sabato 30 aprile 2016

L’Europa è una cipolla

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Abbiamo avuto in eredità l’Europa di Adenauer, De Gasperi, Monnet, Spinelli, Churchill ed altri padri fondatori dopo le tragedie immani di due guerre mondiali e di un ventennio segnato da crisi e nascita di dittature.
Abbiamo vissuto anni di avvicinamento tra i nostri popoli, di progressivo abbattimento delle frontiere, di senso di appartenenza ad un’entità sovranazionale che era la nostra nuova e più grande Nazione. Ci siamo pensati Stati Uniti d’Europa, ed abbiamo tentato l’avventura della moneta unica allargando sempre più i confini dell’Unione coinvolgendo Paesi che all’inizio ne erano esclusi.

Poi qualche cosa si è rotto, o non abbiamo capito che ci stavamo illudendo.

Alcuni nazionalismi separatisti non si sono mai arresi. Alcuni Paesi non hanno accetto la moneta comune. Non abbiamo mai condiviso una vera politica estera. Non abbiamo un esercito europeo, un sistema fiscale europeo, una sanità europea, una scuola europea, e non abbiamo le strutture di un’entità statale unica. Abbiamo solo aperto le frontiere interne, abbiamo ottenuto-rubato un Nobel per la pace, abbiamo realizzato progetti parziali ma sempre con fatica e mai veramente vincolanti nelle tematiche essenziali.

Abbiamo subito la crisi economica allargando le differenze tra i Paesi, invece che ridurle, ci siamo accaniti contro la Grecia sino ad affamarne il popolo intero. Alcuni Paesi hanno preteso austerità in casa altrui senza toccare il proprio sistema sociale, ed abbiamo subito la globalizzazione senza avere la forza di contrastarla con politiche solidali ed a controllo comunitario.
Ci siamo rubati le occasioni di dare lavoro ai giovani in tutti i Paesi membri, penalizzando alcune industrie nazionali a vantaggio di altre in Nazioni diverse.

Abbiamo fatto crescere movimenti populisti e di protesta perché se si è in situazione di bisogno ci si appiglia a tutto, anche ad imbonitori opportunisti che traggono vantaggio dalle disgrazie e dal dolore, come le iene. Abbiamo permesso la rinascita del fascismo e del nazismo nelle personalità deboli, che cercano un nuovo uomo del destino inneggiando a Mussolini, Hitler e ad altri criminali come loro.

La democrazia dei moderati è costretta a rincorrere la protesta per non farsene fagocitare, e malgrado questo non finiscono gli egoismi. Alcuni politici pensano solo ad arricchirsi ma predicano sobrietà e condivisione, esattamente come fanno certi Paesi nei confronti di altri. Fingiamo di ignorare il nostro passato di colonizzatori, di sfruttatori delle ricchezze di mezzo mondo, e non accettiamo che mezzo mondo, ora, ci chieda in qualche modo giustizia. Abbiamo, come occidentali, finto di esportare la democrazia mentre stavamo solo pensando alle materie prime ed al petrolio. Abbiamo fatto funzionare le nostre fabbriche di armi perché altri potessero ammazzarsi a casa loro, e tra di loro.

Abbiamo innescato la nascita dei fondamentalismi, che non sono religiosi (se non nelle menti ottuse di alcuni fanatici che accettano di morire per la Fede) ma solo ed esclusivamente economici. Ed ora non sappiamo fronteggiare, come Europa unita, la fuga di interi popoli da siccità, fame e guerra.

L’Europa di oggi è una cipolla. Prima di tutto fa piangere. E poi è a strati. Gli strati esterni, i più deboli ed esposti, con frontiere più estese, devono fare da cuscinetto agli altri interni, con frontiere più controllabili, e con un tenore di vita (guarda caso) più alto.
Per vedere le cose anche in un’ottica diversa rammento che il vantaggio offerto dall’abbigliamento a cipolla è che quando fa caldo alcuni strati si possono levare.

