martedì 28 novembre 2017

ombre


Le ombre non esistono, sono parziale assenza di luce, esiste la superficie illuminata e quella non illuminata direttamente dai raggi ma che riceve la parte di visibilità che le spetta dalla diffusione attraverso l’aria. Serve il vuoto assoluto per avere l’assenza completa di luce e un’ombra totale, senza incertezze.
 
Tra di noi le ombre restano, arrivano quando arriva la luce, si affievoliscono sino a confondersi col buio quando scende la notte, ma restano.
Ci precedono e ci seguono. Ognuno di noi ha la sua o le sue ombre, mutevoli ma fedeli, immancabili.
E sono legate a noi, indissolubilmente. 
Sono parte di noi, senza di noi non potrebbero esistere, e per noi sono naturali, scontate, amiche spesso all’apparenza indifferenti.
Noi siamo già in parte ombra, ci prepariamo al momento nel quale pure noi lo diventeremo, e ci attaccheremo alla vita di chi cammina ancora per seguirlo, accompagnarlo, sorvegliarlo, anticiparlo, dare consigli muti e spesso inascoltati, ma ci saremo, esattamente come le molte ombre che ci stanno attorno.

La fisica diventa metafisica perché non basta dare una spiegazione logica per capire. Ci si accontenta spesso dell’apparenza, è necessaria per non perdersi nella pazzia, ma da sola questa farebbe più danni della pazzia stessa quindi deve venir mitigata e corretta.
Ed allora, da oggi, ho deciso che ogni tanto guarderò meglio le ombre che non mi lasciano mai, e ti cercherò tra loro.

Immagine: René Magritte - The Empire of Light


                                                                                              Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

lunedì 27 novembre 2017

allegria

Spaccherei virtualmente qualche testa, prenderei a male parole qualunque malcapitato, maledirei chi penso io e magari bestemmierei, se sortisse un effetto utile a risolvermi qualche situazione.
Urlerei forse o farei danni e troverei sfogo prendendomela contro le cose che tanto non hanno colpe, sono solo cose.
Darei indicazione sbagliate ad un turista antipatico che vorrebbe arrivare in centro facendolo smarrire nel traffico tra sensi unici ottusi e lavori in corso permanenti.
Farei dispetti a chi abita di sotto e continua a non rispondere al mio saluto poi negherei con la miglior faccia tosta di essere stato io a gettare quel sacchetto sporco di grasso che ha macchiato il suo bucato steso ad asciugare.
Darei appuntamento con invito a cena ad un amico ritardatario cronico e poi, dopo aver spento il cellulare, cercherei di uscire con una ragazza conosciuta da poco. Se lei non accettasse rimarrei tranquillo in casa a leggermi un libro.
Passerei spesso proprio davanti a quella casa e suonerei il campanello ogni volta allontanandomi subito dopo. Quella persona saprebbe il perché, e se non lo capisse non sarebbe un problema.
Prenderei a male parole chi mi capitasse di veder gettare a terra un mozzicone di sigaretta, ma farei attenzione ad evitare di prendermela con qualcuno più grosso di me. A quest’ultimo potrei semplicemente, non visto, rigare l’auto.
Entrerei in un condominio elegante dove abita gente spocchiosa e getterei una fialetta di acido solfidrico nell’ascensore, ma solo se questo, una volta arrivato al piano, richiudesse subito dopo le porte.
Sgonfierei le gomme delle biciclette più costose.
Butterei palloncini con vernice sulle auto che passano veloci sulle pozzanghere spruzzando i pedoni sul marciapiede.
Riderei di gusto vedendo chi dico io inciampare mentre è intento a guardare il suo smart.
Vorrei essere allegro malgrado tutto e vendicarmi per ogni minimo torto subito, anche se poi quel torto me lo sono solo immaginato.
Sarei pericoloso se volessi essere allegro a spese altrui.

                                                                                              Silvano C.©  
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lo spirito del Natale

