martedì 29 aprile 2014

Migranti e no



Chi, per sua fortuna o scelta, non si è allontanato dai luoghi dove è nato per trovare altrove lavoro non so fino a che punto potrà capire quanto intendo scrivere, tuttavia, a mio solo beneficio magari, intendo andare avanti lo stesso, perché, se non si è ancora capito, io uso la scrittura non solo come mezzo per coltivare il mio ego o per comunicare con altri, ma anche per riflettere su cose che penso o son convinto di pensare, quindi scrivo anche per confrontarmi con me stesso, prima che con gli altri.
Se mi leggi qui significa che questo post ha già superato la mia prima rilettura, e che quindi lo ritengo sufficientemente corrispondente a quanto intendevo dire.


Quando è davanti alla realtà si richiude in un isolamento forzato, come se dovesse espiare una colpa. Gli anni degli studi, abbastanza spensierati e densi di vita, sicuramente un po’ superficiali, sono ormai alle spalle. Ora sente di pesare sulla famiglia e non gli va di continuare a chiedere soldi.
Vuole essere indipendente, in un modo o nell’altro.
Prima di tutto rinuncia a chiedere l’auto in prestito al padre, cerca di sprecare meno, di uscire meno, vedere pure meno gente, ovviamente, e chiudere una parentesi della sua vita, dolorosamente.


Cercar lavoro per un giovane senza particolari eccellenze e senza un minimo di conoscenze che possano aprire alcune porte oggi, in Italia, è estremamente difficile, ma pure alcuni anni fa la situazione, con le premesse ricordate, non era rosea. I migliori in qualche modo emergevano, è una legge naturale. Lo stesso valeva per i furbi ed i raccomandati. Tutti gli altri invece in qualche modo si adattavano, accettavano posizioni meno importanti e meno pagate, oppure si spostavano sul territorio nazionale, per dare un senso al loro titolo di studio.


A tavolino cerca soluzioni, razionalmente, e tenta varie vie. Una di queste è il trasferirsi in un’altra provincia, al nord, dove le opportunità nel suo caso sembrano ancora reali, e quindi quella diventa un’opzione seria, da sfruttare. Ovviamente non punta solo su quella, ma inizia e tenta altre cose, tutte abbastanza fallimentari, al limite della depressione più nera.
Un giorno di febbraio giunge una chiamata telefonica, una sua domanda è stata accolta. Già il giorno dopo potrebbe iniziare, ma lui preferisce rimandare di un solo giorno, e questo gli viene concesso.


Anche 40 anni fa, insomma, malgrado il ’68,non era una passeggiata trovare un posto, ed il mondo non era diventato più giusto, solo esisteva un ascensore sociale che permetteva ai figli di operai e della classi più povere di tentare un salto di qualità, a spese però, alcuni pensano, di enormi ipoteche sui giovani di oggi oppure, altro aspetto non secondario, iniziando un degrado paesaggistico ed artistico senza precedenti nella nostra storia. Io parlo ovviamente di lavoro dipendente, non da imprenditore o da artigiano autonomo, poiché sono mondi che non conosco direttamente.


L’inizio è formale, lontano, freddo, in un albergo, ma ha un lavoro. Poi le cose, poco a poco, trovano una nuova dimensione. In fondo la distanza non è impossibile, può tornare a casa ogni fine settimana, lavora in un luogo di vacanza, e non gli sembra neppure di lavorare. Conosce gente, ritrova sicurezza, inizia a farsi conoscere e si fa qualche amico. La chiusura a riccio ora è meno utile, se ne rende conto, e si sente meno “fallito”, quindi può ricominciare a rivedere gli amici di prima, quelli che per mesi ha evitato, perché ha cose positive da raccontare, non solo una sequenza di lamenti e dolori.
La sua nuova terra di adozione è diversa però, un po’ più fredda, per certi versi, anche climaticamente, e non di rado si sente spaesato, isolato, con pochissimi punti di riferimento. I momenti di calore e di amicizia si alternano a cupa solitudine con un cielo stellato e sottozero. Si sente un migrante, anche se non certo tra stranieri, ma comunque diverso, quello sì.

Sbarcando sulla costa italiana cerca una nuova vita, una nuova occasione, e non sa ancora che per molto tempo non avrà dignità umana, anche se già qualche dubbio, prima di imbarcarsi, lo ha avuto. Ma è disposto a tutto, anche per aiutare i suoi, che son rimasti ed aspettano da lui forse più di quanto potrà mai dare loro.


