venerdì 7 ottobre 2016

Un vecchio rompipalle




Alle sette di mattina, di una mattina di novembre, un po’ nebbiosa, che senso ha suonare al campanello di casa di un’amica senza essersi prima annunciati? È da maleducati assoluti, come lo è ignorare lo stupore (per non usare altre parole più adatte e colorite) e le espressioni di tutta la famiglia alle prese con la colazione e le prime attività domestiche. Interpretare quegli sguardi  positivamente è impagabile.

Vecchi rompipalle lo si nasce, oppure lo si diventa dopo una dura selezione che porta alcuni ad andarsene prima dell’età canonica ed altri a rinsavire, almeno in parte, abbandonando certi colpi di testa che nessuno, sano di mente, avrebbe inserito tra le opzioni possibili.

Giunti ad una certa età tuttavia occorre ammetterlo, farsene una ragione. Essere rompipalle non è una cosa della quale andare orgogliosi, ed ha un solo lato positivo, uno solo.

Dar fastidio agli altri con le proprie manie, i propri luoghi comuni, le esigenze erette a diritti non negoziabili, e pensare che il mondo si debba adeguare e non - come sarebbe più logico - il contrario, sospetto che possa influire ad abbassare il presunto altissimo Q.I.

Non faccio esempi, mi vergogno, sfiorerei il ridicolo, e, rendendomene conto, soprassiedo. Ma non demordo. Sono e resto un rompipalle.

La situazione, dicevo prima, ha un solo lato positivo. Se lo sono significa che qualcuno mi permette di esserlo. Ma forse ne ha pure un altro: rompendo dimostro anche attenzione, interesse. A tutti, in fondo, fa piacere non essere indifferenti agli altri.
                                                                                                         Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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