Ho notato ieri passando a trovarti una piccola area di un prato rivolta a nord accanto ad un muretto dove non arriva quasi mai il sole, neppure a mezzogiorno in estate.
Ho visto il muschio discreto che la colonizza senza invadenza, lasciando spazio a molte altre specie vegetali.
Ho pensato a quando, tantissimi anni fa, più avanti nella stagione e solamente alla vigilia delle festività, andavo nelle campagna attorno a casa a cercare il muschio fresco per il presepe. Ne raccoglievo abbastanza per creare prati dove immaginavo di camminare e dove poi, effettivamente, il gatto di casa passeggiava e prendeva possesso del nuovo spazio. I ciocchi di legno diventavano improbabili monti a Betlemme e solo un paio di palme di plastica tentavano con poco successo di aggiustare la geografia fisica. Il presepe era incongruente ma vivo, irripetibile e fantastico.
Quello è stato il momento nel quale ho maggiormente sentito lo spirito del Natale. È durato una manciata di anni, pochissimi, poi persi l’innocenza dell’attesa e dello stupore.
Cominciai a capire troppe cose, rimasi deluso, e quando mi resi conto che io potevo influire direttamente sui tempi e sulla tradizione di famiglia iniziai a smarrire il mio interesse, che divenne solo ripetitivo.
Tu sentivi maggiormente il senso della tradizione, la facevi tua e me l’hai trasmessa. In seguito ho ripreso il presepe, per nostro figlio, ed ho ritrovato il mio piacere nei suoi occhi. Poi, in parte, il nostro vivere divisi dalle famiglie di origine ci ha portato assurdamente a dividerci esattamente nel periodo di Natale. Non maledirò mai a sufficienza il destino per questo ed altro che ci ha colpiti sino a farci trascorre, già dallo scorso anno, il nostro Natale divisi come mai prima.
Non cedo più alle sue lusinghe, le avverto e mi feriscono, a volte mi lascio prendere per alcuni minuti. Lo spirito di allora è morto, sopravvivo però.
Non dispero in assoluto, sono possibilista, la tua assenza forzata mi indebolisce e mi rafforza, mi offre visioni nuove e ridimensiona antiche paure.

La sola paura recente che si è materializzata mi basta ed avanza per le prossime feste ormai alle porte. E io devo ancora capire sino in fondo, ancora non mi ha convinto. Tu sei qui.


                                                                                              Silvano C.©  
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domenica 26 novembre 2017

migliaia di morti


Ma che vacanza è quella che ti porta a visitare immensi cimiteri in Normandia o ad entrare nel campo di concentramento di Dachau? Eppure lo facemmo, questo, ed esattamente mentre stavamo girando per l’Europa, in vacanza.
E poi vedemmo l’antico confine di Monte Croce Carnico dove italiani ed austroungarici morirono da una parte e dall’altra per un’idea di Patria ora messa in discussione. Quanta morte senza una giustificazione condivisa ed accettabile. Quanti morti che qualcuno vorrebbe o dimenticare o utilizzare per una propaganda di parte, sbagliata per definizione.
I fascisti eressero immensi ossari raccogliendovi i caduti della Grande Guerra mistificando in parte a loro vantaggio le motivazioni di quella tragedia, eppure, entrando in quei monumenti, non è possibile scordare che quelle migliaia di giovani morirono veramente, non fu uno scherzo, loro la vita furono costretti a lasciarla prima del tempo. Molti furono volontari, ma molti di più non avrebbero voluto, la maggioranza di loro non avrebbe mai scelto di andare in guerra.

E poi i luoghi che non abbiamo visto o che abbiamo visitato prima della tragedia, come la ex Jugoslavia. E quelli dei genocidi, degli attentati e delle stragi che continuano pure ora, senza una fine, senza la speranza che possano finire.
Ed i migranti che muoiono adesso tentando di fuggire dall’orrore o dalla fame.

I morti non sono tutti uguali tra loro, qualcuno meritava meno di altri di morire.

E non scordo le persone che ho amato, o chi dovrebbe essere ricordato perché ha reso la sua vita importante per gli altri. Quindi è giusto, ora, che io dedichi parte del mio tempo alla memoria ed alla storia, anche se con i miei immensi limiti.
Quello che io sono oggi lo devo a te, Viz, e non solo a te. Quello che abbiamo ricevuto di positivo noi italiani ed europei lo dobbiamo a molti che sono in parte raccolti in quegli immensi cimiteri ed ossari.
Ed allora serve ricordare qualche persona, magari poche ma è necessario. Serve dedicare un po’ di tempo alla memoria.

Io ho tentato di mantenere il ricordo di alcuni, oppure ho contribuito a farlo. Persone di cultura o uomini a loro modo giusti, positivi malgrado gli errori umani. Alcuni nomi? Eccoli: Khaled al-Asaad, Andrea Bolzoni, Emily Davison, Dietrich Flade, Aristide Foà, Adriano Franceschini, Renzo Ravenna, Girolamo Savonuzzi e Fortunato Zeni.
È utile anche per me capire e scoprire fatti del nostro passato, pur sapendo che il lavoro da fare sarebbe immenso e che io mi devo limitare a semplici cenni.
E poi, ritornando sul fatto che secondo me non tutti i morti sono uguali tra loro, mi verrebbe da sperare che esista veramente una vita futura, un tempo nel quale ognuno riceverà finalmente giustizia, il castigo o il premio. Due sole osservazioni in merito. La prima è che sono felice di sapere che non sarò il giudice. La seconda è che, a prescindere da quello che avverrà o non avverrà, io vorrei giustizia ora, nella vita attuale, e ti vorrei ancora qui, Viz.


