Se me lo avessero detto più di settanta anni fa non ci avrei creduto o, magari, allora avrei pensato di essere o eterno o come minimo immortale, malgrado avessi già avuto i primi incontri con la morte. Del resto sino ad allora io non ero mai morto, i miei non erano morti, la vita andava avanti e sembrava che ogni anno ne durasse dieci. Prendevo le misure al maialino che cresceva. Assistetti alla sua ultima ora, perché così era normale nei cortili di campagna di un tempo. Per noi fu una festa, non per lui. Lui non ebbe il tempo di invecchiare, quel tempo che è concesso in modo imprevedibile a qualcuno sì e a qualcuno no. Un’operatrice impegnata nelle cure palliative ha detto, in un’intervista, che lei si prende cura di chi affronta un momento difficile che non sa capire, pieno di paure, e che lei per prima non sa dire perché chi segue ha un destino diverso dal suo. Poi ha spiegato che semplicemente quelle persone a lei affidate probabilmente vivono quello che lei vivrà in futuro. Un po' come gli alpini dicono dei loro compagni che sono mancati, sono solo partiti prima di loro. Il destino comune, se ci è favorevole, ci fa invecchiare. Altro non aggiungerei, perché il solo ricordare le cure palliative mi fa male. Ciao Viz, con immensa nostalgia.
Silvano C.©
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