domenica 28 febbraio 2016

Mandami una cartolina quando vai a Venezia



 
Se 95 centesimi ti sembrano tanti, troppi, per spedire una semplice lettera o una cartolina, se protesti perché il postino ora passa solo a giorni alterni e se, purtroppo, molti uffici postali chiudono, riducendo il servizio ed il personale, con danni evidenti per chi ha bisogno delle poste anche nei piccoli centri isolati non hai torto.

Tuttavia non hai neppure ragione. Io non difendo le scelte governative che penalizzano i servizi pubblici, tutti, spostandoli sempre più verso una gestione privatistica che segue maggiormente chi ne avrebbe meno bisogno e dimentica i ceti medio bassi, e vincola questi servizi, che dovrebbero essere pubblici, ad un bilancio di puri costi e ricavi, snaturandoli.

Io non difendo il governo in queste scelte, e neppure il mercato, che tuttavia fa il suo lavoro secondo le leggi, appunto, di mercato. Io ti faccio solo poche domande. Quando è stata l’ultima volta che hai spedito un pacco postale con le poste italiane e non con un privato? Quando hai mandato una raccomandata o una semplice lettera e non una mail o una PEC? Quando mi hai mandato una cartolina da Venezia, o da Pisa, o da Ferrara, invece di un semplice saluto col tuo cellulare intelligente con sullo sfondo la torre che pende?

A questo punto, per favore, se vuoi che le poste tornino a dare un servizio, usa i servizi postali. Se vuoi che una libreria non chiuda compra libri. Se vuoi che i centri non muoiano compra nei negozi del centro e non nelle periferie commerciali. Se vuoi che i fotografi non abbassino le saracinesche per sempre falle stampare, le foto, su carta. Se non vuoi essere invaso da cucine improbabili e senz’anima, torna a cucinare come una volta lo facevamo, in Italia, ammirati ovunque nel mondo.  E se vai a Venezia mandami una cartolina.


                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

venerdì 26 febbraio 2016

Monologo (breve)



Siccome fosse

Voce recitante: Ugo Maria Inerpicato degli Arazzi
Musica: Ugo Maria Inerpicato degli Arazzi
Scena: Ugo Maria Inerpicato degli Arazzi
Testo: Ugo Maria Inerpicato degli Arazzi
Regia: Ugo Maria Inerpicato degli Arazzi

-        Atto unico  -

Ebbene, voi che pensate, che io sia impazzito? L’Arazzi dei pazzi meditate? E allora siete savi voi, che siate savi e compiaciuti, voi, guidati da pietà o ragione, d’integro intelletto e assidui delle strade sicure.
Io mi perdo nelle vie più larghe e battute, mi lascio distrarre dai mille stimoli che offrono, soffro di solitudine tra la folla e vedo ovunque la bellezza che esclude, la ricchezza ostentata e volgare, la grazia inarrivabile, il dolore dal quale rifuggo e le miserie, le miserie, le miserie infinite e tremendamente umane.

Mi vedete stanco, senza l’energia di un tempo? E voi pensate forse d'essere eterni? Sono Ugo, per mio padre, e Maria, per mia madre. Degli Arazzi per decaduta nobiltà, ormai un vezzo, lo confesso, ma dentro lo sono, eccome se lo sono. Inerpicato per merito di mia nonna, per suo grande merito. A lungo ho nascosto questo nome col quale mi chiamò solo lei, ed ora non saprei neppure dirvi perché così decise. Lascio a voi ogni ipotesi e solo aggiungo, ad onore del vero e come ausilio, che come tutti i ragazzini amavo molto gli alberi, quelli carichi di frutti aspri ed ancora acerbi. Fui ragazzino, certo, ed avevo l’energia perpetua di chi non dorme mai oppure crolla all’improvviso per poi ricominciare, in un’infinita girandola di silenzi e grida, di ginocchia sbucciate e scoperte essenziali.

Tu che ora mi guardi con divertimento, cosa ti fa sorridere? Ti rivedi un paio di decenni fa, immagino, perché la tua è stata certamente una vita unica, come la mia, o come quella della signora accanto alla quale ti trovi a sedere. Io sono Inerpicato, ma tutti lo siamo, rifletti. O lo siamo stati almeno, per una stagione più o meno breve. Quella stagione che si imprime, indelebilmente, e poi passa, lasciandone il ricordo. Per 7 anni fui in quel luogo, per i successivi 9 mi spostai, di poco, poi ancora via, per vari anni, sempre pochi, a volerli contare, eppure densi, pregni, inestricabili. Non ti dirò di quel luogo dove iniziò, solo devi sapere che ora è mutato. Sono mutati tutti gli altri, poi, eppure il tempo scorreva con velocità diverse, è questo che mi stupisce ogni volta, e non dire che tu non lo hai notato. Se ciò non è avvenuto, ancora, ringrazia la fortuna.

