venerdì 30 giugno 2017

Immagino un pittore




Ho comprato tela, colori e pennelli ed ho iniziato a lavorare sul quadro che immaginavo ieri.
Ammetto che non pensavo fosse tanto difficile dipingere, trasferire emozioni e realtà, inseparabilmente legate, su una superficie assolutamente libera, una vera tabula rasa (a due dimensioni, una terza ottenuta con artifici tecnici ed una quarta lasciata all’abilità dell’artista). Credevo che tutto mi sarebbe venuto di getto, che ogni cosa avrebbe preso il suo posto con naturalezza, senza sforzo alcuno da parte mia. Mi illudevo insomma che il quadro si dipingesse quasi da solo. La mia fretta maledetta, la mia ansia di arrivare quando ho in testa una meta, la mia paura di far tardi dopo periodi di indolenza per me quasi fisiologici, o forse zoodiacalmente determinati. (Ma io poi ci credo all’astrologia? Pensavo di no).

E intanto riflettevo sulla felicità, perché anche quella vorrei sfiorare o far intuire dal dipinto. Su quella consapevole, in particolare. Ed ho capito che non sono mai stato, in tutta la mia vita, consapevolmente felice. Quando soffrivo per qualche motivo, come mi capita recentemente, è evidente che non potevo e non posso essere felice. Quando poi lo sono stato, e lo sono stato, potete credermi, non me ne rendevo conto. Vivevo felice ma senza sapere di esserlo. Appena capivo la mia fortuna, ed intuivo la felicità che mi stava vicina, subito la incrinavo col timore di perderla.

Ora il quadro è solo accennato. Ho tracciato pochi segni, in modo timido ed incerto. L’ho fatto con una matita dalla mina molto grossa e tenera, giusto per rendermi conto dell’idea generale che avevo in mente. E poi mi sono fermato, volutamente. Devo ancora capire dove voglio arrivare. Devo riuscire ad inquadrare il soggetto dentro di me, a dare il giusto spazio a felicità e bellezza, a speranza e paure nascoste neppure troppo. Giusto. Le paure. È necessario che trovi il modo di esorcizzarle, che il quadro mi aiuti a farlo. Non credo di poterle annullare mai, ma vorrei trovare un’arma in più per controllarle in un momento di particolare debolezza.

Forse immagino troppo, e forse invece dimentico che non sono solo, e che lei viene a trovarmi, quando non me lo aspetto, e mi regala la sua forza, a piccole dosi. E la sua bellezza, anche, che a volte, quando sarebbe stato il momento giusto, ho scordato o non ho capito o non le ho detto abbastanza quanto era bella.
La bellezza è importante che si veda nel quadro, che sia esplicita, e così mi sento addosso tutti i miei limiti nelle capacità di rappresentarla.

Non pensare a ciò che non sai fare, credimi, ricorda tutto quello che invece sai fare, e non scordare lui, la cosa più bella che abbiamo voluto assieme.

Ecco. È questa la realtà, lo ammetto. Io immagino di essere un pittore, ma non lo sono. Non sono un artista, al massimo posso ritenermi un artigiano. Allo stesso modo come non mi posso definire o credere uno scrittore solo perché scrivo come ora. Credo di essere bravo in tante cose, come piccole riparazioni o anche come falegname, a modo mio. Non eccello in nessuna ma mi arrangio in tante. Anni fa mi dicevano scherzando che ero uno da sposare. A volte rispondevo che non sempre ero come sembravo, e che pure io avevo tanti difetti. È da un po’ che non me lo dicono più. Forse perché vedo meno persone, forse perché mi sono accontentato di ciò che avevo già fatto senza tentare il nuovo, o forse perché negli ultimi due anni ho avuto altro per la testa. Ora risponderei, se me lo dicessero, che io sono già sposato, e che non mi interessa risposarmi ancora. E direi, onestamente, che non sono il pittore che immaginavo.

Ancora so immaginare, però, quello sempre, e ancora non so vedere quello che ho, come quasi sempre.

