lunedì 28 settembre 2015

Prima gli italiani




Lo ammetto subito, a scanso di equivoci. Il titolo è in parte fuorviante, ma solo in parte. Di quanto lo capirai, se mi leggerai.
Parlerò principalmente di badanti, solitamente donne, che aiutano in casa i nostri nonni o genitori anziani, facendoli restare nel loro ambiente naturale, conosciuto, familiare, senza obbligare a scelte drammatiche, cioè a scegliere case di riposo, più o meno impersonali, dove non è possibile essere seguiti individualmente.
Quanto costa ad una famiglia che voglia mettere in regola questa particolare figura di collaboratore domestico? Non meno di ventimila euro l’anno solo per paga corrisposta direttamente, contributi versati all’INPS e gestione del rapporto di lavoro e buste paga affidati ad un patronato. È escluso dal conteggio quanto spetterà alla badante quando il contratto verrà chiuso, il cosiddetto TFR, circa una mensilità per ogni anno di servizio, ed è escluso anche il vitto ed alloggio, difficile da quantificare, e che comprende molte spese diverse (Poniamo, per stare bassi, circa cento euro al mese.). A tutto questo poi si devono aggiungere qualche extra imprevisto per servizi particolari e l’abbonamento ai mezzi pubblici, che sono altre voci di spesa.
Eppure quasi nessuna italiana, a quanto mi risulta, è disposta a svolgere questo lavoro, alle stesse condizioni, e le motivazioni sono molte. Solitamente gli italiani vogliono orari di lavoro meno vincolanti e non sono disponibili a rimanere in servizio quasi ininterrottamente (salvo poche ore al giorno di libertà). Poi, chi vuole un lavoro regolare, chiede anche una retribuzione maggiore per un servizio che comprende molte mansioni: accompagnatrice, domestica, cuoca, infermiera, dama di compagnia e sorvegliante.
Il sistema regge ancora grazie ad alcune ambiguità ed ipocrisie di fondo, che non è detto possano restare. Alcune realtà locali cominciano a richiedere una certificazione specifica per queste collaboratrici, aumentandone il valore e quindi la retribuzione. Alcune badanti giocano tra diritti e doveri, chiedendo le garanzie del nostro stato sociale ma tentano di non dichiarare i loro redditi al nostro fisco. Pure questo non potrà durare a lungo. Molte famiglie, infine, non sono in grado di reggere una tale e crescente richiesta di impegno economico, e non è possibile equiparare una famiglia ad un imprenditore privato. Ecco quindi spiegato perché il nero, il non dichiarato, in questo campo, malgrado mille rischi, è ancora tanto praticato.
Resta innegabile tuttavia che si tratta di sfruttamento di persone che accettano certe condizioni di lavoro solo perché, nel loro Paese, quanto guadagnano in Italia non lo percepiscono neppure professionisti laureati.

Ed è lo stesso sfruttamento, molto più disumano, che avviene con i lavoratori stagionali, pagati una miseria, quasi mai regolarizzati, ma che ci permettono di avere pomodori, mele, vino ed altri prodotti a prezzi più convenienti.
Cioè noi paghiamo un po’ meno una bottiglia di moscato esclusivamente perché qualcuno non riceve quanto gli sarebbe dovuto. Questo non tanto in base alle norme sul lavoro, quanto piuttosto per una semplice considerazione di giustizia sul piano umano, cioè di diritti della persona.

Ogni società ricca ha i suoi schiavi, ed il benessere, in ultima analisi, è esclusivamente il malessere di qualcun altro. Se gli schiavi, o meglio, gli sfruttati, non sono in casa nostra o nei campi che vediamo o nei nostri cantieri significa solo che li abbiamo delocalizzati, che vivono altrove, fuori dai nostri confini nazionali. Del resto uno smartphone, un televisore a schermo piatto, un paio di scarpe di marca quanto dovremmo pagarli se chi li produce guadagnasse quanto sarebbe giusto?

Tantissimi anni fa un insegnante di allora mi disse che in tutto il mondo non c’era sufficiente rame per produrre cavi adatti a trasportare la corrente elettrica per ogni abitante della Terra. Era un esempio, e da quel concetto non ci siamo mai mossi, mi pare. Quindi va bene, prima gli italiani, a condizione però che anche gli altri arrivino a pari merito, o distaccati di poco.

                                                                                                        Silvano C.©   


(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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