Alle
sette di mattina, di una mattina di novembre, un po’ nebbiosa, che senso
ha suonare al campanello di casa di un’amica senza essersi prima annunciati? È
da maleducati assoluti, come lo è ignorare lo stupore (per non usare altre
parole più adatte e colorite) e le espressioni di tutta la famiglia alle prese con la
colazione e le prime attività domestiche. Interpretare quegli sguardi positivamente è impagabile.
Vecchi
rompipalle lo si nasce, oppure lo si diventa dopo una dura selezione che porta
alcuni ad andarsene prima dell’età canonica ed altri a rinsavire, almeno in
parte, abbandonando certi colpi di testa che nessuno, sano di mente, avrebbe inserito
tra le opzioni possibili.
Giunti
ad una certa età tuttavia occorre ammetterlo, farsene una ragione. Essere
rompipalle non è una cosa della quale andare orgogliosi, ed ha un solo lato
positivo, uno solo.
Dar
fastidio agli altri con le proprie manie, i propri luoghi comuni, le esigenze
erette a diritti non negoziabili, e pensare che il mondo si debba adeguare e
non - come sarebbe più logico - il contrario, sospetto che possa
influire ad abbassare il presunto altissimo Q.I.
Non
faccio esempi, mi vergogno, sfiorerei il ridicolo, e, rendendomene conto,
soprassiedo. Ma non demordo. Sono e resto un rompipalle.
La situazione, dicevo prima, ha un solo lato positivo. Se lo sono significa che qualcuno
mi permette di esserlo. Ma forse ne ha pure un altro: rompendo dimostro anche attenzione, interesse. A tutti, in fondo, fa piacere non essere indifferenti agli altri.
Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)
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