Questo, ammettilo, io te l’ho sempre detto. Tu non apprezzi ciò che hai. Cosa pensi che abbiano gli altri più di te? Non credi che ciò che tu ammiri e vorresti sia solo uno specchietto furbo di chi non ti dice tutto? Non cambi mai, o forse poco a poco stai iniziando. E sarebbe ora.


                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

giovedì 29 giugno 2017

immagino




Immagino che nel silenzio e nel vuoto esista una presenza e che sia esattamente quella che mi manca. Immagino, anzi, che siano più presenze, tutte legate a me, unite dai pensieri della mia mente, richiamate dal mio desiderio, attirate dal mio e dal loro bisogno.

Ecco, se lo immagino soltanto questo non basta per rendere reali quelle presenze, e non c’è modo alcuno per poterlo fare.

Quindi io domattina mi sveglierò, farò le cose di ogni giorno, uscirò e camminerò. Forse incontrerò qualcuno. Mi dedicherò alla spesa e cucinerò. Metterò un po’ in ordine, ricorderò certamente, farò qualche progetto a brevissimo termine, e non cambierà nulla. Il mutamento non ci sarà, ed un altro giorno passerà.

Mi racconterò la storia di un uomo che sapeva immaginare, durante la giornata senza mutamenti, e vedrò coi miei occhi quello che gli altri non vedono. Confonderò quell’uomo con ciò che sono, penserò di essere io quello che può immaginare e realizzare ciò che immagina.

Nel silenzio e nel vuoto, chiudendo gli occhi, tornerò indietro nel tempo e lo trasformerò in un diverso futuro, lo renderò reale.

Comprerò una tela, comprerò colori, comprerò pennelli ed inizierò a rendere vera la mia immaginazione. Non so dipingere ma domani ci riuscirò, imparerò come si fa, immaginerò di creare quel quadro.

Immaginerò che domani, dal silenzio e dal vuoto, arriveranno diverse presenze, tutte legate a me, unite dai pensieri della mia mente, richiamate dal mio desiderio, attirate dal mio e dal loro bisogno.

Racconterò loro la storia di un uomo che sapeva immaginare, durante la giornata avverranno mutamenti, e vedrò coi miei occhi quello che gli altri non vedono. Confonderò quell’uomo con ciò che sono, penserò di essere io quello che può immaginare e realizzare ciò che immagina.

E domani immaginerò di incominciare di nuovo, riempiendo di voci quel silenzio e di persone quel vuoto.

Se lo immaginerò soltanto, dice la logica, questo non renderà mai reali quelle presenze, e non ci sarà modo alcuno per poterlo fare.

Io però so immaginare.




                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

sempre con lievi ed umani passi di danza

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Si ama con la mente, col cuore, con tutto il corpo. L’amore è carnale, o lo può essere, dovrebbe esserlo. Quel tipo di amore ovviamente, non l’amore per la musica, l’amore per i genitori ed i figli o altri tipi ancora di amore.

E poi rimane il mistero del corpo che pensa, che quando si ferma, e muore, sembra portare via con sé ogni aspetto di chi quel corpo occupava sino ad un attimo prima. La grande differenza tra chi ha fede nella presenza dell’anima immortale e chi invece non ci crede, pur tra mille diversità e sfaccettature di convinzioni è in questo senso di fine o di continuità, pur se in forma diversa.

E accettare-cercare il corpo dell’altro/a diventa un modo di verificare la profondità di un amore, il suo stadio evolutivo, la sua maturità ed il modo di considerare l’amore.

Quando quel corpo viene a mancare, cosa resta della persona? Se fossi ateo convinto direi nulla, ma il mio guaio è che non lo sono. Non sono credente e non sono ateo. Mi contraddico.

La soluzione allora è danzare, o ammirare chi sa farlo, guardando quei corpi che esprimono l’anima che nascondono, mortale o immortale che sia.
Una soluzione è rispettare il proprio corpo, non solo per un fatto di salute o di estetica, ma perché noi siamo il nostro corpo. Altra soluzione, forse, è non credere in tutto quanto ci viene detto o per pietà o per convinzione profonda.