Oggi non ho soluzioni per aiutare i giovani dell’età di mio figlio se non quella di star loro vicino, innanzitutto, e poi di cercare una soluzione politica seria, senza avventure rischiose e pericolose, evitando i teorici nascosti dell’evasione fiscale e della cattiva amministrazione pubblica, dell’odio razziale e dello sfruttamento dei più deboli, cercando la redistribuzione del reddito e la valorizzazione del territorio e delle nostre bellezze artistiche, cercando di lottare contro gli effetti perversi della globalizzazione liberista che importa sacrifici ed esporta lavoro, dimentica diritti e segue come messia salvatori quelli che, prima di tutto, hanno salvato all’estero i propri capitali.
Non ho soluzioni neppure per il problema dell’immigrazione, ma sono certo che sarebbero possibili leggi più umane con chi è onesto ed ha bisogno e molto più dure invece nei confronti di chi delinque, usando giustizia e certezza della pena (anche per gli italiani, potenti o meno che siano, ovviamente).

Quando torna alle sue origini vede piccoli segni che prima non aveva riconosciuto così chiaramente, anche se ovviamente neppure gli erano passati inosservati.
Sente il razzismo presente in frasi innocenti e involontarie, dette con leggerezza. Sa che non sono rivolte a lui, ma capisce che, in un altro luogo, quelle stesse frasi, pronunciate da altre persone, hanno proprio lui come oggetto.


Non è il paese dove è tutto facile, anzi. Diventa un invisibile, un fastidio, un’occasione di sfruttamento, merce di scambio, manovalanza per il crimine o per il lavoro nero e sottopagato. Se la scala sociale ha gradini che vanno da zero a dieci, lui parte da meno cinque. Non è un mondo di vacanze quello che lo accoglie, e la sua nuova patria per molto tempo gli fa capire che di lui ne farebbe volentieri a meno. Oggi non sa ancora come andrà a finire, ma intanto prova a vivere.

                                                                        Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie.)

domenica 27 aprile 2014

Anno domini MCDLX


Guarino Sigismondi parte la notte tra il 3 ed il 4 marzo 1460 per una missione segreta affidatagli da Borso d’Este, Signore di Ferrara, Modena, Reggio e Garfagnana, investito Duca da Federico III durante una sua sosta a Ferrara nel 1452, di ritorno da Roma, dove papa Pio II lo aveva a sua volta incoronato imperatore.
La missione di Guarino deve rimanere segreta anche a costo della morte poiché la dinastia estense persegue un difficile equilibrio di alleanze ed investiture tra papato da una parte e potere imperiale dall’altra, senza mai scordare quel vicino temibile, la repubblica di Venezia, che ormai estende i suoi domini sino alle valli bergamasche da oltre trent’anni.


La Serenissima non deve in alcun modo conoscere lo scopo finale e del suo incarico, che è prima quello di valutare le possibilità pratiche di un progetto ambizioso e poi di organizzare un rapporto commerciale vero e proprio con l’Alta Valle Seriana, in quel momento controllata da un vicario dei veneti.  

Borso non può ignorare gli accordi della Pace di Ferrara del 1433, e quindi sa bene che le sue mire possono rischiare di diventare un serio incidente diplomatico se scoperte, ma è anche a conoscenza che il potere enorme della Serenissima scema sempre più allontanandosi dal dominio di mare, e che un vicario, di nomina locale, forse ha il potere di esaudire il suo segreto desiderio.

  

La valle Seriana Superiore e la valle Brembana Superiore godono di una certa autonomia rispetto al territorio circostante e su questo il Sigismondi, suo uomo di fiducia, può probabilmente contare. A sfavore gioca però il fatto che, anche se eletto dal consiglio locale, è un patrizio veneziano approvato dal Maggior Consiglio lagunare a governare di fatto la zona.

Fonderie a Gromo nel 1666
La fama delle lame di Gromo tuttavia è più forte della consapevolezza dei rischi, e Borso fornisce a Guarino una grossa somma in fiorini fiorentini, per evitare possibili collegamenti con gli Estensi in caso di incidenti durante la missione, e lo fa accompagnare da quattro armati a lui fedelissimi.



Il viaggio è pericoloso, ed attraversare le zone di confine comporta sempre rischi ulteriori, ma in poco più di un mese e mezzo, effettuando spesso deviazioni e soste col solo scopo di depistare eventuali spie e camuffare in ogni modo possibile la loro partenza e la loro destinazione, Guarino ed i suoi quattro uomini giungono in vista delle prime case della Comunità del Borgo di Gromo.

Trovano con facilità, pagando il giusto, una locanda dove prendono alloggio.

Si presentano come mercanti fiorentini che desiderano comprare argento, e sviano così le prime curiosità. Iniziano quindi, con calma, a visitare le fonderie che trattano il metallo prezioso. Ben presto tuttavia cominciano ad interessarsi agli artigiani che forgiano armi bianche di rara bellezza e leggerezza: spade e punte per lance ed alabarde, pugnali e spuntoni.



È quello che stanno cercando: la fama delle armi della valle è ben meritata, e sicuramente sono all’altezza se non migliori di altre lame da guerra prodotte in Spagna, a Toledo, oppure a Solingen, in Renania.

