Non so con quali sentimenti
vivo questa situazione ma mi accingo ad agire senza pensare troppo. Pensare può
diventare un problema. Pensare porta infelicità, o insoddisfazione, o confronto
impetoso, o invidia, o senso di solitudine, o il desiderio di avere detto ciò
che non si è detto… e mi fermo perché credo basti…
Quindi agisco senza farmi
domande ed entro in un edificio labirintico e pieno di vani, passaggi,
corridoi, scale e svariati percorsi obbligati per raggiungere un appartamento.
Passo per ballatoi, spazi comuni e in parte privati, salgo scale, salgo sempre,
il percorso non posso cambiarlo. Il percorso è nuovo ma allo stesso tempo
familiare.
Ad un certo punto sono
obbligato a salire su un tavolo o una cassapanca per proseguire infilandomi in
una sorta di budello stretto e scomodo su per una scaletta.
Mi sorge il dubbio di come sia
possibile un tale percorso, irreale ed assurdo, e mi chiedo pure se sia questa
l’unica via di accesso. Per procedere devo mettermi su un fianco, altrimenti
non ce la faccio. Ma come è possibile? E se ingrasso, anche di poco, poi non
posso più risalire, o ridiscendere?
Finalmente arrivo, sono
nell’appartamento, il più in alto di tutto il palazzo. Ora, a ripensarci, mi
ricorda molto vagamente il percorso accidentato che ogni volta deve percorrere Jacques Tati per entrare in casa sua in uno dei suo film.
Quel film lo abbiamo visto
diverse volte assieme, Viz. Lui alla fine arriva nel suo appartamento, e dall’altro
domina tutto il quartiere. Io invece quando sono entrato ho provato solo un
senso di tranquillità stupita, e non ho sentito il desiderio di guardar fuori. Cercavo
ed ho trovato, in modo difficoltoso ma non impossibile. Mi sono avvicinato al
cielo, anche se non l’ho visto.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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