Non vi racconto nulla? Dico cose senza un senso compiuto, senza un filo logico, e non capite dove intendo arrivare? È esattamente così. Il vero senso è il non senso. La regola è che non c’è regola. Domani questo, se mi capiterà di ripeterlo, lo esprimerò con altre parole, forse dimenticherò completamente una cosa importantissima, o magari aggiungerò osservazioni geniali che oggi, per voi, non ho pronte. Non vogliatemene, perdonatemi anzi di avervi delusi. Io vorrei sparire nel momento della mia massima espressione, celarvi la decadenza inevitabile, non lamentarmi mai delle ingiurie, come un beota allegro in una festa cronia. Vorrei saperlo però quando sarà il momento. Questo è difficile capirlo, non è il destino di tutti.

Ed ora, prima di lasciarvi tornare finalmente alle vostre abitudini, due sole parole sulle note che avvertite in sottofondo. Le ho rubate, non sono musica mia, anche se così ho scritto in quanto avete letto. Siccome fosse però. Fingete sia mia. La musica, le note e tutto ciò che ci fa sognare, anche se arriva da altri, diventa nostra, ed è solo così che ci colpisce, si fa largo ed occupa uno spazio dentro di noi. Allo stesso modo è vostra, esattamente allo stesso modo, ma soltanto se anche a voi regalerà quelle emozioni, o altre.

Quindi rispetto la promessa di brevità. Ciò che ho detto sparirà, e se non succederà sarà diventato vostro. Grazie, allora. È la sola cosa che mi resta da dirvi.

(inchino, sipario… )  


                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

mercoledì 24 febbraio 2016

La tua immagine



 
Tu fissa un istante, ma cerca di capire cosa intendo però, perché io un istante non l’ho mai visto e tantomeno fissato, come oggetto. Fissa nella mente una tua immagine, ecco, così mi sembra più chiaro. Sceglila bene quell’immagine, che ti rappresenti e sia il più possibile oggettiva, non troppo edulcorata dai tuoi narcisismi o dall’eccessiva benevolenza che sempre manifesti nei tuoi confronti. Quell’immagine ti rimandi ad un momento felice, rilassato, sereno.
In altre parole può essere una fotografia, o solo un ricordo, o anche il frutto dell’operazione di distacco che a volte ti capita di realizzare per vederti da fuori, cioè come appari agli altri. Se ti guardi allo specchio forse non basta per capire esattamente cosa voglio dire, ma è in ogni caso un buon inizio.

Bene. Se lo hai fatto ora cerca di capire che l’immagine non sei tu. Se hai eseguito in modo onesto le indicazioni quella foto fissata nella mente rappresenta il tuo passato, ti ritrae in un tempo ormai finito, ora non sei più così. L’illusione di fermare il tempo deve esserti chiaro che è esattamente così, ed io non l’ho ancora capito. O meglio. L’ho capito, ma fingo di non saperlo.

Potrei elencare mie immagini fissate talmente numerose che mi verrebbero persino a noia, e sarebbe oltretutto un esercizio sterile. Trasponendo l’idea ad altri campi mi verrebbe da pensare al pazzo che intende realizzare l’intera pianta in scala 1:1 della superficie terrestre, oppure a chi trascorre tutto il suo tempo per descrivere esattamente ciò che gli capita e cosa fa, in modo minuzioso, perdendosi alla fine in un vortice di ripetizioni di “ora sto scrivendo che…”, senza nemmeno riuscire a mangiare, a dormire, ad amare, a vedere oltre le sue mani, cioè a vivere.

Torniamo però a quella tua immagine, che ora hai ben chiara, spero, chiara ed unica. Tu hai bisogno di vederti così. Quell’immagine l’avresti costruita anche senza alcuna mia indicazione, è quella che ti serve per stare tra gli altri, per parlare, per interagire, per lavorare, per avere rapporti sui social, per saperti in vita. Quell’immagine non è una sola? È probabile. È un potenziale problema, ma dovrebbe essere molto diffuso, anche se non soffri di sdoppiamento della personalità. Se rimane entro limiti precisi non è neppure un vero problema, ma non scordare che devi mantenere sotto controllo questo aspetto, e non esagerare mai.

