martedì 31 gennaio 2017

libertà


Rinuncio alla mia libertà
Alle novità che si preparano
Non desidero essere curioso
Non desidero la soddisfazione di un meschino impulso
Non voglio pensare al sole in una giornata di sole
Faccio a meno di molti sogni, anche di quelli ancora non sognati
Mi fermo per sempre, se mi viene concesso, ma a queste condizioni:
Tornare in quel momento
Capire che vivo quel momento
Apprezzare ciò che avevo in quel momento
Essere esattamente come mi volevi
Non fingere
Non negare
Non cercare
Non guardare
Non illudermi
Non progettare
Immobile e perfetto e possibilmente un po’ stupido
Soddisfatto
Finalmente in pace
In quel momento
Per quel momento rinuncio alla libertà


                                                              Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

lunedì 30 gennaio 2017

finzione


Tutto quello che vuoi è amore, dal primo attimo nel quale sei separato fisicamente dalla madre ed inizi a cercarne la presenza, che vuoi avvolgente come prima, all’ultimo istante nel quale, immagino, vuoi portare con te tutto il mondo che ami e che ti ama, o, meglio ancora, non andare via.

Il resto, il contenuto tra queste due parentesi graffe fondamentali nella nostra presenza materiale tra i viventi, è dettato dal caso, dalla genetica, dalle esperienze, da un disegno ordinatore (per chi ci crede) e dai mille immancabili accidenti. Ci sono eccezioni, certo, e ti faccio dono di tutti i dubbi in merito ad ogni parola scritta che ti possono venire. Tra chi scrive e chi legge (io un po’ scrivo e un po’ leggo, quindi credo di poterlo dire) si finge. Si finge di credere a quello che si scrive e si legge. Si finge anche di non credere ad ogni verità confessata in modo da darla in pasto a tutti, pur se ammantata di impersonalità. Si immaginano mondi che non esistono perché quello reale non ci basta e non è la nostra misura. Si legge e si scrive per combattere la solitudine e per realizzare almeno nell’invisibile quello che non è visibile.

I più bravi, scambiati per malati di mente, si immedesimano molto bene in questi loro mondi paralleli che a noi sembrano estranei, o ci illudiamo che lo siano.
La realtà è che fossimo totalmente soddisfatti della nostra vita non sentiremmo alcuna spinta a raccontarla. La perfezione non ha bisogno di poeti o cantori. Un amore pienamente vissuto, corrisposto e presente non ruba tempo per descriversi.
Forse è per questo che l’infelicità è artefice di tante opere, si perde in ricerche su ogni fronte, è disponibile ad esperienze incredibili o pericolose. Forse è per questo che tutti, mentendo anche a sé stessi, nascondono l’infelicità e ne creano un modello sociale più gradevole, interessandosi a mille progetti, cercando di apparire interessanti, riuscendo a raccontarla bene a chi li ascolta.  

Fuor da finzione, è il caso di dirlo, il mondo che vivo non mi piace. Mi manca da morire lei che mi ha lasciato meno di due mesi fa, che non credo di aver amato abbastanza (anche se questo sembra sia un sentimento diffuso in casi come questo, trattato da tutta la letteratura che si interessa al tema). Non mi è ancora andata giù la faccenda, non l’accetto, mi viene una rabbia incredibile se appena ci penso.
Non voglio scordare nulla e vorrei parlare solo di lei. A me sembra del tutto naturale, logico, conseguente al mio modo di agire e pensare e, cosa essenziale, effetto delle scelte maturate in tanti anni. Ho deciso, malgrado tutto, di stare con lei e di condividere i progetti sul futuro escludendo da questi gli altri. Chi entrava sapeva di essere ospite, non padrone di casa.

