sabato 31 marzo 2018

La mia gelosia



Che cosa strana è la gelosia nel significato che io attribuisco al termine. Resta difficile e strana, bisogno di possesso forse, o di un legame più esclusivo probabilmente. E questo solo dal mio punto di vista soggettivo, certamente emotivo, ma non perché, come recita una definizione ufficiale, io possa temere insidie da parte di rivali.

Eppure con te mi è successo e mi succede ancora oggi, e mi capita in un luogo dove sembrerebbe assurdo e contraddittorio. Da un po’ di tempo inizio a capirla questa mia ultima deviazione, al limite del patologico. È il naturale sviluppo di quello che fummo, la necessità di poter fare cose solo tra noi senza terze persone. Andare ad esempio ad una fiera di paese o ad una mostra o in vacanza escludendo tutti gli altri, o ritagliandoci un nostro spazio privato, da condividere magari dopo, ma non completamente. Ed infatti neppure qui, dove continuo a raccontarti cose, mi sembra il caso di scrivere di alcuni aspetti o momenti che, a rigor di logica, non avrebbero nulla di veramente privato.
Non sarebbe giusto. Verrà il tempo o l’occasione, di tanto in tanto, con qualcuno, ma non avverrà mai in modo totale.

Il luogo assurdo al quale accennavo è quello che non mi piace nominare, che mi suona fastidioso e impietoso. Vengo spesso, lo sai. Se posso anche più di una volta al giorno, e non mi costa niente. Pochi passi, pochi minuti per arrivare e per poi restare un attimo, veramente un nulla, e non ci sarebbe motivo logico per continuare a farlo, ma io ne ho bisogno. E quando arrivo e vedo persone che si aggirano accanto a dove sei (o non sei), oppure stanno a parlare tra loro a poca distanza, io rimango scostato, non mi avvicino. Aspetto che si allontanino, mi infastidiscono, e solo dopo mi posso muovere e restare una manciata di secondi. Non mi serve di più.

Poi proseguo, vado dove dovevo andare ma più sollevato e leggero, e sento di non essere solo. Questa è la gelosia per me.


                                                                                         Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

venerdì 30 marzo 2018

ancora tu



Sì, sì, dici dici e poi so come fai…

Cosa vuoi dire?

Lo sai benissimo.

Sei ingiusta, sai che non è vero

So che non è vero, però…

Io a volte, per dirti una cosa meno scontata, rifletto su come avrebbe potuto andare se ci fossimo comportati diversamente, se fosse finita in un modo che ora non so descrivere, ma certamente non così, non in questa maniera orrenda e da non augurare a nessuno…

Cioè?

Se tu mi avessi tradito o se lo avessi fatto io, ma sul serio, per cercare altre e farmi una vita diversa, se ci fossimo lasciati non così… che non è stato neppure un lasciarci, o almeno non certo con la nostra volontà…

Ancora non ti capisco…

Eppure e facile. Forse ora starei meglio, chi lo sa. Forse ora potresti essere ancora in vita, non so immaginarlo. Forse condurremmo i giorni in modo piacevole, ancora. Non so veramente capire quanto avrebbe potuto influire una separazione seria ed un nostro allontanamento, magari avremmo iniziato a fare esperienze diverse, forse questo avrebbe portato conseguenze sulla tua salute, forse oggi magari starei pure molto peggio, se poi in ogni caso il destino fosse andato avanti sulla sua strada.

È inutile, ora. Non serve a nulla…

So che è inutile, ma la mente vaga e cerca domande e risposte. Non la posso bloccare. A volte cerco persone, e mi manca qualcuno, ma non sarebbe mai lo stesso, e la mancanza non è quella che avrei immaginato prima, molto prima. Tu in realtà non manchi, sei come il vento che arriva imprevisto, ovunque mi trovi, o il pensiero di un progetto che ritorna, e lavora sottotraccia, in modo costante e discreto. Se ancora oggi mantengo una parvenza di libertà lo devo solo a te. E sempre a te devo il modo col quale filtro, ora, la realtà. È così. E ti dedico un pezzo di Battisti che hai ascoltato, tra gli altri, tantissime volte.


                                                                                         Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

lunedì 26 marzo 2018

un sogno e l’ulivo



Un sogno
Stavamo in mezzo ad una folla che veniva in senso contrario, tantissima gente, una specie di esodo, di fuga da qualcosa di terribile, ma senza alcun senso di paura o di allarme tra tutti quelli che ci venivano incontro tra le vie strette e il percorso obbligato. Semplicemente noi dovevamo andare da quella parte e loro, tutti loro, occupavano l’intero spazio della carreggiata per venire verso il luogo dal quale noi venivamo via.
Controcorrente, ecco, ora ho capito perché. Andavamo, al solito, in luoghi diversi, a cercare non so cosa. Ad un certo punto mi sono ritrovato su una piccola bicicletta, e, tenendo rigorosamente la destra, ho iniziato a pedalare e a farmi largo, ottenendo strada, convinto che in tal modo tu mi avresti seguito più facilmente sulla mia scia, anche se in quel momento non lo avevo capito in modo cosciente. Per me era scontato, sottinteso. Del resto è difficile stabilirlo chiaramente, in una situazione simile di confusione e di condizione vagamente, e per qualche oscuro motivo, irreale.
Mi sono ritrovato a portare dietro di me un ragazzino, mai visto prima, che, salito sulla bicicletta alle mie spalle, si è fatto trasportare e venire nella mia direzione. Anche lui controcorrente, e non ne so il perché. Sembrava scuro di pelle, con caratteri somatici indiani o pachistani, ora mi confondo, non l’ho guardato con attenzione.
Io e lui, in bicicletta abbiamo affrontato la marea contraria, siamo saliti su uno stretto ponte con binari e poi ne siamo scesi, e finalmente siamo arrivati in un punto di relativa calma. Ma tu non c’eri, e me ne sono reso conto, mentre pensavo che tu fossi poco dietro.
Ho aspettato che passasse un treno, o un tram, e che di nuovo il ponte fosse libero, e sono tornato indietro. Sono salito e poi disceso.
In poco tempo ti ho riconosciuta nella strada stretta e affollatissima, da lontano, e ti ho raggiunta. Tu portavi una borsa, forse due, e mi dicevi che avevi trovato provviste. Probabilmente per quello ti eri fermata ed eri rimasta indietro… e mi sono svegliato.

L’ulivo
Ti ho portato il ramoscello di ulivo. L’anno scorso non l’avevo fatto, neppure ci avevo pensato…
Me ne ero accorta. Grazie per quest’anno.
Già, perché poi l’anno scorso no? Misteri del mio pensiero. E poi mi è venuta una domanda, alla quale non so rispondere.
E sarebbe?
Ma perché tu, che non ci credi, hai sempre voluto andare a prendere, la domenica delle palme, qualche ramoscello di ulivo?
Non posso dirtelo.
Come non puoi dirmelo?
Lo sai cosa intendo. Io non posso darti risposte che tu già non conosca, io vivo in te, non me lo far ripetere.
Non dovresti, in effetti, essere troppo razionale. Lasciami l’illusione, almeno quella.
Eppure sai che in fondo non sappiamo nulla. Stamattina poi sono venuta. Non sono andata via del tutto e per sempre.
Vero, e anche non vero. Ma va bene. Mi ha fatto piacere. Ma io sinceramente me lo chiedo, perché il ramoscello di ulivo? E non ricordo se ne abbiamo mai parlato. Lo facevamo e basta, senza un perché, solo perché era così, era tradizione, era sempre stato così…


                                                                                         Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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