                                                                                              Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

una gita a Venezia


I primi approcci tra mille dubbi, attese, e il senso nuovo del mai sperimentato. E il timore di essere troppo veloci o troppo prudenti, come a voler sottintendere un interesse eccessivo, quindi sospetto, o limitato, segno di scarsa disponibilità e attenzione.
L’inizio di una relazione parte sempre da posizioni incerte, da sabbie mobili che confluiscono e si mescolano tra loro, ammesso che si comportino come un fiume ed il suo affluente.

Io ricordo i nostri primi tempi, quando era evidente un interesse reciproco ma non facilmente interpretabile, e in particolare una gita a Venezia che feci con gli amici di allora, amici pure tuoi ma troppo recenti per essere inclusa tra gli invitati a quella breve trasferta, e pure tu conoscenza troppo recente per me per includerti a mia volta, di mia iniziativa.
E fu così che rimanesti sola per quel breve fine settimana, mentre io ti pensai col dubbio che ti avrebbe fatto probabilmente piacere quel viaggio e che sarebbe stato il caso di invitarti.
Dopo tutto fu chiaro, ma dopo. Dopo recuperammo ampiamente e gli amici vennero un po’ messi da parte quando si trattò di dare priorità ai nostri impegni, e la selezione fu naturalmente conseguente. Dopo facemmo scelte prima di altri, anticipammo e andammo per la nostra strada.

Di quella gita a Venezia ricordo poche cose, nessuna con grande nostalgia. Mi è rimasto impresso un nostro caffè consumato in piazza San Marco al Gran Caffè Quadri e della richiesta di un’amica al cameriere di avere un secondo caffè. Il cameriere le ricordò che la consumazione costava molto e lei si arrabbiò offesa da quell’osservazione. Non ricordo le parole esatte che si scambiarono, ma il momento sì. Era un mondo che non mi apparteneva e che mi rifiutava, per certi aspetti. Un mondo che non ho mai cercato in tutta la mia vita e che solo raramente mi ha sfiorato. Ho sempre avuto altre aspirazioni ed ho sempre saputo stare al mio posto, senza minimamente ambire a posizioni d’immagine. Altri invece, in quel gruppo veneziano, sognavano la scalata sociale, ed infatti uno di loro in particolare recentemente l’ho perduto definitivamente. Grandi aspirazioni piccola persona, questo era ed è rimasto.

Sarebbero stati diversi quei giorni per me, lo so, ed ora li rivorrei indietro per riviverli in altro modo. Quelli e molti altri.

                                                                                              Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

sabato 25 novembre 2017

La vedova allegra


-        Sono tornata, Bosco, ci sei?
Silenzio
-        Bosco?
Ancora silenzio.
Siggy non capisce, Bosco dovrebbe essere a casa, solitamente in quel momento lui non ha altri impegni, e non l’ha avvisata di contrattempi. Quindi come mai non c’è?
-        Bosco?
Ripete ancora una volta, e ancora nessuna risposta.
Si toglie il giaccone nero, appoggia la borsa, si siede e toglie le scarpe da esterno, poi si guarda attorno, preoccupata. Bosco non c’è. L’appartamento è silenzioso. Non arriva alcun rumore neppure dal piano di sotto né dalla strada o dalla ferrovia. Ma che succede?
-        Bosco non puoi raggiungerlo, Siggy, non sei più tra i vivi. Lo hai scordato? Non te ne sei resa conto?
Siggy si gira di scatto, ma non vede nessuno. Chi ha parlato?

Sono trascorsi anni, forse solo mesi, magari invece pochi secondi o molti secoli. Il tempo è strano. Siggy è vedova. Ha perduto Bosco. Non le va di essere considerata morta, ed infatti secondo lei è una convenzione, anche se risulta confinata in un contesto decisamente immodificabile.
Si trova in una condizione parallela, si considera normale e si vede come era precedentemente, almeno in parte, e non accetta le spiegazioni che una voce testardamente senza corpo visibile insiste a fornirle.
È Bosco ad essere sparito mentre lei continua una sua vita apparentemente simile, ma non è certa di rivedere esattamente le stesse persone, il dubbio in proposito le cresce lentamente.
Dice di essere vedova, a chi le fa domande in merito, vedova di Bosco. Su questo punto non ha alcuna incertezza.

