venerdì 13 luglio 2018

Anamnesi



Leggo articoli, romanzi, saggi. Vedo film talvolta leggeri o non di rado impegnati. Osservo il comportamento di persone vicine o di semplici incontri occasionali. Ascolto discorsi rubati per strada oppure resto al telefono con amici, o ancora meglio ci parlo direttamente.
Ed ogni occasione, ogni spunto, ogni considerazione o suggerimento mi vorrebbe spingere in direzioni diverse, mai le stesse, mai coincidenti, mai le mie prime scelte.
Non esiste una sola risposta alle troppe, infinite domande.

Perché stavolta è più duro, più difficile da accettare, perché a me e non a te o ad altri, c’è una sorta di giustizia o di compensazione come se esistesse un paradiso o un inferno in terra, prima di quello che la tradizione cattolica vorrebbe dopo la nostra vita?

Ed è giusto tentare di evitarlo il dolore che ora mi prende? La vita richiama vita, non ha bisogno di motivazioni. Esiste un istinto di sopravvivenza legato al nostro DNA e comune a tutti gli esseri viventi, ma oltre c’è altro: il senso che diamo alla nostra vita, il nostro personale perché.

Alcuni mi dicono di distrarmi, di andare lontano, di buttare molte cose, di cambiare abitudini e percorsi, di continuare ad andare avanti e trovare nuovi interessi, e così intendono anche nuove persone, nuova linfa e, in definitiva, uniformarmi alle loro scelte personali, al loro modello, reale o ideale non so, perché anche loro sono alla ricerca, e magari cercano in me le loro risposte, chi può dirlo?

Io invece resto qui. Topologicamente vedo il mutamento che non cambia la sostanza. Omeopaticamente ricerco particelle infinitesime della tua presenza ripercorrendo a volte in modo forse ossessivo alcuni corridoi, dove siamo passati molte, troppe volte. Rivedo e rivivo la nostra spiaggia in Puglia, un campeggio sulla strada poco dopo Berlino, la sabbia negli occhi della Danimarca, l’osteria del Chiuchiolino o il Cangrande (chiuso da anni per motivi di igiene).  Ho il terrore di rivedere i luoghi della felicità inconsapevole e dove da troppo tempo non vado; non vorrei ritrovarmi addosso un peso troppo grande da sostenere o, forse, sentirmi straniero in un posto ormai sconosciuto perché troppo cambiato.

E il dolore poi, perché fuggirlo? Certo non mi fa piacere, lo eviterei se potessi, ma non ne ho facoltà. Evitarlo evitando te è impossibile. Mantenerlo, se è la sola condizione per farti restare, è necessario. Le altre perdite le ho accettate molto in fretta, egoisticamente, naturalmente, le ho vissute come atto dovuto, perché esiste un tempo per ogni cosa. Anche quelle, tutte, mi hanno lasciato la bocca amara per ciò che non ho fatto quando avrei dovuto, per le cattiverie e gli errori, e mi tengo i relativi sensi di colpa, che però mi lasciano dormire, mi hanno sempre lasciato dormire.
Stavolta no. Per dormire dormo, non perfettamente ma dormo. Tuttavia i sensi di colpa persistenti, l’accettazione di quanto è successo che non mi arriva mai ed il rifiuto di vederlo come fatto naturale, ed anche la mia negazione stupida di darti felicità quando ne avrei avuto la possibilità devono restare. Servono a darmi un segno di quanto ho sbagliato, a controbilanciare quello che pure ho fatto di positivo, perché per fortuna anche quello potrò forse ricordare un giorno se dovrò sostenere un esame finale da parte di chi resterà dopo di me o da chi mi riceverà quando me ne andrò.

E intanto resto qui, e ogni giorno ti penso. Anche se scrivo di meno recentemente avrei mille spunti, mille cose da ricordare, mille episodi divertenti, buffi, tragici, curiosi, e, comunque, solo nostri.
Ma sono sempre qui, e non serve dire ogni cosa, vero Viz?


                                                                                    Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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