Ora questo mondo è crollato, ed io devo vivere. Ho il dovere di vivere e dare peso e valore alla mia vita. Credo anche di dover essere felice, come suggerisce un’amica, perché è una colpa grave non essere grati alla vita di averla. Ho pure il compito di ricordarla e lo rivendico al di là delle opinioni di chiunque, perché è questo che le devo, in modo geloso e ignorando ogni influenza di segno contrario. Ed è esattamente ciò che tento di fare, da quel maledetto 17 dicembre, quando tutto si è concluso, ma nulla è finito.

Ed ora voglio vedere se tu avrai il coraggio di dire che il tuo mondo ti piace esattamente com’è, e non preferiresti inventarne un altro, ovviamente sapendo entrambi che stiamo solo fingendo di pensarlo.


                                                                      Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

domenica 29 gennaio 2017

speleo


Non è che abbia tutto questo coraggio, inoltre, pur non soffrendo normalmente di claustrofobia, non amo infilarmi in zone sotterranee dove magari potrei passare a malapena o rimanere intrappolato.
Quello che vado realizzando da un po’ di tempo a questa parte però, in modo figurato, è equivalente.
Mi infilo in zone della mente e della vita che non conoscevo e delle quali, sino ad ora, non avevo esperienza diretta. Non è un hobby, non lo faccio per piacere, nessuno mi obbliga; sono io che ne sento il bisogno, e avverto un richiamo al quale devo dar soddisfazione.
A volte mi faccio male mentre altre volte provo un po’ di consolazione. Incontro persone lungo il percorso di questa mia discesa in grotta. Mi danno indicazioni, esprimono pareri, manifestano vicinanza e mettono in comune una loro esperienza simile. Io devo essere grato assolutamente a tutti.
Nessuno può dirmi con certezza dove potrò arrivare, non lo credo possibile, ma allo stesso tempo sento che non sono del tutto solo e che non percorro cunicoli completamente nuovi. Qualcuno è già passato di qui, mi dico. Qualcuno è molto davanti a me, altri sono in anfratti paralleli, a volte li vedo, o ci parlo.

Spiego che sto tentando di costruire un ponte, forse impossibile, una linea di comunicazione indefinibile, troppo personale per poterla generalizzare, e al di là delle leggi della fisica moderna. Nulla di sperimentalmente riproducibile insomma, o di tangibile. La realtà è quanto di peggio avrei mai pensato, e non mi va l’idea di accettarla in toto. La reazione che sto inventando e testando non è detto che porti ad un risultato positivo, anzi, è possibile il contrario, e in questo caso dovrò essere pronto a tornare indietro. Ogni previsione sembra per ora sfavorevole. Magari a forza di scavare troverò una cavità con acqua termale tiepida, accogliente, dove rilassarmi e, forse, fermarmi e cessare ogni ricerca. Mi dirò di essere arrivato dove volevo. Oppure finirò senza forze e volontà di proseguire, e resterò sconfitto, in uno spazio buio e senza uscite.

Credo sia un rischio, e tra chi frequentavo non trovo risposte, anzi. Io da un po’ ho deciso di non chiedere e, puntualmente, non arriva alcuna risposta. Eppure i segnali e le motivazioni ci sarebbero tutte, ma nella ricerca resto da solo. Credo che prima dovrò capire, per conto mio, poi potrò avvicinarmi di nuovo agli altri. O forse deciderò altrimenti.

-        Fermati subito. Vedi, mi fai tornare per spiegarti un po’ di cose. Iniziamo da quelle pratiche con questa, fondamentale: non lasciarti andare! Mangia e cerca di essere regolare, o di trovare un tuo equilibrio. Cura come ti vesti. Non indossare troppo a lungo i vestiti. Cambiali ed evita quelli logori. Esci di più e cerca di vedere gente. Esci dalla tua autocommiserazione, alla lunga stanca. Non lamentarti della tua situazione, perché hai molto. Se qualcuno non si fa vivo, ed a te piacerebbe che lo facesse, inverti le parti. Telefona tu, o muoviti tu. Non sei la regina d’Inghilterra, ma uno come tutti gli altri, che ora non sta particolarmente bene. E gli altri come credi che stiano? Vivi sulla Luna? Umiltà, o senso della misura, inizia con quelli.

