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A volte me lo chiedo, io che ho sempre
fotografato da quando conquistai la prima fotocamera con i punti premio
accumulati con non so più quale prodotto, forse un detersivo, forse un
formaggio. Non lo ricordo.
Sono passato dalle scatolette economiche a
fuoco fisso, senza scelta di tempi e di apertura del diaframma, nel corso degli
anni, ad una reflex, una vera fotocamera non professionale ma di buona marca, corredata
da filtri, grandangolo, teleobiettivo, cavalletto e scatto flessibile. E in seguito ho
sviluppato le mie foto in bianco e nero, usando ingranditore e vaschette, carta
sensibile e reagenti; ora mi sembra un secolo fa.
Pure io ho dovuto cedere alle digitali, poi. Ieri ho incontrato una fotografa, che aveva un negozio dove mi recavo
per far sviluppare le mie foto quando un rullino era finito. Il suo negozio
ormai è chiuso da anni. Al suo posto ora vendono biancheria, mi pare. E lei
attende il tempo della pensione senza essere riuscita a riciclarsi, come in
tanti, espulsi dal mercato senza colpa, o forse incapaci di annusare l’aria del
mutamento. Qui non vorrei aprire un tema diverso, perché non era quello che
avevo in testa all’inizio, ma una cosa devo dirla. Non tutti possono
riciclarsi. Non tutti lo possono fare alle stesse condizioni di prima. L’evoluzione
economica che tanti sbandierano come opportunità è solo uno specchietto per
gonzi. La maggioranza è destinata ad essere carne da macello per i pochi che
ottengono il successo, o anche solo un posto più che dignitoso. È il sistema
economico che lo vuole, e che nessuna politica, in nessun paese o quasi, sembra
disposta o capace di cambiare. Ogni paese fonda la sua ricchezza, più o meno
diffusa, sullo sfruttamento di altri paesi o sulla negazione della parte meno fortunata della
sua società, magari gli invisibili, quelli che si vorrebbe fingere che non esistano.
Ma chiudo la parentesi, e mi chiedo di nuovo: ma perché fotografare? Sto
rivedendo i miei momenti passati, felici, e persone che ora non ci sono più, e
mi intristisco. Vedo il mio invecchiare, vedo persone che amo che mutano, e non
lo accetto. Non accetto neppure il mio compleanno, tra un po’. Perché dovrei
festeggiarlo? Se fotografo fisso per sempre un’immagine che, tra qualche anno,
mi procurerà dolore. Io le persone le voglio ricordare come decido io, non come
me le mostra una fotografia. Le voglio nella mia mente, per sempre. Non le
voglio confrontare con la loro immagine. Non è giusto. Noi non siamo nati per
fotografare, ma per guardare con gli occhi, per annusare col naso, per toccare
con le dita, per leccare con la lingua ed assaggiare il sapore, per ascoltare
con le orecchie, per tremare di paura o di emozione vivendo le situazioni, per
desiderare quello che non abbiamo, per difendere quello che ci importa più del
resto, e le persone che ci interessano. Non siamo nati per fotografare ed
affidare ad immagini statiche, immobili, innaturali, ciò che siamo nella vita. E
neppure per filmare, cosa assolutamente deleteria. Un monumento si può
fotografare, un quadro, un paesaggio, mai una persona.
Silvano C.©
(La
riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte,
grazie)
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