sabato 31 ottobre 2015

Questo non riesco a farlo



 
Non è quello il solo motivo, ce ne sono almeno una decina, ad essere buono con me stesso, ma quello è uno.
Quando racconto una cosa frutto della mia fantasia non amo farmi condurre e basta, ma voglio decidere, almeno in parte, come si sviluppano gli avvenimenti, come si verificano le coincidenze, cosa succede ai personaggi.

Per troppo tempo ho vissuto all’interno di paletti rigidi, ma essenziali, doverosi e corretti, ed ho dovuto rispettare la massima oggettività. Pure oggi in certi ambienti non posso sgarrare dalla necessità di produrre prove di quanto dico, perché le opinioni personali sono appunto opinioni, e non è detto siano condivise e condivisibili. Le regole hanno un senso sociale che riconosco, ed alle quali devo piegarmi. Posso ovviamente discuterle, nei modi corretti e se non le ritengo giuste, ma in ogni caso non è la mia opinione che alla fine deve prevalere, bensì quella che emerge o dalla discussione o dalle disposizioni di chi è chiamato (nominato o scelto) per decidere. Ho un fondo anarchico, in altre parole, ma lo uso diversamente dagli anarchici.

Ho letto un bel romanzo, recentemente, tragico ma scritto con apparente leggerezza, dove la morte si accetta come fatto e dove lo stesso dolore viene osservato attraverso un filtro che non trasmette paura e ansie, ma è, alla fine, funzionale alla metafora. Gli stessi personaggi sembrano morire con rassegnazione. La morte è compagna della vita, fatalmente, ma nella storia tutto viene in qualche maniera filtrato. Quello che ci succede ogni giorno, ad esempio un lutto, nel romanzo si legge “mediato”. La morte impregna quasi ogni pagina, ma spesso sembra che non sia così. È un bel romanzo, che in ogni caso tocca la vera vita, alcune emozioni e le speranze, è diversa da quelli che non dicono nulla di nuovo, ripetitivi e stanchi, anche se vendono tantissimo perché sono consolanti e fanno ritrovare un proprio mondo.

Qui i fatti si succedono, i problemi vengono accettati ed affrontati, ad ogni passaggio si assiste ad un lento scivolare verso il non ritorno e tutto appare, pur se guidato da una visione abbastanza fantascientifica, accadere in modo naturale. La descrizione di alcuni stati d’animo e di certe motivazioni è curata, mentre gli avvenimenti che fanno da contorno ed ambientazione sono assolutamente spietati, sembrano subiti.

Eppure è la stessa ambientazione ad essere fantastica, inventata probabilmente con qualche errore logico di fondo, non del tutto realistica, anche ammesso che le premesse siano plausibili.
La storia, se avessi potuto decidere io, avrebbe preso una via diversa, modificando la concatenazione dei fatti rispetto a come sono descritti, e sicuramente avrebbe optato per la speranza, in modo netto, o l'avrebbe suggerito in modo esplicito. Ed invece no. Nessuna concessione al lieto fine dichiarato.

Questo non riesco a farlo, mi rifiuto razionalmente ed emotivamente. Non sarò mai uno scrittore insomma, e non solo per questo motivo, come ho ammesso in apertura. Se sono io che scrivo, se sono solo davanti ad un testo che, come ora, cerco di far nascere, allora decido io. Creo, o invento, sino in fondo. Adatto la realtà a quello che voglio trasmettere. Tutti adattano la realtà del resto, non credo all’oggettività assoluta, o ad una verità universalmente condivisibile. Non è mai esistita.
Se scrivo una breve storia (e non mi limito a raccontare quanto è avvenuto) voglio far andare le cose come voglio io. Non accetto di scrivere quello che la vita ci mostra quando è crudele, non quando invento personaggi e situazioni, anche se ispirati a quanto è successo.

La bellezza della libertà dell’invenzione è questa: modificare, aggiustare, punire e premiare, parteggiare. È un mondo parallelo slegato dal vero? Va bene, e dove sta il problema? Stella, ad esempio, non esiste. Che io la renda stronza ed insensibile senza speranza o che le accenda dentro un fuoco improvviso cosa cambia nel mondo reale nel quale tu fai la spesa, cerchi lavoro, vai a letto con un uomo o una donna (o entrambi) e rischi un incidente appena esci di casa?

                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

venerdì 30 ottobre 2015

le città





Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d'un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell'economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. (Italo Calvino)

Rimane pochissimo ormai della città che conoscevamo, ma Santiago è sempre lì, sfregiata dalla cicatrice ocra del fiume Mapocho, che cresce e decresce secondo il rigore degli inverni. (Luis Sepúlveda)