Si adatta alla realtà del momento, si sente apprezzata da amici e conoscenti, allaccia nuovi rapporti, sorride anche quando è giù di morale o alcuni pensieri fastidiosi o, peggio, dolorosi, le affiorano sopra gli altri. Il suo sorriso è contagioso, secondo chi la frequenta, e la sua leggerezza è sempre più apprezzata. Anche chi la vede accetta di chiamarla vedova, e lei sorride, malgrado questo, dice che può succedere, che non scorda ma che la vita va avanti. Tuttavia la voce continua di tanto in tanto a ricordarle che è morta.


-        Ma se sono morta, ora dove sono?
Nessuna risposta a questa domanda, mai.
Ora si possono fare molte ipotesi in proposito, una più assurda dell’altra e nessuna di queste con un minimo di prove attendibili, di credibilità.
Si potrebbe trattare del paradiso, del purgatorio, degli inferi, dell’aldilà, di una vita migliore, si potrebbe pensarlo, ma lei non lo crede. Non si sente vivere in un mondo migliore, se non c’è Bosco. È vero che ha avuto momenti, prima, nei quali ha pensato di non essere amata abbastanza, ma era prima, appunto. Poi ha capito. Se anche aveva avuto ragione poi ha ricevuto prove diverse.
Si potrebbe trattare di un universo parallelo, di fantascienza insomma, di proiezioni nel futuro di realtà precedenti. Lei però non è mai stata amante della fantascienza, quindi l’ipotesi è decisamente incredibile.
Potrebbe trovarsi in una forma di coma e vivere un eterno presente, almeno sino a quando il suo corpo resterà in quello stato apparentemente vegetativo. Non sa come le è venuta quest’idea e non può verificarla. Ogni tanto prova a darsi un pizzicotto o a mettere una mano sotto l’acqua gelida o a fumare una sigaretta, ma non è disponibile ad azioni pericolose come ferirsi volutamente o bruciarsi con un accendino.
Ha iniziato a confidarsi sui dubbi che le vengono con alcune amiche, e loro l’ascoltano, la capiscono, e si rendono conto che ha veramente perso Bosco, anche se non sanno spiegarle come è avvenuto. La seguono mentre racconta di lui, lo fanno con sincerità, ma questo non l’aiuta a conoscere la realtà vera. Ammesso che esista una realtà definibile vera, ed ammesso che lei sia una vedova allegra, o certamente sorridente, con chi incontra.
E poi pensa che con Bosco non è quasi mai andata a ballare, ed un po’ le spiace.


                                                                                              Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

abissi




Riesci ad immaginare cosa si prova?
Eppure anche tu hai vissuto quei momenti, e stavi o da una parte o dall’altra, o forse solo guardavi, felice di non essere protagonista nel bene o nel male.
Sai di cosa parlo, certo che lo sai. Tutta la tua vita ne è stata influenzata.
                                                                        (Anonimo vissuto a cavallo tra due secoli)

Vivere in una parentesi lo si capisce solo dopo averla vissuta, non prima, non nella sua completa percezione. Forse che la nostra vita la intuiremo sino in fondo solo dopo la nostra morte? O che invece la intenderanno esclusivamente gli altri, quelli che resteranno? In entrambi i casi non so dire, non avendo fede in vite future non posso né negare né credere di potermi giudicare o vedere dopo la mia morte, e neppure riesco ad immaginare che chi resterà potrà capire sino in fondo cosa ho vissuto, come ho accettato o no quello che avveniva, cosa provavo, e perché ho fatto le mie scelte. Nessuna risposta, solo le domande sono facili, utili a dubitare.

Potrei trovare carnefici nei miei anni infantili, potrei rivedere i semi che solo dopo sarebbero germogliati nel bisogno di mantenere le distanze e di partire sempre con molta diffidenza mancando di fiducia nelle amicizie, pur avendone bisogno come immagino tutti. E potrei anche vedere la mia facile caduta in lusinghe messe in atto in modo subdolo da chi ha saputo usarmi esclusivamente per colpirmi in falsi affari.
Se rinascessi ora con l’esperienza di ora e rivivessi quegli anni come andrebbe? Saprei essere onesto o diventerei lo stronzo sempre pronto a risvegliarsi appena mi distraggo?

Tu sei stata la mia parentesi, la mia parte sana di vita, che mi ha ridato la fiducia perduta e che alimenta, ancora oggi, quello che vorrei essere e non sarò mai.