Ed ora cerca di arrivare alla libertà, alla possibilità di fare accettare la tua immagine esattamente come ti fa star meglio. Ed accetta anche che non a tutti piacerà. Del resto tu fai esattamente così con tutti gli altri, mica è un triste destino che tocca solo te, questo lo capisci, no? Da adesso in avanti ti lascio; io penso alla mia e tu pensi alla tua. E scegliamo liberamente, cerchiamo un po’ di consolazione, senza volerne troppa, e andiamo avanti, perché fissarsi in un istante preciso è solo un puro esercizio mentale. Io, se ti può interessare, non mi vedrei male sdraiato in spiaggia vicino al mare, a contatto con i tre elementi fondamentali di quel luogo. La sabbia, sotto di me. Il mare azzurro che si muove, tranquillo, davanti ai miei occhi. E sopra il cielo sereno solcato solo da piccole e lente nuvole che danno il senso dell’infinito e del piacere di viverlo, quel momento. È un’immagine rubata ad un tempo ormai trascorso? Verissimo. Ma perché non dovrei poterci ritornare? Su una spiaggia così intendo, non certo a quel tempo.


                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

martedì 23 febbraio 2016

ma ti ricordi?



 
Ritorna dopo 35 anni e ricorda che già vi era passato, un giorno, esattamente il lunedì dell’Angelo, e già in quelle poche ore nulla o quasi gli tornava esattamente come era stato.

Che bastardo sei, Tempo. Crei immortalità effimera e te la godi nel vedere lo spaesamento di chi non ha più la possibilità di recuperare dai bagagli quelle poche cose, o di rivedere quelle persone, o di annusare i profumi, di sciogliersi in slanci nuovi ed incoscienti.  Ma te lo hanno detto in tanti, lo so, quindi è inutile che lo ripeta io, che non conto nulla.

Lui ritorna, dicevo, e dopo aver riportato alla mente quelle poche ore scava, torna indietro, a vari anni prima, quando su quella sabbia ci andava con amici, ed è costretto a ripassarli in ordine, perché alcuni di questi sono stare vere meteore, bruciate ancor prima di toccare il suolo. Altri sono stati meteoriti. Cadendo hanno prodotto piccole o grosse ferite (dovrei dire crateri, ma è un gioco degli scambi, è chiaro), e non sono stati dimenticati in modo indolore. Pochi altri non se ne sono andati, e lui, quelli, non li vuole lasciare andare. E per quale motivo poi? Chi ci segna lascia un segno, come una nuova ruga sul viso, ed è la nostra nobiltà vissuta. Comunque sia stata non è mai finita.

Poi, precipitando all’indietro sempre di più, vuole ritrovare un bambino con la madre, il sole di allora, l’acqua salata e la piccola barca di legno colorata in giallo e rosso, con la vela di stoffa. I luoghi sono mutati ma non è impossibile sovrapporre ieri ad oggi, anche se non fisicamente, con immagini reali.
Il suo ieri è l’oggi di molti bambini, tanto lontani dalle sue esperienze però, e ugualmente vicini nei loro timori, nelle loro cattiverie e vendette, nei loro entusiasmi facili da creare e da scordare.

Il tempo rallenta ed accelera, gioca, non si fa misurare neppure se ci si prova con grandi mezzi. Rimane soggettivo, in quello che conta. Le separazioni schematiche e di comodo lui si diverte ad arruffarle, metterle in disordine, a sovrapporre in modo inestricabile.

Ma ti ricordi, ora, da dove tutto è iniziato? Quale è stato il primo errore che ha innescato tutti gli altri, ammesso sia possibile leggere in tal modo la piccola storia senza importanza di una sola donna o di un solo uomo? Sei così, ora, anche grazie a quell’errore, e non sai neppure dire se alla fine sia stato un vero errore, o semplicemente una scelta casuale, neppure tua, o, ancora meglio, un caso, non scelto, senza l’intervento della volontà di nessuno.
Hai paura che ti vengano tolte cose e persone. Tutti ne hanno paura. Hai conosciuto maestri, nel senso pieno della parola, ed hai incontrato veri e propri stronzi, ed anche loro ti hanno insegnato molto.

Ma il bambino che giocava col trenino a pile, con quei binari sempre troppo corti per raggiungere le mille città lontane, le montagne che si vedevano solo nelle giornate più limpide e per infilarsi dentro le gallerie scavate nel buio della roccia continua a giocare senza pensare ai tuoi problemi. Lui non ha i tuoi problemi e tu li hai scordati i suoi, quelli importanti. Adesso ti viene in mente soltanto che quella locomotiva nera aveva un fumaiolo con un bastoncino infilato e nascosto dentro, e faceva fumo sul serio, se si accendeva. O che la preziosissima batteria si consumava prestissimo, e tutto il trenino, tristemente, si fermava, su un binario inutile. Quella batteria, poi, avvicinata alle braci del camino, riprendeva un po’ di energia, ed il trenino faceva un altro giro, e, forse, dopo, un altro ancora.

L'immagine (da me modificata) viene dal profilo Pinterest di Anna Maria

                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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