L’incapacità
di entrare dentro il dolore, accettarlo e lenirlo, quando tocca gli altri, e di
curarlo, di farsene una ragione, di non tentare di fuggire, ma restare, nel modo più
giusto, per aiutare, capire, ascoltare.
Buttarsi
nel fare, nell’agire d’impulso per reagire, per non pensare, e non trovare
alcuna via praticabile, e immaginare, o sognare, come antidoto. Dormire.
La
soluzione cercata non è facile, e non si può neppure chiedere aiuto. Alla fine
si diventa ripetitivi, indisponenti, monotematici, e serve una maschera, una
adatta per l’occasione, e occorre un interesse, utile a distrarre, e forse molto
altro, difficile da definire.
Si cerca la salvezza, la migliore possibile, eciò che pesa è la
vergogna, il senso di colpa per non aver potuto o non voluto, l’ammissione dei
limiti, quelli che non si vorrebbero mai raggiungere.
Gli invitati alla festa sono eleganti,
la musica è piacevole e ogni tanto emerge una risata
nella confusione ben organizzata dei rapporti che si
allacciano
e, come è umano, mutano.
La festa è il momento pubblico, la vetrina.
Nel bagno privato del padrone di casa si asciuga una
lacrima,
ed una pillola allontana, allontana, allontana,
sino a quando si decide di rientrare.
Silvano
C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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