L’unica cosa certa è che l’essere umano è incerto, sbaglia di continuo. Quando è intelligente aggiusta il tiro, altrimenti si intestardisce in una propria opinione e rischia di diventare integralista. E allora serve danzare.

Chi non ha dubbi mi fa paura, ma chi non ha alcuna convinzione per la quale spendersi è deludente, e non mi interessa. Occorre danzare anche con sé stessi, correggersi, se ci si riesce, quando si scopre di sbagliare, ma anche perdonarsi degli errori immancabili. Non saremmo nati uomini altrimenti, ma animali guidati solo da leggi esterne o dei, sopra ogni legge. E anche gli animali danzano, li ho visti.  Forse lo fanno pure gli dei.



Lei dovrebbe danzare il nostro rapporto con la morte, capisce cosa intendo? Mi spiego meglio. Lei dovrebbe riuscire, coi corpi vivi e sudati, ad esprimere l’enorme incertezza di chi non sa cosa troverà dopo la sua morte. E, qui la cosa diventa complessa e contraddittoria, rappresentare anche la gioia di chi, morendo, è convinto che troverà finalmente un luogo senza dolore, dove rivedrà chi ha amato in questa vita. Lei e la sua compagnia devono darmi questo risultato.
Ne parli col suo coreografo, e anche con la sua compagna, che credo potrà darle ottimi consigli. Io accetto ogni soluzione tecnica e non metto limiti al mio impegno economico. Da parte sua mi aspetto che lei non si crei altri limiti dettati da religione o morale. Io non voglio che lo spettacolo che le chiedo sembri censurato da idee ristrette, o sia legato ad una sola posizione di fondo se non quella della massima apertura possibile ad ogni soluzione. Io le chiedo una risposta, se non lo ha ancora capito, ma questa risposta la voglio vedere danzata, rappresentata. Ovviamente la risposta non dev’essere necessariamente una sola. E non scordi l’amore, nel balletto che lei mi preparerà io lo voglio vedere. Deve risultare chiaro che l’amore è, in qualche modo, legato alla morte, e sempre con lievi ed umani passi di danza. Accetta?


                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

mercoledì 28 giugno 2017

dammi




Dammi la calma e la capacità di distinguere sempre, nel caos quotidiano delle sollecitazioni di ogni genere, i motivi per i quali vale la pena impegnarsi, o almeno iniziare a pensarci seriamente, da tutti gli altri, rumore di fondo che distrae e toglie energie inutilmente.

Dammi la forza di continuare tutto quello che ho iniziato e merita di essere concluso, perché un senso serve, aiuta anche altre persone.

Ti direi anche di darmi altre cose alle quali terrei ancora di più, ma queste sono al di là della mia portata, sono oggettivamente impossibili.
E non chiedo la forza del giudice, del guerriero, o del giustiziere. Non saprei usarla nel modo corretto, farei certamente errori, qualcuno ne soffrirebbe per colpa mia, e mi farei prendere la mano.

Dammi un altro tipo di forza, quella di saper sorridere anche di me stesso e delle cose sbagliate che faccio, del dolore e delle perdite. La forza di accettare la vita come sceglie di venire e di non lamentarmi troppo. Un po’ ogni tanto, magari, giusto per sfogarmi, ma senza esagerare.

Dammi la forza di accettare quello che sai e di guardare avanti. Ne ho bisogno.

Vedi, tu che mi leggi, cosa chiedo, ma neppure io posso dirti a chi lo chiedo. Non serve saperlo, credo.
È solo una forma di comunicazione che ho scelto, un artificio per chiarirmi, per capirmi, per rileggermi e vedere se ciò che ho scritto regge o è solo illusione e tempo perso.
A dire il vero però io una mezza idea me la sono fatta, e forse anche tu, ma non diciamolo esplicitamente.


                                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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