Lei venne adottata da una coppia senza figli, fu sterilizzata e crebbe sempre accudita nell’appartamento, senza mai uscire di casa. Un giorno, senza alcun preavviso, venne messa nel solito trasportino ma non per essere accompagnata dal veterinario. Fu abbandonata in un quartiere lontano, in un giardino pubblico, mentre i suoi vecchi proprietari facevano perdere le loro tracce come ladri nella notte. Per dieci giorni si aggirò nei dintorni, a volte miagolando disperatamente, altre volte nascondendosi in silenzio quando si sentiva in pericolo, cioè quasi sempre. Dario, che tornava dalla scuola, casualmente la vide, si avvicino, lei si lasciò accarezzare, lui la prese in braccio e se la portò in casa. Lei non poteva restare, non poteva per nessun motivo. Restò. Rimase con la sua nuova famiglia per quasi undici anni, e una notte, per non disturbare nessuno, capendo che era arrivata la sua ora, andò a distendersi sul tappettino del bagno. Dario, che ormai frequentava il secondo anno della specialistica in veterinaria, in città, la trovò il mattino ormai fredda. Lui, con la sua ragazza, decise di seppellirla nel prato della casa di campagna dei genitori, sotto un salice. Da quel momento la gatta guarda Dario che intanto si sposa, trova un lavoro, cresce due figli e vive con i problemi di tutti e con i momenti di felicità che spettano a chiunque, almeno ogni tanto. La gatta intanto attende Dario, ed è convinta che lui sarà felice di rivederla.
Ogni sera, per abitudine, prende di petto un problema che ha incontrato durante la giornata o nei giorni precedenti, che interessa lui o qualcun altro. Prima di prendere sonno beve un bicchiere di acqua. Il mattino dopo neppure ricorda il problema che aveva o che l’aveva impensierito.
Fu a lungo assassino. Fu anche imbroglione e ladro. Non provava nessun senso di colpa, era solo cresciuto così, orfano in un istituto, e aveva rischiato di essere ucciso a sua volta molte volte quando era piccolo e non aveva ancora fatto nulla di veramente cattivo. Quando arrivò a compiere quarant’anni volle festeggiare la sua vita senza un solo giorno di galera e con almeno dieci vittime sulla sua insensibile coscienza. Invitò in un locale costoso i pochi falsi amici che aveva e qualche ragazza che lo eccitava solo a vederla. Uno dei falsi amici gli offrì in regalo un delitto su commissione pagato molto bene, da eseguire quella notte stessa. Era sufficiente alla mezzanotte aprire la busta, leggere l’indirizzo e guardare la fotografia. Ma intanto era meglio divertirsi. Le poche ore fuggirono e lasciò la comitiva. Salì sull’auto, verificò di avere quanto serviva, aprì il biglietto e lesse l’indirizzo. Non lo conosceva, e non conosceva neppure la donna della fotografia. A occhio gli sembrò sulla cinquantina, ma la cosa non lo interessava. Il lavoro è lavoro, anche se è pure un regalo di compleanno. Arrivò alla casa di periferia, una piccola villetta bifamiliare, e vide che al numero che gli interessava ci stava ancora una luce accesa. Meglio così, pensò, mi piace fare la parte della morte che arriva di notte. Scavalcò la recinzione in cemento non molto alta e si avvicinò alla finestra illuminata. Nella stanza al piano terra vide la sua prossima vittima e rimase a guardarla per capire cosa stava facendo e se ci stava altra gente attorno. Nessuno, solo lei, che sembrava indaffarata a cucire qualcosa, forse una giacca. Si mosse attorno alla casa, trovò la porta, aprì facilmente la serratura e in un attimo, con un coltello in mano, fu alle spalle della donna. Lei neppure se ne accorse sino a quando lui le toccò la spalla. Poi lui vide la giacca che stava cucendo, riportava lo stemma dell’istituto dove era cresciuto. Quella donna aveva a che fare con gli orfani. In un secondo nascose il coltello, inventò prima una scusa incredibile e si fece raccontare da lei poche cose. Dopo le confessò il motivo che l’aveva spinto a entrare ma le promise anche che chi la voleva morta, e lui non sapeva chi fosse, non avrebbe ottenuto quanto desiderava. In pochi minuti lui mutò, divenne quello che non era mai stato. Salutò la donna spaventata e uscì. In pochi giorni sparì dal suo solito girò, cambiò casa, cambiò auto, pedinò e rimase sempre vicino alla sua mancata vittima mantenendosi nell’ombra, sino a quando vide chi era stato mandato per eseguire il lavoro che non aveva fatto. Lo conosceva, di fama, ma non valeva quanto lui. E infatti sparì nel fiume poco lontano in meno di ventiquattro ore. Dopo di lui sparirono altri due sicari, una donna e un uomo. Forse il mandante pensò che la stessa sorte era toccata pure a lui, chi può dirlo. Fatto sta che il mandante si tradì. Dal quinto sicario ottenne il suo nome, e il mandante fu l’ultima vittima dell’assassino.
One done trone, molla un bel petone. One done trone muovi l’aria per il puzzone. One done trone, adesso serve un sorrisone.
Ciao, Viz. La mente segue pensieri che non controllo.
Silvano C.©
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