martedì 25 aprile 2017

sorriso effimero

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Il titolo che ho scelto, attento e rispettoso, non tragga in inganno nessuno.
Tu mi stavi prendendo per il culo. Sorridevi in un modo indefinibile, misterioso, enigmatico, per quasi tutti. Anche io ci sono cascato per un po’, durante le prime ore di dolore assurdo, in apnea, guidato solo dall’istinto.

Dopo averti composta, come sentivo di dover fare senza averlo mai fatto prima con nessuno, nei primi minuti che hanno seguito la tua morte, ho fatto le cose che sentivo giuste, e non sapevo se lo erano. Mi hai beffato andandotene nei minuti nei quali, appena alzato stavo in bagno, in giro, fuori dalla stanza. Mi hai rubato, anche per colpa mia forse, gli ultimi istanti. Poi hai assunto uno sguardo rilassato, difficile da definire, leggermente sorridente, un po’ come chi finalmente si è tolto da una situazione sempre più difficile.

Hai iniziato a prendermi per il culo, a modo tuo, senza farlo parere, senza offendere, solo per aiutarmi a intuire. Prendermi in giro era il modo migliore che usavi per farmi capire quali idiozie io stessi pensando o dicendo. Il metodo lo avevamo affinato assieme in anni di perfezionamenti ed aggiustamenti, e tu lo applicavi in modo magistrale.

Ma perché, poi? Perché sentivi questo bisogno? Io ti ho trattenuta giorni, forse esagerando, in quella bara coperta solo da una lastra di vetro. Tu eri andata via da tempo, ma io ti volevo qui ancora. E tu che mi prendevi per il culo, in modo sempre più evidente. Se mi capitava di farlo notare tutti mi guardavano interrogativi. O mentivano oppure solo io lo capivo. Se venivo a trovarti, e mi avvicinavo al vetro che tutto l’annacquavo, mi chiedevo perché, nell’ingorgo di sentimenti neri e di impegni che tentavo di gestire con la testa.

Poi, molto tempo dopo, non so come, ho iniziato a capire. Non era una vera presa in giro. Tu non lo avresti mai fatto in quel modo o con quell’intenzione. No. Era altro. Era prima di tutto la tristezza che mascheravi con quella smorfia fintamente allegra. Ma poi, innegabile, una certa aria di sfida, come a dire: ed ora vediamo che succede.

Già, è quello che inizio solo ora a capire. Cosa succederà senza il tuo consiglio o la tua arrabbiatura? Sarà molto meglio per me girare in bicicletta a Ferrara da solo, senza doverti aspettare ad ogni incrocio? Oppure tornare la sera e non vedere la stanza dove stavi di solito con le luci accese? No, quest’ultima frase è sbagliata. Era una mia paura preventiva, era un terrore che volevo rimuovere ma anticipavo con la fantasia. Questa non era una cosa tua.

Il tuo sorriso si riferiva, senza cattiveria, al fatto che tu molte critiche me le esprimevi da tempo su quasi tutti i temi sui quali discutevamo, ed ora eri pienamente consapevole che su moltissime le tue conclusioni io avrei dovuto abbassare la testa e venire a più miti consigli, senza neppure la soddisfazione di pretendere di aver ragione nei rari casi in cui questo fosse avvenuto.

Accetterò anche questa presa per il culo, e vincere ora mi interessa poco o nulla. Da tempo ormai il tuo sorriso un po’ beffardo si è dissolto, ma non lo scordo. Non ho bisogno di alcuna immagine per ricordarlo. Capisco, ora, su quel tuo viso, la difficoltà del vivere che in parte ignoravo. Ora so che sulle mie spalle ho un peso che prima non avevo.
Ed ho preso una decisione. Accetto la sfida. Non so chi sorriderà per ultimo.

                                                                             Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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