Ora viene la parte più difficile del compito di Guarino, quella di rivelare l’intenzione di acquistare un grosso quantitativo di armi ma, allo stesso tempo, di mantenere segreto il committente, il suo signore e destinatario finale, e questo al fine di ottenere i permessi formali e daziali delle autorità veneziane senza far loro sospettare l’interesse degli Estensi.



Viene fissato un incontro con un intermediario di fiducia del vicario e con un rappresentante delle fonderie, in una piccola casa sul torrente Calia, e l’accordo infine viene raggiunto tra il Sigismondi, emissario degli Estensi, e lo Scacchi, in rappresentanza delle officine di produzione delle lame, col beneplacito ben compensato del fiduciario veneziano.



Il resto della storia scompare nelle nebbie del tempo, e non ci sono prove, oggi, che le armi siano alla fine giunte al castello di San Michele nell’anno del Signore 1460.

Il castello estense in quel momento è già edificato e perfettamente efficiente ma non è ancora la futura sontuosa dimora ufficiale degli Estensi, ed i signori di Ferrara preferiscono risiedere nel vicino e più elegante Palazzo Ducale sino al 1476.




Museo di Gromo – Sala delle armi

(Non sono uno storico, e quindi tutti i personaggi minori sono frutto di fantasia. La storia è una ricostruzione ideale di quanto forse è successo e che con ricerche bibliografiche serie si potrebbe smentire o confermare, modificando ovviamente molto di quanto ho scritto. È un fatto tuttavia che gli Estensi sono stati una delle dinastie più importanti e longeve nella storia europea e che a Gromo si sono prodotte per secoli tra le migliori lame del continente. Io ho solo fatto 1+1. Ringrazio in anticipo quanti, leggendomi per caso, mi daranno indicazioni più precise permettendomi di rendere più aderente ai fatti la mia ricostruzione )
                                                                                Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

sabato 26 aprile 2014

Campionati e rassegne


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Tanti anni fa, in un paese lontano lontano, CSI e UISP, organizzazioni di propaganda sportiva legate rispettivamente la prima ad ambienti clericali e la seconda al mondo comunista e socialista, non di rado si ritrovavano, con i loro tesserati e responsabili, a collaborare organizzando tornei  per permettere ai loro giovani atleti di allenarsi e di giocare, oppure, cosa ugualmente abbastanza comune, le squadre di una organizzazione partecipavano ai tornei organizzati dalla concorrente.
Due giovani allenatori ed organizzatori di una squadra femminile di pallavolo nata in una parrocchia, e quindi appartenente all’area CSI, si recarono un giorno nella sede dell’UISP per iscrivere la loro squadra di ragazze al torneo estivo che quelli avevano programmato per poche settimane più tardi.
I rapporti di questo tipo erano sempre cordiali, malgrado un immancabile e prevedibile campanilismo ideale e politico, e lo scontro sul campo era, oltre che sportivo e quindi formativo, anche molto folcloristico.
Non di rado infatti i cori dei sostenitori, senza molta fantasia occorre dire, si lanciavano in interpretazioni adattate alla situazione agonistica.
Quando da una parte si urlava a squarciagola: - Avanti o Rondini, alla riscossa, delle avversarie, vogliam le ossa…- (il tutto ovviamente sulla base musicale di Bandiera Rossa), sull’altro lato del campo la risposta pronta era: - Per i miseri implora perdono, e per le Rondini implora… pietàààà…- (e qui il Canto eucaristico di riferimento credo sia noto a tutti).
Erano momenti divertenti, il tifo alla fine era decisamente allegro e gli incidenti legati alle diverse origini ideali praticamente assenti.
Ma ritorniamo ai due allenatori-accompagnatori nella tana del lupo. Sbrigate le formalità, anche quella volta semplificate per una forma di voluta apertura a dimostrazione della loro imparzialità, si ritrovarono a scambiare qualche idea sullo sport e sui principi ispiratori dell’azione che le loro organizzazioni portavano avanti.
Uno dei responsabili dell’UISP, dopo discorsi perfettamente condivisibili e abbastanza pratici, si spinse a spiegare come mai la loro Associazione non organizzasse campionati, e che rifiutasse un certo modo di intendere lo sport agonistico e professionistico. Spiegò che alla parola “campionato” è legata la parola “campione”, che rappresenta quanto di più negativo lo sport che deve educare i giovani possa esprimere.
Loro non organizzavano campionati, ma rassegne, per sdrammatizzare la competizione ed allargarla a livello di ognuno.
Una lampadina si accese improvvisa nella mente di uno dei due ospiti, che per poco non scoppiò a ridere, ma riuscì a trattenersi sino al momento dei saluti cordiali e formali.
Appena allontanati e saliti sulla 500 quello che per si era trattenuto sino ad allora finalmente scoppiò in una risata fragorosa.
-         Hai capito cosa ha appena detto quello? –
-         Si, ho capito, non ha tutti i torti, bisogna ammetterlo. Ma perché ti fa tanto ridere? –
-         Non hai capito, allora. Pensaci. Loro rifiutano la parola campionato perché è legata a “campione”, però al suo posto usano la parola rassegna, che, se ragioni, porta a “rassegnato”. Incredibile che non ci abbiano pensato…-
-         Beh, ma … però…..-
A quel punto una risata incontenibile travolse anche l’amico.