Caddi in abissi, come molti, e risalii, in parte rimuovendo completamente dalla coscienza ciò che fui. Ebbi varie rinascite, e ad ogni nuova vita smarrii una parte della mia verginità e fiducia, della mia innocenza. E poi mi si chiede come mai conservo le cose. Ecco il motivo. Ho perso la mia vita che fu, non posso perdere gli oggetti che mi possono riportare almeno ciò che vissi pienamente e mi fece crescere. Ed ecco perché non potrò mai vivere, se non muto atteggiamento, in un piccolo paese abitato da persone che sanno tutto di tutti, poche persone abituate a vivere assieme sin dagli anni dell’infanzia.
In questo mondo in veloce evoluzione sempre meno persone avranno questa fortuna-legame. Poco a poco tutti saremo profughi, anche chi pensa di essere nel giusto e di non accettare chi arriva da lontano o da molto lontano.
I paradigmi di ieri non vanno più bene. Quelli nuovi non li conosciamo.
L’abisso di oggi è diverso, si può aprire all’improvviso ed eliminare le ultime difese, le ultime certezze, i pochi appigli. O forse no, rimanere solo una minaccia virtuale e mai reale.
Non pensavo che sarei arrivato a questo, non lo avrei mai preventivato. Eppure io ci sono stato ad ArteSella, ho visitato il Liechtenstein, ho visto la Normandia, e tu eri con me, come oggi, e questo forse conta più del resto. Il resto è riempitivo.


                                                                                              Silvano C.©  
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venerdì 24 novembre 2017

il giudizio




Non te ne vai, non c’è verso, non puoi, non mi riesce, non voglio, non vuoi, ti trattengo, ti vedo ovunque, sei alle mie spalle e mi precedi, ti seguo e se non ti penso basta nulla e ritorni. Mi manchi da quasi un anno, conto i giorni, penso a cosa succedeva esattamente il 24 novembre del 2016, penso a quello che stavamo vivendo, eppure c’eri fisicamente, mi rispondevi, mi bastava e temevo il futuro che si avvicinava.

Non è vero quello che scrive Elena Ferrante in uno dei suoi libri: I grandi, in attesa di domani, si muovono in un presente dietro al quale c’è ieri o l’altro ieri o al massimo la settimana scorsa: al resto non vogliono pensare. I piccoli non sanno il significato di ieri, dell’altro ieri, e nemmeno di domani, tutto è questo, ora: la strada è questa, il portone è questo, le scale sono queste, questa è mamma…
Non è vero, almeno secondo la mia esperienza. I grandi pensano al loro passato, e vanno indietro nel tempo quanto loro vita può concedere, tornano a quando sono stati bambini a loro volta, tornano con i loro genitori che hanno perso da anni. Tornano indietro di mesi, di anni, di decenni. Non è vero che al resto non vogliano pensare. Forse qualcuno farà così, non lo nego, non io però. Forse qualcuno preferirà buttare al vento quello che ha vissuto per continuare a vivere con leggerezza, scordando chi ha avuto vicino per trovare persone nuove, nuovi amori, nuove amicizie, una gioia di vivere falsamente vergine che scorda l’essenza umana. Forse è una via per vivere, ma non mi piace e non mi convince, la trovo feroce. Non siamo tutti uguali, in effetti.
Qualche adulto mi dice di vivere ora, di pensare all’ora, di vivere il presente, esattamente come la Ferrante descrive i bambini. Cioè qualche adulto pensa che la soluzione per poter vivere sia scordare chi eravamo e diventare bambini in questo modo deleterio, ingrato o più semplicemente stupido.
I grandi adulti vivono, non si fermano al loro passato ma non lo scordano. Se arriva un nuovo amico non per questo scordano chi merita di restare amico, anche se appartiene all’altro ieri. Se arriva un nuovo amore per quale motivo si dovrebbe rimuovere chi non c’è più? Semplicemente assurdo.

Quindi non te ne vai, non c’è verso, non puoi, non mi riesce, non voglio. Ed infatti sono stato ai mercatini di Trento, di Ferrara e di Rovereto (quest’ultimo aperto oggi), ed in ognuno di questi ti ho comprato una piccola cosa: una stellina di Natale artigianale, un Rebuffo in vetro ed un angioletto in legno dipinto. Piccolissimi oggetti di poco valore, ma che per me ne hanno molto perché sono per te. Il resto, con buona pace dell’ottima Ferrante, non mi interessa. A me interessa il tuo giudizio Viz, che non mi devi far mancare, anche se non talvolta non sarà quello che mi piacerebbe sentire.

                                                                                              Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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