lunedì 2 settembre 2019

Dubbi atroci e provocazioni



Se si vive solo per vivere non ha alcun senso scrivere della vita, meglio viverla che scriverla. Scriverla è tempo perso, esattamente come restare in rete invece di uscire nel mondo.

Se si vive solo per raccontare quello che è stata la vita trascorsa, cioè rammentare la storia (e non rammendare, ovviamente) si restituisce generosamente ma non basta.

Se si punta ad un solo modo di intendere la vita, per essere breve, quasi certamente si sbaglia.

Potrei dire di più, ma raccontare è morte. Ogni libro è morte. Una fotografia, un film, l’intera storia. Un’enciclopedia è morte. Classificare significa seppellire.

La sola vita viva è quella che avverrà dopo, dopo queste parole, ovunque si vada avanti. Quel poco o tanto di vita che ci resta, non è scritto né anticipato in nessuna pagina. È imprevedibile.

Ora però, malgrado tutto e contro ogni logica, io leggo. Io cerco nella storia. Io tento di immaginare com’era una piazza, un palazzo, un semplice prato, prima. Mi affido ad autori scomparsi da tempo, perché sembra che loro, o i loro personaggi, debbano affrontare le loro vicende per la prima (ed unica) volta. Un po’ come rivedere ancora una volta la storia di Sissi e la bellissima Romy prima che diventasse veramente splendente.

E mi perdo in modo confuso; ma dove è scritto che io debba dire a me o ad altri la via giusta per vivere?

                       Ciao, Viz, tu sei nel futuro.

                                                                                               Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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