                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

e tu passavi

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E tu passavi, sul marciapiedi dall’altro lato della strada, e spiavi, verso di me. Lo facevi due volte al giorno, quando andavi e quando tornavi.
A volte non c’ero (mica potevo stare sempre lì) ed altre fingevo di non vederti.
Non eri mai sola quando passavi, e questo probabilmente cambiava ogni cosa, ma neppure io di solito ero solo, e comunque non ero libero di muovermi liberamente.

Sono quasi sicuro che più di una volta mi hai sorriso ed hai cercato di attirare la mia attenzione su di te, ma io ho sempre distolto lo sguardo, per non darti soddisfazione, forse, o chissà per quali altri motivi. 
Il gioco è sempre lo stesso, immutabile, ereditato in modo genetico, appreso per imitazione o frutto di una personale rielaborazione. Comunque sia è un gioco, irresistibile, con i suoi tempi scenici di base immutabili, anche se non tutti lo imparano allo stesso modo, o nell'identico momento.

Mi sorprendo a pensare che avrebbe potuto succedere ogni cosa se solo avessi ceduto ignorando il mio orgoglio, se avessi avuto meno paura, se fossi stato meno timido e chiuso, se avessi deciso di rischiare (e ché sarebbe stato mai, accidenti, e di che razza di rischio sto vaneggiando?).

Ma tu passavi, portata all’asilo da tua madre o al ritorno, verso casa. Avrai avuto quattro o cinque anni, più o meno i miei, ed io ero nel piccolo cortile, dal quale non mi facevano uscire, e spesso c’erano i miei attorno, occupati nelle loro faccende. Poi siamo cresciuti, io non ti ho mai conosciuta, e probabilmente avrai smesso di guardare per prima i maschi, imparando le astuzie delle ragazze che sanno come ottenere l’attenzione di chi a loro interessa.

                                                                                                        Silvano C.©   

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venerdì 29 aprile 2016

La rete non ha paura di nessuno (ed i matti neppure)




Cantavi:

La televisiun la g'ha na forsa de leun      
la televisiun la g'ha paura de nisun
la televisiun la t'endormenta cume un cuiun.

E che nostalgia mi viene ora Enzo, a ripensarti e a rivederti quell’unica volta che assistetti ad un tuo concerto. Eravamo tutti più giovani allora…molto più giovani…ed eravamo…

Ora tu sei rimasto dentro di me e nel cuore di tante persone, dove rimarrai per tantissimo tempo, oltre quello normalmente concesso ai comuni mortali. Tu eri mortale, come ogni uomo, ma non eri comune, per nulla. Eri pazzo nel senso più alto del termine, concedimelo (solo chi ama ha il diritto di prendere un po’ in giro, gli altri si astengano, grazie).

Antonio Slavich
Non eri il matto che dormivi di notte all’aperto coperto da una bicicletta, come raccontava mio padre, e che al mattino, tutto infreddolito, quando chiedeva spiegazioni, capiva che aveva avuto freddo perché ad una ruota mancava un raggio. Quel al jera un matt ad via dla giara, un ver matt, un da manicomi, quand’agh jera ancora i manicomi, prima che un dutor più mat ad chialtar al’dgess che nisun le matt.

E allora cosa devo dire? Avevi ragione Enzo, i matti veri siamo noi, che stiamo in rete invece di ascoltare le tue canzoni, di amare le persone, di comprare un’emozione.

La red l’è forta com’un leon,
la red l’ang’ha paura ad nisun
la red lat fa credar a tut com’un cuion.

Verzi la porta, varda fora, a gh’è al sol. Và a fart un zir, e st’incontri qualdun t’avrà avù un mutiv in più par ridar, parché lè sempra mej ridar che pianzar, credm’a mì.


                                                                                                        Silvano C.©   

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martedì 26 aprile 2016

Il tritacarte e le streghe svedesi



 
È una strana sensazione quella che si prova a mettere nel tritacarte pezzi della propria vita…di ore ed ore di lavoro, di documentazione di quanto si è svolto, di ricordi delle persone che erano vicine, di fatiche e anche di grane, perché quelle non mancano mai.

