martedì 9 febbraio 2016

il cadavere felice

Galletto Berto quando nasce è segnato. Dal cognome, prima di tutto, motivo di derisioni e scherzi anche atroci da parte dei suoi cari compagni di sventure e, più tardi, degli amici di paese, ma questo ovviamente non lo capisce subito. E neppure capisce subito che la madre muore facendolo venire inutilmente al mondo. Viene affidato quando ha poche ore di vita alle cure di un istituto; il padre non vuole neppure vederlo, visto quello che ha fatto alla sua Leonilde. Per il Berto quindi, che ha in eredità dal Galletto Augusto solo quello scomodo cognome, mentre il nome gli viene imposto da un impiegato comunale, la vita inizia naturalmente in un istituto.

Attorno ai tre-quattro anni manifesta la poco ambita caratteristica di apprendere con estrema lentezza, mostra un ottimo carattere ma è evidente che non capisce tutto quanto avviene attorno a lui. Nessuno se ne cura, tuttavia; se è così ci sarà un motivo nel Grande Disegno, no? Berto non si inserisce nel gruppo dei coetanei, che lo tengono a distanza o lo deridono. Per i più grandi è invisibile, e per i più piccoli un fratellone stupido, che fa tutto quello che gli chiedono.

Solo nell’orto si trova a suo agio, e ci trascorre le giornate, sentendosi felice e libero. Vi si nasconde e poi inizia a dare una mano, innaffiando, togliendo le erbacce, raccogliendo frutti e poi, poco a poco, imparando tutti i segreti di Bartolo, l’uomo che procura frutta e verdura di stagione a tutto l’istituto. Berto e Bartolo, che coppia! Nessuno dei due parla con l’altro, ma si intendono a gesti, a sguardi. E quando il primo esce da quelle mura dove è cresciuto neppure si salutano. Forse pensano che si vedranno il giorno dopo.

Il suo destino lo porta in una famiglia di contadini, che lo prendono per pietà, dicono, mentre in realtà per loro è un regalo, un uomo di fatica senza pretese né paga. E così, lavorando sei giorni e mezzo su sette, la domenica pomeriggio libera per andare in paese, a lui sembra veramente una festa. All’inizio, quando i giovinastri del posto iniziano a notarlo in giro senza meta, lo guardano, poi, naturalmente, vogliono vedere le sue reazioni, e in meno di un mese diventa l’attrazione di tutti i balordi senza nulla da fare.

E il suo destino è esattamente quello, non ne ha altri a disposizione. Quindi se lo tiene per ben sedici anni, senza cambiamenti di alcun tipo. Una domenica sera però avviene il fatto. Rientrando, è già buio, una coppia di idioti ancora in giro lo prende in mezzo più del solito, ma commette l’errore di avvicinarsi troppo. Berto spintona il primo che riesce a raggiungere, infastidito, e quello inciampa malamente, scavalca un piccolo muretto e finisce a mollo nel fiumiciattolo sotto. Il secondo socio, che ha in mano un bastone, per reazione assesta un colpo micidiale a Berto, in testa, tanto da lasciarlo svenuto a terra. Poi entrambi, sia quello col bastone che quello caduto in acqua, si dileguano e spariscono.

Quando Berto viene soccorso sono passate già alcune ore, e nell’ambulatorio del medico, dove rinviene, sembra non aver subito particolari danni. Semplicemente non ricorda assolutamente nulla degli ultimi anni; sedici anni sono del tutto scomparsi, ed è convinto di essere ancora nell’istituto, e che tra poco potrà andare nell’orto a lavorare con Bartolo. In famiglia, dove rientra, non si curano della sua amnesia. A loro basta che lavori. Il problema è che non ricorda nulla, e non li conosce più. E non sa neppure fare quello che faceva prima. Nel giro di quindici giorni Berto è rispedito all’istituto dal quale era uscito tanto tempo prima, e lui è tutto felice di tornare perché non capiva assolutamente cosa ci faceva con quegli sconosciuti.

All’istituto è stupito di vedere tutti quelli che conosceva tanto invecchiati, e non trova neppure Bartolo. Qualcuno gli dice che è morto due anni prima. Eppure lui lo ha visto da poco, quindi evidentemente lo stanno prendendo in giro. Ora capisce che lo prendono in giro, quando capita. Il giorno stesso del suo rientro va nell’orto, che trova un po’ abbandonato, ed incontra uno sconosciuto che non sa come curare le piante, che finge di zappettare, che innaffia controvoglia, che fa marcire i frutti migliori. Nel giro di sole ventiquattro ore inizia a sistemare le cose. Passano altri sette giorni e lui riprende il controllo dell’orto, rimette in ordine per quando Bartolo si rifarà vivo e quello sconosciuto senza voglia di lavorare viene spostato altrove, in un magazzino, gli dicono. All’orto per adesso può benissimo fare da solo.

Ogni giorno nuovo per Berto sembra lo stesso del precedente, cambia solo il tempo meteorologico. A volte il sole è alto e brucerebbe ogni cosa, se lui non innaffiasse nei momenti giusti. Altre volte piove, ma la pioggia gli piace, e lavora ancora più soddisfatto. Quando c’è la neve cura una piccola serra e rimette in ordine le provviste e le scorte. Ha sempre qualche cosa da fare, e non si annoia mai. Nell’istituto lo lasciano in pace, hanno capito che così è felice. Gli preparano una stanza con tutto quello che serve, a poca distanza dalla sua terra, lo riforniscono di abiti e di ogni cosa lui chieda per l’orto, e pure il cuoco comincia, a volte, a cucinare  esclusivamente per lui alcuni piatti che apprezza moltissimo. Trascorre in questo modo esattamente mezzo secolo, senza mai prendersi neppure un raffreddore e aver mai conosciuto una donna.

Il primo giorno d’autunno muore all'improvviso, mentre sta strappando dal terreno le carote che gli hanno chiesto. Lo trovano così, nemmeno mezz’ora dopo, col viso sorridente. Quando viene deposto, con i suoi abiti migliori, nella semplice bara che lo accompagnerà nel suo ultimo viaggio, ha lo sguardo felice di un ragazzino felice.    


                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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