Parcheggia l’auto e si avvicina alla prime bancarelle. È giorno di mercato e non ha bisogno di nulla ma è attirato dall’animazione, gli piace ancora essere coinvolto. I venditori sono infreddoliti, e osservano le tantissime donne che si accalcano attorno alla merce esposta. Hanno una risposta per tutte, sembra che possiedano occhi anche alle loro spalle, e lui non capisce come possano controllare che, nella calca, nessuna possa nascondere velocemente nella borsa una sciarpa o un paio di calze senza pagarle. 
In realtà le esposizioni di abbigliamento non gli interessano, anche se sono quelle dove c’è più ressa. Guarda chi propone giochi, e borse, oppure utensili da cucina, e i tanti che vendono dolciumi, frutta e verdura, o polli allo spiedo, che fanno venir fame anche se mancano ancora ore al momento del pranzo. Per lui è tradizione ogni lunedì venire al mercato in Piazza Travaglio, e quando può non manca mai, anche se poi non compra nulla. Una volta sola, un anno prima, aveva comprato un maglione come andava di moda, col collo alto, tanto intellettuale di sinistra da collettivo studentesco, perché costava molto meno di quello offerto nei negozi in centro, anche alla Upim ed alla Standa. Arrivato a casa, perché aveva aspettato sino a casa per provarlo, aveva scoperto che aveva due enormi buchi. Non era solo scucito, ma proprio bucato, in modo irrecuperabile. Era tornato subito al mercato, ma ormai tutti stavano smobilitando, e la sua bancarella era già sparita. Per il nervoso, tornando a casa, aveva buttato tutto nel Volano e poi si era ripromesso di non comprare mai più nulla da vestire in un mercato.

Tornando sui suoi passi vede una signora anziana, che scoprirà chiamarsi Natalina, portare due pesanti borse con frutta e verdura. Si offre di darle una mano, e si ritrova ad offrirle un passaggio in auto, invece di lasciarla alla fermata dell’autobus. Lei abita nella zona di Porta Mare, sembra, quasi al lato opposto della città, ma non è un problema, a lui piace guidare e la città la conosce tutta. Arrivano vicino a Piazza Ariostea, e da lì entrano in una strada che ha visto tante volte ma che non ha mai percorso. Che strano, pensa, eppure ci passo spesso di qua. Continua, lungo via delle Vigne, e ad un certo punto spariscono le case e si ritrova in campagna. Non ci crede, ma è così. Natalina abita in una vecchia e piccola casa di campagna, ma in città, dentro la città, all’interno della sue mura. L’aiuta a scendere e le porta le borse in casa. Rimane con lei a scambiare ancora due parole, si ripromette di tornare a trovarla, poi la saluta.

Torna ancora, e qualche volta le porta un regalo, poi lei sembra far capire che non gradisce le sue visite, e lui smette di andare nella campagna dentro la città.

Molti anni dopo, moltissimi, in una delle sue vite successive, lui ricorda quei luoghi in parte rimossi dalla memoria e che non aveva più avuto motivo di frequentare. Per la città il tempo trascorso è quasi nulla, ma quando lui torna in quel luogo che ricordava magico gli sembra veramente arrivare in un altro periodo storico. In poco più di 30 anni tutto è cambiato. La campagna aperta è sparita, ma sono comparsi cancelli e alte siepi. Le case che si possono vedere sono curate e signorili, e c’è pure una piccola azienda che offre prodotti naturali. È ancora possibile scorgere qualche angolo di quella che era stata una bellissima zona agricola fuori dal tempo e dallo spazio, si vede San Cristoforo della Certosa, ma tutto sembra artificiale, brutalmente invaso. Gli procura dolore vedere tutto questo, e sembrano falsi i cartelli che indicano quella parte della città come l’ultimo lembo della campagna ferrarese dentro le mura rinascimentali. Lui sa che non è vero, e che quella non è più la vera campagna che è stato uno degli ultimi a vedere.


                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

giovedì 29 ottobre 2015

le albe





Arriva e sembra nuova, perché è nuova. Prima non era mai arrivata, e dopo non arriverà più. La sua presenza fa capire che hai una nuova possibilità, una nuova opportunità, ma purtroppo sfugge. Arriva presto, e non si vede. Chiusi tra le mura - fortunati ad averle - la perdiamo. Io le ho perse quasi tutte, spero che tu ne abbia viste molte, moltissime. Credo siano un regalo laico, naturale, universale, un segno che siamo vivi, ancora per un po’. E dopo arriveranno ancora, anche dopo di noi, a far capire a chi le vedrà che è vivo, ancora per un po’.

Perché l’alba poi deve essere laica? Non ho una spiegazione razionale, non so neppure se è vera ed attendibile, o anche solo possibile. Ho l’impressione che se è laica sia tollerante con tutti, non imponga nulla a chi la vede, non pensi di suggerirti una via, accetti che tu la veda come più ti piace, tanto lei arriva in ogni caso, e mostrandoti il sole che si svela rispetta solo i suoi tempi, niente di più.

Tutte le albe del mondo formano una linea ininterrotta, che ha avuto un inizio, che avrà una fine, ma che ora ci sembra infinita. Se vedi che altri percorrono quel pezzetto di spazio-tempo vicino a te significa che hanno un destino comune, anche se fingono che non sia vero. Anche quelli che vogliono cambiare il mondo lo cambieranno veramente solo se anche tu li aiuterai, li subirai o li spingerai. Poi però non illuderti troppo. Anche tu puoi cambiare ben poco, solo spostare di pochissimo la rotta della nave sulla quale ti trovi, e se devi arrivare in un porto arriverai in ogni caso, magari con la nave che attraccherà solo un centimetro più verso est, o verso ovest.


                                                                                                        Silvano C.©   

(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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