Mi sono sentito smaterializzato prima del tempo, confesso, anche se in realtà avrei dovuto dedicarmi molto prima a questa operazione che ho sempre rimandato perché non c’era alcuna urgenza di farlo. Sino ad ora.
Ora, per non morire sommerso dagli oggetti che si sono accumulati (per cause indipendenti dalla mia volontà) ho dovuto iniziare ad eliminare le cose ormai inutili. E tra queste le vecchie carte sono le prime.

Molto di quello che ho passato nel distruggi-documenti casalingo lo possiedo in forma digitale, e quindi in realtà non ho cancellato la memoria. Altre cose invece sono state distrutte per sempre, e resteranno solo nel mio ricordo, per un po’, infine spariranno, come è giusto, anche da lì, per lasciare spazio ad altro.

In questo lavoro ho trovato anche le tracce di momenti leggeri, per fortuna moltissimi, come ad esempio la frase che trascrivo sotto da tradurre in inglese (tu traducila e poi prova a pronunciarla ad alta voce):

“Tre streghe svedesi transessuali guardano i cinturini di tre orologi “Swatch” svizzeri. Quale strega svedese transessuale guarda quale cinturino di quale orologio “Swatch” svizzero?”  

È uno scioglilingua che girava in rete circa otto anni fa, probabilmente il tempo al quale risale il foglio A4 che mi è capitato in mano riordinando.
E alla fine non posso lamentarmi, quindi, e dopo tutta questa polvere smossa mi ritroverò in uno spazio più vivibile, senza aver rinunciato a nulla.   

                                                                                                        Silvano C.©   

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lunedì 25 aprile 2016

sorridi




È un segreto che alcuni conoscono, ma non è da tutti saperne applicare il principio.
Sorridere.
Il segreto è solo questo, va applicato appena se ne ha l’occasione, e se questa non esiste bisogna crearla.
Si rischia di essere scambiati per persone leggere, vacue, superficiali, a volte insensibili, ed infatti non bisogna mai ridere di chi soffre, o più in generale degli altri. Farlo è un errore, e saper sorridere è un’arte esclusiva adatta ad una minoranza non stupida né livorosa.

Sorridere con lo spirito dei funerali di New Orleans, o quello della canzone di Jannacci:

Rido, nullatenente rido
per il tuo bene rido
l'amor non sa tacere

Rido, son sempre in rosso rido
faccio la fuga e rido
qualcuno deve avere.

Con l’atteggiamento di una zia di mio padre, abituata dalla vita a non lamentarsi mai, a prevedere le offese che non le sarebbero mancate, ad accettare quelle che aveva avuto, pesantissime, capace di manifestare il piacere di vedere le persone, di sorridere loro e non chiedere nulla. Non era facile per lei, né lo è per chiunque decida di applicare questo segreto, eppure è l’unico modo serio di affrontare la vita, sorriderne.

Non è vero che sorridendo la vita ricambi, è una favola. Lei non muta di un millimetro la strada che ti ha riservato, e non concede sconti. Quello che cambia è il tuo rapporto con chi ti sta vicino, o con chi incontri occasionalmente.
Se vuoi minimizzare è solo un aspetto di forma, ben sapendo tuttavia che la forma quasi sempre nasconde un motivo, cioè è sostanza, è il modo col quale ti interfacci al mondo, col quale gli altri interagiscono con te.

Sorridere piuttosto che avere il volto scuro è come indossare un paio di pantaloni comodi, non appariscenti né troppo costosi, in modo tradizionale, invece di sceglierli troppo larghi e portarli bassi (con la cintura sotto le chiappe, per intenderci) lasciando le mutande a vista ed inciampando negli stessi, mentre cammini o perdendo le scarpe slacciate. È una questione di scelta formale, di come si vuol essere visti dagli altri (da tutti gli altri) o dal gruppo di riferimento soltanto.

Io a mia “zia” regalai una volta una radiolina, e lei mi ringraziò. Poi, un giorno quando ormai non le serviva più, volle restituirmela. Ed io ora la conservo, e quando la ritrovo penso ancora a lei. Proprio ora l’ho trovata, funziona ancora, ma ho tolto le batterie, per evitare che col tempo, scariche, la possano rovinare.  
E, seppure con tristezza, sorrido.

                                                                                                            Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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