Divorare un libro l’ho fatto,
magari in tempi passati, magari con testi non molto impegnati, magari facendo
solo quello per un giorno intero, magari.
Con i saggi è stato (ed è ancora
oggi) diverso, o con i testi che dovevo o volevo approfondire per studio. Quelli
non li ho mai potuti divorare, cioè leggere troppo velocemente. Spesso mi
serviva anche prendere appunti, rileggere, e, molto raramente, sottolineare
(odio segnare i libri).
Poi le situazioni mutano, si può
iniziare in parte a scegliere di fare o non fare, di leggere o non leggere, e
così mi è successo.
Ora un libro lo scelgo dall’odore,
dalla copertina, dall’età di chi ha scritto, dai consigli che ricevo, dalle
pulsioni irrazionali, dalle sensazione a pelle, dalle descrizioni in copertina,
dalle conoscenze che ho dell’autore, e da altro ancora. Poi, una volta che il
libro l’ho scelto, non sempre inizio a leggerlo. A volte lo dimentico, altre
volte lo metto in un posto pronto per quando lo vorrò prendere, e non lo trovo
più.
Insomma, quando alla fine inizio (alla
fine inizio) a leggere è solo dopo vari ed inevitabili passaggi, mai gli
stessi, o nella stessa sequenza. E allora il libro lo prendo e diventa per quel
tempo che mi serve un compagno, che sta con me anche se non lo tengo aperto e
scorro con gli occhi le sue righe.
Leggo in modo lento ed
irregolare, quando mi viene la voglia e quando posso, e non è raro che mi
addormenti alla fine di una pagina. Per pigrizia non muovo più la mano, e non
sfoglio. Poi chiudo gli occhi, e continuo mentalmente, non realmente, ma non
distinguo la differenza, perché io sono dentro la storia, sono un protagonista,
o sono vicino.
Mentre mangio velocemente così
inversamente leggo. Dovrei invertire, credo, ma intanto è così. Un libro che
finisce troppo presto non lo conosco sino in fondo. Devo andarci a letto per
conoscerlo.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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