                                                                        Silvano C.©


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Frammenti


Loro sono in pensione, da alcuni anni, entrambi. Lei minuta, lui solido, sicuro di sé, anche se non appare tanto sicuro quando li incontro nell’atrio dell’ospedale. Lui indossa un pigiama da ricoverato, ed accanto ha una cassetta munita di manico per essere portata sempre vicina con tubi e fili che ne escono diretti al suo corpo. Di visibile solo un ago infilato al polso con parti di plastica bianche rosse e verdi, quasi come una bandiera da esporre in un giorno speciale.
Mi avvicino e mi informo perché sono stati colleghi, anni prima. Il nostro mondo è piccolo e tutti, con al massimo due gradi di separazione, possono dire di sapere qualcosa di uno qualsiasi dell'ambiente, e non mancano mai conoscenti comuni dei quali raccontarsi cose, o sui quali aggiornarsi.
È ricoverato da sei giorni, ormai, per il distacco di un polmone, probabilmente a causa di un intenso sforzo, o forse per altre cause. Il polmone sinistro si è staccato dalle pleure, ed ha iniziato a muoversi quasi liberamente nella cassa toracica, rimpicciolendo e smettendo di svolgere la sua funzione. Non si è reso conto subito di cosa stava succedendo, ha avuto paura, ha iniziato a respirare male e solo dopo alcune ore si è deciso a venire in ospedale. Ora si sente meglio, vuole uscire al più presto, è stanco di stare rinchiuso, e con un po’ di fortuna lo dimetteranno entro breve.
Lei, mentre lui racconta, dice poco, ma poi, alzandosi, confessa di essere messa peggio di lui, di avere grossi problemi di osteoporosi e di essere affetta da Parkinson. Crede di avere poche speranze di rallentare il processo della neurodegerazione, ma lo dice con una sorta di rassegnazione, dando l’impressione di contare sul suo gigante solo momentaneamente messo fuori gioco.
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Lei mi cammina davanti, vestita in modo indefinibile, con uno zaino sformato, pantaloni larghi di cotone, una specie di camicia o blusa abbottonata dietro, come se fosse stata indossata volutamente a rovescio. 
Si nota perché ogni tanto la vedo chinarsi verso il marciapiede, e non si capisce cosa stia facendo; sembra che stia seminando qualcosa. Passando subito dopo di lei però non si nota nulla e non si può ancora intuire.  Sono incuriosito, ma mi basta accelerare il passo, affiancarla prima di superarla, e osservarla un attimo.
Sembra una pazza, che canta da sola, che sorride con lo sguardo perso senza vedere nessuno e conle mani piene di non si sa che cosa.
Poi, pochi metri avanti, lei si china di nuovo, raccoglie la vaschetta di un gelato che qualche maleducato ha gettato a terra e infine, a poca distanza, getta tutto quanto in un cestino di rifiuti sulla strada.
La pazza ha ripulito il tratto di marciapiede sul quale è appena passata, e sembra abbia intenzione di continuare perché subito dopo, di nuovo, si china verso terra e continua, ignorando chi la guarda.
Forse il pazzo sono io, siamo noi i pazzi – penso - lei non è pazza per nulla. Il mondo va a rovescio, e la sua blusa è indossata nel modo giusto.

                                                                        Silvano C.©


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venerdì 25 aprile 2014

Ho esposto la bandiera


Ho esposto la bandiera, unico nell'intero condominio e nel quartiere. Ho fatto due passi e non ne ho vista nessun’altra.
C’erano una bandiera NO-TAV ed un paio di bandiere arcobaleno con la scritta PACE.
Quando capita che vinca la Nazionale di calcio o la Ferrari, qualcuno la bandiera italiana la espone, quindi la possiede. Evidentemente celebrare il ricordo della vittoria sul nazifascismo e la Liberazione del nostro Paese ad opera di eserciti Alleati e di donne e uomini della Resistenza non merita la stessa attenzione.
Io però la espongo, tradizionalmente, da molti anni, sempre più solitario, e i motivi sono tanti.
Prima di tutto sono di origini emiliane, e in Emilia, un tempo terra rossa, era tradizione farlo, anche se oggi molto meno.
E poi sono nato a Ferrara, dove son nati Bassani e Balbo, dove il fascismo era forte e dove anche la Resistenza ha avuto le sue vittime.
Ho esposto la bandiera perché non trovo giusto che il mio Paese si sia macchiato con l’emanazione delle leggi razziali, e perché la libertà, tanto preziosa, qualcuno vorrebbe abdicarla in favore di nuovi uomini del destino, come se uno solo non sia stato abbondantemente sufficiente. 
Sono pure un bastian contrario, e se nessuno fa una cosa non è detto che questa sia sbagliata.
Con la Resistenza le donne italiane si son conquistate il diritto di voto sul campo, perché prima la loro opinione non contava, bastava quella dell’uomo di casa, e loro potevano così pensare ai figli ed alla famiglia.
La bandiera vuol far capire che il mio cuore batte a sinistra, ora e sempre, perché è quello il suo posto naturale.
                                                                        Silvano C.©


