Chi, per sua fortuna o scelta, non si è allontanato dai
luoghi dove è nato per trovare altrove lavoro non so fino a che punto potrà
capire quanto intendo scrivere, tuttavia, a mio solo beneficio magari, intendo
andare avanti lo stesso, perché, se non si è ancora capito, io uso la scrittura
non solo come mezzo per coltivare il mio ego o per comunicare con altri, ma
anche per riflettere su cose che penso o son convinto di pensare, quindi scrivo
anche per confrontarmi con me stesso, prima che con gli altri.
Se mi leggi qui significa che questo post ha già superato la
mia prima rilettura, e che quindi lo ritengo sufficientemente corrispondente a
quanto intendevo dire.
Quando è davanti alla realtà si richiude in un isolamento
forzato, come se dovesse espiare una colpa. Gli anni degli studi, abbastanza
spensierati e densi di vita, sicuramente un po’ superficiali, sono ormai alle
spalle. Ora sente di pesare sulla famiglia e non gli va di continuare a
chiedere soldi.
Vuole essere indipendente, in un modo o nell’altro.
Prima di tutto rinuncia a chiedere l’auto in prestito al padre,
cerca di sprecare meno, di uscire meno, vedere pure meno gente, ovviamente, e
chiudere una parentesi della sua vita, dolorosamente.
Cercar lavoro per un giovane senza particolari eccellenze e
senza un minimo di conoscenze che possano aprire alcune porte oggi, in Italia,
è estremamente difficile, ma pure alcuni anni fa la situazione, con le premesse
ricordate, non era rosea. I migliori in qualche modo emergevano, è una legge
naturale. Lo stesso valeva per i furbi ed i raccomandati. Tutti gli altri
invece in qualche modo si adattavano, accettavano posizioni meno importanti e
meno pagate, oppure si spostavano sul territorio nazionale, per dare un senso
al loro titolo di studio.
A tavolino cerca soluzioni, razionalmente, e tenta varie
vie. Una di queste è il trasferirsi in un’altra provincia, al nord, dove le opportunità
nel suo caso sembrano ancora reali, e quindi quella diventa un’opzione seria,
da sfruttare. Ovviamente non punta solo su quella, ma inizia e tenta altre
cose, tutte abbastanza fallimentari, al limite della depressione più nera.
Un giorno di febbraio giunge una chiamata telefonica, una
sua domanda è stata accolta. Già il giorno dopo potrebbe iniziare, ma lui preferisce
rimandare di un solo giorno, e questo gli viene concesso.
Anche 40 anni fa, insomma, malgrado il ’68,non era una
passeggiata trovare un posto, ed il mondo non era diventato più giusto, solo
esisteva un ascensore sociale che permetteva ai figli di operai e della classi
più povere di tentare un salto di qualità, a spese però, alcuni pensano, di
enormi ipoteche sui giovani di oggi oppure, altro aspetto non secondario,
iniziando un degrado paesaggistico ed artistico senza precedenti nella nostra
storia. Io parlo ovviamente di lavoro dipendente, non da imprenditore o da
artigiano autonomo, poiché sono mondi che non conosco direttamente.
L’inizio è formale, lontano, freddo, in un albergo, ma ha un
lavoro. Poi le cose, poco a poco, trovano una nuova dimensione. In fondo la
distanza non è impossibile, può tornare a casa ogni fine settimana, lavora in
un luogo di vacanza, e non gli sembra neppure di lavorare. Conosce gente, ritrova
sicurezza, inizia a farsi conoscere e si fa qualche amico. La chiusura a riccio
ora è meno utile, se ne rende conto, e si sente meno “fallito”, quindi può
ricominciare a rivedere gli amici di prima, quelli che per mesi ha evitato, perché
ha cose positive da raccontare, non solo una sequenza di lamenti e dolori.
La sua nuova terra di adozione è diversa però, un po’ più
fredda, per certi versi, anche climaticamente, e non di rado si sente spaesato,
isolato, con pochissimi punti di riferimento. I momenti di calore e di amicizia
si alternano a cupa solitudine con un cielo stellato e sottozero. Si sente un
migrante, anche se non certo tra stranieri, ma comunque diverso, quello sì.
Sbarcando sulla costa italiana cerca una nuova vita, una
nuova occasione, e non sa ancora che per molto tempo non avrà dignità umana,
anche se già qualche dubbio, prima di imbarcarsi, lo ha avuto. Ma è disposto a
tutto, anche per aiutare i suoi, che son rimasti ed aspettano da lui forse più
di quanto potrà mai dare loro.
Oggi non ho soluzioni per aiutare i giovani dell’età di mio
figlio se non quella di star loro vicino, innanzitutto, e poi di cercare una
soluzione politica seria, senza avventure rischiose e pericolose, evitando i
teorici nascosti dell’evasione fiscale e della cattiva amministrazione
pubblica, dell’odio razziale e dello sfruttamento dei più deboli, cercando la
redistribuzione del reddito e la valorizzazione del territorio e delle nostre
bellezze artistiche, cercando di lottare contro gli effetti perversi della
globalizzazione liberista che importa sacrifici ed esporta lavoro, dimentica diritti
e segue come messia salvatori quelli che, prima di tutto, hanno salvato all’estero i
propri capitali.
Non ho soluzioni neppure per il problema dell’immigrazione,
ma sono certo che sarebbero possibili leggi più umane con chi è onesto ed ha
bisogno e molto più dure invece nei confronti di chi delinque, usando giustizia
e certezza della pena (anche per gli italiani, potenti o meno che siano, ovviamente).
Quando torna alle sue origini vede piccoli segni che prima
non aveva riconosciuto così chiaramente, anche se ovviamente neppure gli erano
passati inosservati.
Sente il razzismo presente in frasi innocenti e
involontarie, dette con leggerezza. Sa che non sono rivolte a lui, ma capisce
che, in un altro luogo, quelle stesse frasi, pronunciate da altre persone,
hanno proprio lui come oggetto.
Non è il paese dove è tutto facile, anzi. Diventa un
invisibile, un fastidio, un’occasione di sfruttamento, merce di scambio,
manovalanza per il crimine o per il lavoro nero e sottopagato. Se la scala
sociale ha gradini che vanno da zero a dieci, lui parte da meno cinque. Non è
un mondo di vacanze quello che lo accoglie, e la sua nuova patria per molto
tempo gli fa capire che di lui ne farebbe volentieri a meno. Oggi non sa ancora
come andrà a finire, ma intanto prova a vivere.
Silvano C.©
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