mondo è piccolo e tutti, con al massimo due gradi di
separazione, possono dire di sapere qualcosa di uno qualsiasi dell'ambiente,
e non mancano mai conoscenti comuni dei quali raccontarsi cose, o sui quali aggiornarsi.
È ricoverato da sei giorni, ormai, per il distacco di un
polmone, probabilmente a causa di un intenso sforzo, o forse per altre cause. Il
polmone sinistro si è staccato dalle pleure, ed ha iniziato a muoversi quasi
liberamente nella cassa toracica, rimpicciolendo e smettendo di svolgere la sua
funzione. Non si è reso conto subito di cosa stava succedendo, ha avuto paura,
ha iniziato a respirare male e solo dopo alcune ore si è deciso a venire in
ospedale. Ora si sente meglio, vuole uscire al più presto, è stanco di stare
rinchiuso, e con un po’ di fortuna lo dimetteranno entro breve.
Lei, mentre lui racconta, dice poco, ma poi, alzandosi,
confessa di essere messa peggio di lui, di avere grossi problemi di osteoporosi
e di essere affetta da Parkinson. Crede di avere poche speranze di rallentare
il processo della neurodegerazione, ma lo dice con una sorta di rassegnazione,
dando l’impressione di contare sul suo gigante solo momentaneamente messo fuori
gioco.
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Lei mi cammina davanti, vestita in modo indefinibile, con
uno zaino sformato, pantaloni larghi di cotone, una specie di camicia o blusa
abbottonata dietro, come se fosse stata indossata volutamente a rovescio.
Si nota perché ogni tanto la vedo chinarsi verso il marciapiede, e non si capisce cosa stia facendo; sembra che stia seminando qualcosa. Passando subito dopo di lei però non si nota nulla e non si può ancora intuire. Sono incuriosito, ma mi basta accelerare il passo, affiancarla prima di superarla, e osservarla un attimo.
Si nota perché ogni tanto la vedo chinarsi verso il marciapiede, e non si capisce cosa stia facendo; sembra che stia seminando qualcosa. Passando subito dopo di lei però non si nota nulla e non si può ancora intuire. Sono incuriosito, ma mi basta accelerare il passo, affiancarla prima di superarla, e osservarla un attimo.
Sembra una pazza, che canta da sola, che sorride con lo
sguardo perso senza vedere nessuno e conle mani piene di non si sa che cosa.
Poi, pochi metri avanti, lei si china di nuovo, raccoglie la
vaschetta di un gelato che qualche maleducato ha gettato a terra e infine, a
poca distanza, getta tutto quanto in un cestino di rifiuti sulla strada.
La pazza ha ripulito il tratto di marciapiede sul quale è
appena passata, e sembra abbia intenzione di continuare perché subito
dopo, di nuovo, si china verso terra e continua, ignorando chi la guarda.
Forse il pazzo sono io, siamo noi i pazzi – penso - lei non
è pazza per nulla. Il mondo va a rovescio, e la sua blusa è indossata nel modo giusto.
Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie.)
Ho letto volentieri, continuerò a leggerti. Fortunato Romeo
RispondiEliminagrazie, Fortunato... Silvano.
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