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giovedì 24 aprile 2014

Il collezionista di rifiuti


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Impossibile contenerlo, si lancia come un ragazzino in ogni impresa o idea che lo colpisce al solo fine di trovare il piacere del nuovo, del mai fatto personalmente, del visto ed ammirato in altri.
Ercole sopporta malissimo il suo nome, prima appartenuto al nonno - che per sua fortuna non si chiamava Benito o Ultimo – ma per il resto non è particolarmente insoddisfatto. Ha una buona faccia tosta, o semplicemente non riflette molto sulle conseguenze delle sue azioni, e se un’impresa lo tenta lui prova a realizzarla. È timido, assurdamente, ma allo steso tempo esibizionista, e colleziona, inutile dirlo, molti rifiuti, talvolta anche infastiditi.
Tenta e ritenta, però, realizza diversi progetti, e dopo molti no ottiene sempre qualche sì.
Alcune chiusure sono fisiologiche ed hanno spiegazioni perfettamente condivisibili: ”Mi spiace, ma abbiamo appena finito i posti”, oppure: “Verrei volentieri, sai, ma ho già un impegno”, e ancora : “No, non mi interessa, grazie”. Altre volte invece incassa il colpo a fatica, e questo lo fa recedere dall’idea iniziale come se non aspettasse altro. Ad esempio, provando a vendere un contratto per la fornitura di energia elettrica porta a porta, una signora, al citofono, gli risponde in malo modo, usando parole cattive e spietate che lo feriscono dentro, facendolo desistere dopo un giorno e mezzo di tentativi andati quasi tutti a vuoto, ma messi in conto. Quel rifiuto lo denuda nella sua incapacità, e ne deve prendere atto. Nel giro di poche ore abbandona ufficialmente quel vicolo cieco.
I tanti no però, ottenuti a tutti i livelli, gli permettono di crescere, di capirsi meglio, di essere sé stesso e allo stesso tempo di mostrarsi in modo più diplomatico quando serve. Del resto gli altri non hanno mica pietà di lui, e quando capita non mancano di dirgli quanto pensano della sua immaturità ed inconsistenza.
“Tu non vivi”, gli dice in faccia una ragazza, demolendolo senza appello. Ovviamente se la lega al dito, ma incassa, e ne fa tesoro. Lei ha avuto il coraggio di dirgli quello che altre nascondevano sotto sorrisi di circostanza, sotto un velo di pietà e commiserazione, senza aiutarlo né fargli capire.
Il collezionista di rifiuti, al secolo Ercole Pazzi, qualche anno dopo, sa di avere un debito di riconoscenza con quella donna sicura di sé, ma l’ha rimossa tanto bene dalla sua mente che ora il suo viso è sfumato, e pure il nome non ricorda più. La nostra mente seleziona, lo fa in modo automatico, è costruita per questo, e quella di Ercole in questo genere di operazioni è molto allenata.
Raccoglie sempre rifiuti - ora un po’ meno, perché l’esperienza a qualcosa deve ben servire – e non se ne fa un problema, perché intanto continua a progettare cose nuove, a sognare, a vedere con la mente cose che ancora non esistono.
La sua collezione non occupa spazi in casa, né la deve riordinare di tanto in tanto, semplicemente la tiene, in testa, come una ramificazione filogenetica, come una sorta di processo di apprendimento per prova ed errore.
Quando, un giorno, svegliandosi, non avrà più la forza di sfidare la sorte e cercherà di evitare un nuovo rifiuto, saprà di essere quasi morto.

                                                                        Silvano C.©


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corrispondenza univoca


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Inventa interessi, si scopre artista e poeta, fotografo e scrittore, artigiano e cuoco. Per non essere solo, per avere una parola o un sorriso, magari rubato o falso, magari concesso solo per pietà.

Se il sesso chiama rabbioso la vergogna non si fa vedere e tutto diventa lecito, o quasi tutto. Solo con la maturità capisce che è la condivisione la soluzione, ma anche quella è una lenta conquista. È una battaglia che a volte vince, mai la guerra.

Cede, si presenta, si mostra ed è disponibile, e lo fa senza capirlo, è naturale farlo, quindi non gli costa assolutamente nulla. Non c’è alcun perché, alcuna spiegazione da chiedere o da dare. E nessun ringraziamento, solo il ricordo.

La nuova vita annulla anni di dolore e di inutilità, li giustifica e li spiega. Le frasi fatte e l’ovvio sembrano meno banali, anche se non sono mai mutati nei millenni. Quanto dura? Non per sempre, ma mutando rimane eterno.

