venerdì 27 ottobre 2017

specchi opachi


Uno specchio riflette ciò che ha di fronte, a volte deforma la realtà, la ingrandisce o la rimpicciolisce, ne può creare un’immagine virtuale.

Palazzo degli specchi (Ferrara)
Quando partii da Ferrara, ormai tanti anni fa, quel palazzo ancora non esisteva, non era stato costruito. Poi, un giorno, mi resi conto che era sorto, ed era a suo modo magnifico, bellissimo, unico. Mi ricordava scorci che avevo nella mente della Parigi moderna, città che non ho mai visitato, esattamente come non sono mai entrato in quel palazzo. E rimase così, fissato in quell’attimo, prima abbandonato, e poi vandalizzato ed infine colonizzato da alcuni di quelli che Raffaele Rinaldi chiama gli abitanti della Ferrara di sotto.

Sono passato in questi ultimi tempi a rivederlo, questo palazzo degli specchi, mentre lo stanno demolendo perché è arrivato alla fine della sua inutile vita.
Il palazzo muore, ed io mi rifiuto di fotografarlo, non amo un certo tipo di curiosità morbosa (quindi uso una foto già in rete, la trovo più adatta). 
Mi rifiuto per rispetto di tutti coloro che tra quelle mura degradate vi hanno vissuto, perché è stato un luogo di sofferenza ed emarginazione, come sospettavo ma come non sapevo con certezza. 
A darmene la prova è il libro La metafisica dello sterco, di Rinaldi. Non conoscevo questa realtà, mi spaventava e mi spaventa ancora adesso. Ma l’autore sa scavare e descrivere la miseria degli uomini, li sa avvicinare come non so fare io.

Io me ne andai da Ferrara, molti anni fa, e lui vi arrivò, entrambi spinti dal vento verso nord. 
E Ferrara ci guadagnò nel cambio perché io sono più attirato dalla grandezza passata degli Estensi, dalle architetture medievali, rinascimentali e da quelle dell’addizione novecentista del ventennio e meno dalle sue paure, dalle sue colpe, dalla sua grettezza.
Eppure Ferrara non è solo Ariosto ed Ercole I d'Este, Bassani e De Chirico. Ferrara 500 anni fa non era la New York di oggi, ed oggi è una promessa, un tentativo, una speranza che combatte col degrado e la miseria delle persone, quelle che io non so accettare. Non accetto chi rifiuta gli altri ed alza barriere reali e di falso buon senso, ma allo stesso tempo non mi so chinare a vedere chi veramente ha bisogno, mi spavento.

Sono combattuto tra gli estremi della miseria mentale e della miseria materiale. Resto ammutolito leggendo di chi vive in carcere ed è uno come me, con le mie stesse emozioni. E ammutolito anche da chi sa sporcarsi per andare a vedere.
Ho letto dieci racconti di vite reali e marginali per chi sta nella Ferrara di sopra come me. Io, grazie al fattore “C”, sono dalla parte giusta, quella che ha ancora garanzie e si sente protetta. Io non so scrivere recensioni, non è il mio mestiere. Io leggo con lentezza da bradipo, non sono un lettore affidabile, e queste parole che scrivo non servono per dire la mia opinione su un libro, del quale non so esprimere nulla sulla qualità letteraria. 
Mi limito a osservare che anche Anna e Benito detto “Nano” sono parte di Ferrara, e che anche loro occorre salvare (o fermare, se è il caso) se desideriamo salvare Ferrara.



                                                                 Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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