A forza di scendere in basso sono arrivato ad uno strato solido di roccia che sembra non abbia passaggi. Il cunicolo si interrompe. Devo fermarmi. E forse smettere di pensare troppo, almeno per oggi. Mi conviene risalire e iniziare a cucinare, oppure a leggere un po’ un libro, prima di cena.


                                                        Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

sabato 28 gennaio 2017

la casa è viva




Sembra uno scherzo, un assurdo, ma la casa nasce, vive e muore esattamente come le persone. Non è un involucro inanimato pensato da un architetto, nei casi migliori, ma si adatta a chi la sceglie per viverci, ne prende gli odori e le abitudini, i vizi, e vive esattamente con chi ci vive.
Diventa allegra quando si arriva in visita, si adatta se deve accogliere qualcuno in più, accetta ogni cambiamento le si chieda, ogni rivoluzione.
Porta i segni indelebili di chi ha aggiunto una parete, sostituito una presa di corrente, aggiunta o tolta la carta da parati, cambiato un rubinetto. E si adatta alle mancanze, le accetta anche se non le capisce, esattamente come un essere umano. Se una sua stanza viene lasciata non lo vuole capire. Finge, sino a quando può, che ogni cosa sia come prima. Sente la perdita delle persone che l’hanno scelta, voluta, amata e che ci hanno vissuto a lungo, quasi una vita.
Accetta ogni cosa. Sembra muta ma urla, a modo suo. Riporta in modo testardo la memoria di chi se ne è andato. Lei lo ricorda. Lei ha fatto sue le gioie, le speranze, le rabbie e le liti, le discussioni infinite. Le sue stanze ricordano l’amore che hanno protetto.
Arriva persino a riportare indietro nel tempo, se la si lascia parlare. Finge di non vedere quando piangi per colpa sua, perché è esattamente quello che vuole, che tu non scordi nulla, che tu sappia, sempre, che lei ti ha accolto, che altri stavano con te, che altri hanno vissuto con te momenti importanti della loro e della tua vita.
Se viene lasciata vuota troppo a lungo diventa triste e fredda, invecchia prima del suo tempo. Non ama essere abbandonata, da nessuno.
Se potesse fermerebbe il tempo nel momento da lei preferito, esattamente quello di una foto scattata prima che mutasse tutto.
Lei poi sa benissimo che a volte si decide di lasciarla, di andare via, di darla ad altri. Ecco, lo sa, o almeno credo che lo sappia.
Ma cosa prova in questi momenti? Nostalgia per chi non c’è più? Rabbia nei confronti di chi l’abbandona? Un senso di liberazione da una situazione che non sapeva più gestire e che era arrivata alla sua naturale conclusione?
Non lo saprò mai. Un po’ di me resta tra le mura anche delle stanze dove non posso più entrare da decine di anni, e dove altre persone ora vivono la loro vita, con i loro odori e le loro abitudini, anche coi loro vizi, la loro solitudine ed il loro amore.
Credo di aggirarmi come un fantasma in questi spazi lasciati indietro nel tempo in certe ore della notte, e solo in quelle ore ritrovo quegli anni, quelle persone, tutte, come allora.
E mescolo il presente ancora con lo sguardo rivolto a ieri (ieri è troppo doloroso), con un passato meno recente, meno doloroso e un po’ più dolce solo perché il tempo ha calato la sua coltre di neve a nascondere il paesaggio ed a trasformarlo in una cartolina.

Che il tempo venga, nel tempo giusto, a portar pace e ricordo dolce. Quando sorridevi, in queste stanze, e la tua presenza era viva, vigile, attenta e piena d’amore.
Che venga quel tempo, ma non prima del suo giusto tempo, e neppure dopo.
Quando sarà? Non lo so.

                                                                  Silvano C.©  
 (La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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