Un desiderio soddisfatto, senza paura di cadere nella disperazione dopo aver ceduto. Un distacco formale, invece, quando si arriva a inutile sfoggio e schiavitù, possibilmente senza mai perdere di vista l’essenziale.

Stremato, alla fine, senza parole né energie residue, deve mangiare a tutti costi, riempire quel vuoto fisico, colmare sublimando e realizzando. Poi, calmato il bisogno, mutato l’umore, diventa un’altra persona, irriconoscibile, e lui stesso si pente, quando capisce gli errori stupidi dovuti solo ad un bisogno fisico che non ha dominato.

Praticamente vuole l’impossibile, e si prepara ad ogni evenienza. O almeno desidera. Vorrebbe l’ombrello se piove, l’aspirina per il mal di testa, quei risparmi nel caso di un imprevisto, e lo stesso posto ritrovato come quando lo ha lasciato. Anche le persone vorrebbe immutabili, ma queste ha dovuto accettare che cambino.

Non c’è ma è nell’aria che lo attende, pesante come quella che precede un temporale. Proiezione dei nostri figli, non più nostro, quindi, perché noi siamo ora, nel presente, e possiamo ricordare, vivere o, nel caso, immaginare.

Amiche della notte, spesso, e amanti poco tenere. Io non vi aspetto ma voi venite, a vostro giudizio, a tenermi compagnia. Non è come evocare fantasmi, che hanno umanità, è altro. Previsione o conclusione, la cosa peggiore è il non sapere (o il sapere troppo).

“Mi sembra ieri”, dici, ed era in una vita precedente, un altro anello dei tanti. Ritrovare chi hai perso da tempo ed essere ancora gli stessi, per nulla mutati, almeno in alcuni momenti magici. Poi, da vari segnali, avverti che tutto è invece diverso, e devi solo accettarlo.


Ecco, ho tentato un gioco. Mi sono assegnato 10 parole, e le ho declinate in poche righe. Ore te le scrivo, ovviamente non in ordine, e se vuoi gioca pure tu:

Paure . Amore . Fame . Vecchiaia . Futuro . Solitudine . Sicurezza . Denaro . Amicizia. Sesso
Ovviamente non vinci nulla anche se indovini la sequenza esatta, ed io non intendo spiegartela.

                                                                        Silvano C.©


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martedì 22 aprile 2014

Idiota


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Nel sito della Treccani ho trovato:  

QUAL È IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA "IDIOTA"? Ed ho letto la risposta:
“In italiano la parola idiota entra nel XIV secolo, riprendendo di peso per via colta il latino idiota. In latino, idiota significava 'incompetente, inesperto, incolto' e proveniva a sua volta dal greco idiótes. Idiótes voleva dire 'uomo privato', in contrapposizione all'uomo pubblico, il quale ultimo rivestiva cariche politiche e dunque era colto, capace, esperto; quindi già in greco idiótes valeva 'uomo inesperto, non competente'. Torniamo alla lingua italiana del Trecento: idiota vi significa (e di lì in poi significherà fino ai giorni nostri) 'che, chi è stupido, privo di senno, incapace di ben ragionare' e, anche per influsso della coeva poesia francese, 'incolto, ignorante'.

È solo la parte iniziale, perché il resto lo puoi leggere nel testo originale, di Stella Domino, cliccando qui.

Questo tema mi affascina, lo trovo attualissimo, ho il dubbio a volte di rientrare a mia volta nella definizione di “utile idiota”, ma accetto questa possibilità come inevitabile poiché devo e voglio fare scelte, e quindi posso essere giudicato negativamente da altri che non hanno le mie posizioni.

Rientrano a pieno titolo nella definizione di “idiota” tutti coloro che creano danni agli altri senza ricavarne alcun vantaggio. 
Pertanto non sono idioti i ladri di ogni genere o i vandali che per un loro fine deturpano una parete rocciosa visibile da lontano con scritte che pubblicizzano una loro posizione politica.

Sono invece perfettamente idioti coloro che distruggono il bene pubblico per il gusto di una bravata, avendone come unico compenso l’essere accettati dal branco. 
A Ferrara, in occasione della festa del patrono San Giorgio, in vari punti della città sono state poste opere artistiche per l’iniziativa:

Qualche idiota ha pensato bene di rovinare una di queste sculture, che è stata in seguito ritirata.



                                                                        Silvano C.©


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lunedì 21 aprile 2014

Via Vecchie, a Ferrara



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Percorrere la zona medievale a piedi, a Ferrara, è piacevole sempre, sia per chi vi capita sia, e ancor di più, per chi vi abita. 


Alcune vie sono a brevissima distanza da luoghi ben più famosi e conservano gelosamente lo stesso loro fascino. Una di queste è Via Vecchie, una traversa di Via Savonarola e Via Saraceno. 
Raggiungerla è facile. 

