Ti ho vista ormai non so quante volte, e non
potevi essere tu.
Mi camminavi davanti, e non mi mostravi il
viso, non eri tu.
Guidavi l’auto e sapevo che avresti potuto essere
tu, in un altro tempo, ma ho sempre frenato la mano che avrebbe voluto mandarti
un saluto.
Ombre ne ho viste moltissime, nascoste
ovunque, a volte nei pensieri altre in alcune parole di un libro o in una frase
rubata da un discorso.
I ricordi non li conto. Ogni giorno,
esattamente ogni giorno, e ne son trascorsi già ben più di quattrocento, ne
arrivano di nuovi. E col tempo mi fanno male in modo diverso.
Hai avuto la fortuna di non partire per
ultima, e per questo hai pagato pegno.
Mi capita spesso di essere costretto a
piangere, e talvolta anche non pensando a te. Recentemente mi è successo
reincontrando un personaggio del quale non si dice il nome. Oppure mi lascio
portare da qualche pensiero, che poi sparisce quasi subito.
Del resto non è l’eternità che mi manca, ma
il quotidiano. Non è la nuova fantasia, che certo non mi dispiace, ma l’abitudine.
Non vedo dove arriva il destino, non lo so
immaginare. Posso solo sapere cosa ha riservato ad altri, cioè vedere come sono
morti, alla fine, perché ora, se devo essere sincero, questa mi sembra la cosa
più importante: come si arriva alla fine. Magari sbaglio, perché certamente
prima è nostro dovere di vivere. Ma anche se avessi vissuto al meglio possibile ( e non è il mio caso) questo non
mi fornirebbe alcuna garanzia.
Se continuo a scrivere un motivo c’è, ma non
lo so più spiegare neppure a me stesso. Un tempo le ragioni erano altre, ma l’interesse
per quelle si è ridotto ed è molto più debole rispetto a prima.
Anch’io ho avuto molta fortuna, è innegabile,
ed ancora mi sembra di non saperla riconoscere. Vedremo che succederà domani,
dove camminerò, chi incontrerò, chi cercherò o mi cercherà. E non pensare che
possa far senza di te.
Silvano C.©
(La
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