lunedì 22 gennaio 2018

vedi caro




Vedi caro il mio Camillo, o Filippo, scusami sai, ma non ricordo bene i nomi e me li confondo, ho troppi studenti, troppi, e non restano mai gli stessi, cambiano ogni anno, anche i migliori ai quali mi affeziono, che poi dicono sia giusto, che sia naturale andare avanti, ma io intanto dove vado? Non mi pare di andare molto avanti da qualche tempo. In ogni caso, Davide, tu sei Davide, vero, mi sembra che sia quello il tuo nome, il problema è che stiamo perdendo il legame con noi stessi e con chi eravamo prima di adesso. Alla tua età, Andrea, io avrei spaccato il mondo o mi sarei buttato senza pensarci troppe volte in imprese senza speranze ma solo con l’illusione di fare qualche cosa di positivo, o di soltanto bello. Ora che le speranze le ho perse quasi tutte vorrei trovare luoghi sicuri, che mi ridiano le motivazioni e le rassicurazioni. Ho sete di consolazione, sto diventando debole, è un segno che il mio tempo sta finendo. Ma vedi caro il mio Giovanni, abbiamo perso il contatto con l’uomo, ora siamo numeri, peggio che nei campi di sterminio. Peggio perché ci sembra di aver conquistato la democrazia e l’uguaglianza e tanti diritti mentre siamo solo più lontani uno dall’altro. Abbiamo assistenza ma siamo soli. E perderemo anche l’assistenza ma resteremo soli, caro il mio Vincenzo.
(Da un dialogo tratto da “L’errata ragione”, di Giampaolo Guezzi Roversi)

Quando un dirigente scolastico si ritrova a rivestire il ruolo che prima era di tre direttori didattici e di due presidi, cioè a dirigere 5 diversi istituti scolastici con oltre 800 alunni e più di 150 insegnanti, senza contare i vari assistenti nelle classi e tutto il personale non insegnante in segreteria e nelle varie sedi e succursali come potrà mai avere un rapporto umano con i suoi troppi alunni? Non sarebbe stato meglio lasciare in ogni sede un dirigente con meno potere e una retribuzione più bassa ma molto più attento ai bisogni delle persone?
Il problema della razionalizzazione passa anche attraverso l’annullamento dell’umanità, di quella che un tempo si chiamava solidarietà di quartiere, di paese, di vicinato, tra colleghi. E calpesta in modo irrazionale esattamente quei bisogni che apparentemente dice di voler difendere.
In una società più giusta ma più fredda, attenta ai principi di fondo ma disposta, per quei principi, a non ascoltare il grido che, di tanto in tanto ognuno di noi lancia nel vuoto alla fine tutti perdiamo qualcosa per avere in cambio solo il bisogno di denaro, che da solo non basta mai.

Io avrei bisogno di un medico che mi tratti da amico, che si interessi a me personalmente e non nella massima correttezza possibile ma sempre a distanza, per non dare l’impressione agli altri di fare favoritismi. Se io fossi seguito in tal modo il medico mi direbbe di fare controlli anche quando non necessari secondo le tabelle ufficiali, e, forse, mi potrebbe scoprire un tumore in fase molto precoce e permettermi così di curarmi nel modo migliore, prima che diventi troppo tardi. Però se un medico deve avere 1500 assistiti è difficile che possa curare tutti con la stessa attenzione, come se fossero suoi amici, o parenti, o meritevoli di interesse specifico.

Avrei bisogno di un sindacato capace di seguire le mie esigenze e quelle di mio figlio e dei miei familiari, di essere consigliato meglio riguardo ai miei ed ai loro diritti, sia che lavorino, sia che siano in pensione sia che il lavoro lo cerchino. Ma il sindacato non ha personale che segua in modo continuo i suoi stessi iscritti, quindi io non ho il mio sindacalista personale ed ogni volta ad ascoltarmi trovo l’incaricato del momento, non la stessa persona. E in questo modo, a volte, posso perdere l’occasione per fare la domanda giusta per avere la pensione che mi spetta, o la riduzione nelle tasse prevista dalla legge ma della quale io non sono (colpevolmente) a conoscenza.

Avrei bisogno di un impiegato delle poste o della banca che mi rispetti come persona e non mi tratti solo da cliente al quale proporre un prodotto commerciale molto utile all’istituto ma non al sottoscritto. In questo modo sentirei maggiormente fiducia in chi mi sta di fronte invece di dubitare sempre di più davanti agli impiegati ogni volta nuovi che mi ricevono e che, alla fine, mi trattano solo come un numero.

Io non vivrei mai in un piccolo paese, e non tornerei mai dove son nato, mi sentirei soffocare. Non rinuncerei mai al condominio non potendomi permettere una casa indipendente con il minimo di sicurezza che ritengo necessaria, oggi. In queste mie scelte però, che hanno coinvolto milioni di italiani come me, c’è il seme di un mutamento drammatico, forse irreversibile, che mi ha condannato a quello che cercavo: l’anonimato.
E nei confronti di un anonimo si deve essere corretti, rispettosi delle leggi e della buona educazione, ma non è necessario essere amici.


                                                                                         Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti offensivi o spam saranno cancellati. Grazie della comprensione.

Post più popolari di sempre

Post più popolari nell'ultimo anno

Post più popolari nell'ultimo mese

Post più popolari nell'ultima settimana