Partendo da Piazza della Cattedrale ed imboccando, a sinistra, la stretta via Adelardi (già via Gorgadello), stretta tra il Duomo ed il Palazzo Arcivescovile, passando accanto alla più antica osteria ferrarese - per Moreno Pellegrini è la più antica del mondo, oggi è Il Brindisi - si prosegue sempre diritti e si arriva in Via Voltapaletto. 
Andando ancora diritti, ecco Via Savonarola, che inizia col piazzale della chiesa di San Francesco. 

La prima strada a destra che si incontra è Via Vecchie, con antiche case medievali. Alcune di queste sono tra le più caratteristiche di Ferrara, come ad esempio quella all’inizio della via, con la particolare sporgenza su archi in mattoni che ricorda strutture più antiche, in legno (come ancora si vedono in Via Ragno, al limitare dell’antico Ghetto, all’angolo con Via Vittoria, a due passi da Via delle Volte).


Via Vecchie è da percorrere senza fretta, curiosando e guardando ogni particolare di quelle case. È suddivisa in due parti, non ha subito molti modifiche negli anni recenti e neppure durante le grandi opere di ammodernamento della città durante il ventennio fascista. Percorrendola tutta si arriva in Via Saraceno, l’antica Via Sabbioni, a due passi dalla Libreria Sognalibro.

Non sono a conoscenza di fatti storici riguardanti Via Vecchie, ma può essere interessante, per gli amanti del genere, sapere che a metà circa della strada vi si trova una Libreria e Casa Editrice, la Belriguardo, specializzata in testi antichi ed artistici. 


Tornando ora sui nostri passi, in Via Savonarola, ed allontanandosi ancora un po’ dal centro, si arriva ad un incrocio importante. A destra via Praisolo, e sinistra via Coramari. Qui due palazzi si fronteggiano: da un lato Casa Romei, dall’altro PalazzoRenata di Francia, di Biagio Rossetti, attuale sede centrale dell’Università degli Studi di Ferrara.


Proprio in questo incrocio, nella notte del 6 giugno 1508, venne pugnalato a morte Ercole Strozzi, amico e confidente di Lucrezia Borgia, figlia di Papa Alessandro IV e moglie del Duca Alfonso I d’Este. Una targa  su Casa Romei ricorda l’episodio.


Percorrendo via Praisolo si arriva all’incrocio con via Borgo di Sotto, nota un tempo come Strada della Morte, o dei Battuti Neri, perché per un lungo periodo, presso l'Oratorio di Santa Maria Annunziata, al numero civico 49 , aveva la sua sede una Confraternita che si era assunta il compito di assistere i moribondi  poveri, e, in seguito, di accompagnare nelle loro ultime ore i condannati a morte e poi di seppellirli.

Piccola Guida in Formato pdf  stampabile di Ferrara e della sua Provincia

L'immagine di apertura del post è ricavata da: Street ofFerrara / italy (by e_lisewin)
Le altre immagini sono personali.


                                                                        Silvano C.©


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domenica 20 aprile 2014

Mercatino del Libro e del Fumetto, a Ferrara


Una bella sorpresa, in questo panorama di tristezza culturale nel quale i motivi di soddisfazione sono pochi e la crisi tocca duramente le librerie, anche quelle che appartengono a grandi catene, mentre quelle piccole spesso chiudono senza possibilità di continuare la loro attività a causa di spese crescenti e calo continuo di clienti.




A Ferrara il Mercatino del Libro e del Fumetto, che tanto tempo fa aveva aperto la sua attività in Via Mazzini, quasi di fronte alla sinagoga, e poi si era trasferito in Via Scienze, dove per anni era stato un punto di riferimento per molti ferraresi e non, non ha chiuso, come avevo erroneamente capito io, ma ha riaperto in una nuova sede, in via Saraceno, un po’ più piccola purtroppo, ma per forze di cose più attenta a quanto espone. Ha un catalogo immenso, e lavora pure on-line, offrendo edizioni fuori mercato o rare. Io non ho resistito, ovviamente, ed ho comprato qualche libro. 
Uno di questi è il Diario 1922 di Italo Balbo, un grande e noto ferrarese del ventennio, personaggio diverso dal solito fascista dell’iconografia ufficiale, l’unico che non aveva paura di Mussolini e gli dava del tu, che ha saputo farsi amare sia negli Stati Uniti sia in Unione Sovietica, trasvolatore oceanico ed ambasciatore della nostra cultura.
Credo meriti una rivisitazione, a tanti anni dalla sua scomparsa in circostanze che fanno seriamente pensare ad una sua eliminazione voluta dal regime.

Curiosità:
Il libro appena comprato ha ancora le pagine interne unite, e riporta il prezzo di cortina di L. 20.
Io, ovviamente, l’ho pagato un po’ di più.


Per chi è interessato a scoprire meglio la libreria che descrivo consiglio il suo sito ufficiale e questo articolo apparso sulla Nuova Ferrara nel 2013.




                                                                        Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

giovedì 17 aprile 2014

Frida e Tina



Frida - Vengo trapassata, quasi impalata, ho 18 anni, e potrei morire ora, dovrei morire ora, lacerata e dissanguata, ma mi aggrappo alla vita e scaccio la morte, perché lo voglio, senza neppure capire perché. E voglio dipingere, prendendo me come soggetto. Il motivo? Sono immobilizzata, e dipingo come una pazza, mi scavo dentro, con più violenza quasi di quel metallo che voleva uccidermi senza riuscirci.



Tina - Ho solo due anni e sono già emigrante, in Austria, lasciando la mia Udine, ma poi torno, zio Pietro mi insegna a fotografare, e mi piace da morire.
Poi emigro sul serio, incontro Robo, mi sposo con lui e vado a vivere a Los Angeles, negli Stati Uniti, la terra del Capitalismo.


Frida Kahlo e Diego Rivera
Frida - Diego è un rospo ed un donnaiolo, l’ho preso in giro da ragazzina, ma lui dipinge murales ed è rispettato e criticato, io gli mostro i miei lavori, quando finalmente posso camminare, e lui resta colpito. Non ricorda forse chi ero, lo colpiscono le mie sopracciglia, credo, lo amo e lo odio, è capace di capirmi più di quanto io stessa possa fare, ma è un egoista che non cambierà mai. 
Tina Modotti, ritratta da Diego Rivera


Tina - Provo a fare l’attrice, ma è solo una delusione, e con Bobo le cose non funzionano più. Incontro Edward, andiamo a vivere in Messico. Lì tutto è vita, azione, e rivoluzione. Viva il comunismo. Conosco Diego, poso per lui e mi lascio sedurre. È brutto ma è unico, è un genio. Divento sempre più brava a far fotografie, e ottengo un grosso successo in una mia esposizione, al Palacio de Minerìa. 

Pan American Unity, City College di San Francisco, di Diego Rivera
Frida - Sono nata l’anno della rivoluzione, qui in Messico, perché tutto inizia in quel momento, e sono comunista, perché lo è Diego, che non solo si iscrisse al partito, ma lo fondò. E poi, quando difese le posizioni di Trockij in contrasto con quelle di Stalin, invitandolo nella nostra patria, si autoespulse dal partito e accettò di essere criticato dai compagni che prima lo osannavano. Con Lev ci sono stata, per un po’, poi mi sono stancata. Io ho amato tanti, uomini e donne. La vita mi rubato la possibilità di generare la vita, ma io l’ho vissuta.

Tina - Io e Frida diventiamo amiche. Siamo due comuniste inseparabili, e questo mi consola in parte della fine della mia storia con Edward. Protestiamo per quanto succede a Sacco e Vanzetti, e conosco Vittorio, un vero rivoluzionario, ma il mio compagno è Julio Antonio, lui è l’amore della mia vita. E me lo uccidono sotto gli occhi. Poi iniziano a perseguitarmi, e fuggo dal Messico con Vittorio. Tutto è finito. Frida e Diego sono due traditori che stanno con Trockij. Non li vedrò più.
Frida Kahlo e Diego Rivera.Marcia col sindacato artisti 1 Maggio 1929.Mexico City

Frida - Diego è andato a letto anche con Tina, lo so, ma lei è mia amica, e niente ci potrà mai separare. Ci ha anche fotografati assieme, io e Diego, e lui l’ha ritratta, perché lei è pure attrice e modella, non solo fotografa. Io non sono gelosa, e lo sono da morire.

Tina - Andiamo in Spagna, a combattere contro Franco, poi, riusciamo a tornare in Messico, e qui, poco dopo, tutto finisce.


L'uomo all'incrocio è uno dei più famosi murales di Diego Rivera
Frida - Tina non ci vuole più vedere, siamo dei traditori della causa e del comunismo. Ma io non sono mai cambiata, sono sempre la stessa, e il popolo non conta di meno, per me, solo perché lei lo pensa.



Comunisti contro comunisti, in un groviglio inestricabile di accuse reciproche e di sospetti, di prese nette di posizione a favore di una linea che non è mai una sola, mentre Trockij viene assassinato e Pablo Neruda scrive una poesia per Tina Modotti.


« Tina Modotti hermana,
no duermes no, no duermes
tal vez tu corazon
oye crecer la rosa
de ayer la ultima rosa
de ayer la nueva rosa
descansa dulcemente hermana.

Puro es tu dulce nombre
pura es tu fragil vida
de abeja sombra fuego
nieve silencio espuma
de acero linea polen
se construyo tu ferrea
tu delgada estructura »
(Epitaffio dedicato a Tina Modotti da P. Neruda)


 

Pino Cacucci scrive un libro: “Viva la vida!”, nel quale, sotto forma di monologo narrato in prima persona, racconta la vita di Frida Kahlo




                                                                        Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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