lunedì 31 agosto 2015

MEMORIA


 Riedizione 2003 dello storico documentario sull'attività teatrale svolta nel 1977 da Cora Herrendorf e Horacio Czertok (Teatro Nucleo) presso l'Ospedale Psichiatrico di Ferrara diretto da Antonio Slavich .
Il video è proceduto da alcuni servizi dei telegiornali dell'epoca in occasione del Convegno "La Scopa Meravigliante", congresso nazionale attorno al ruolo della ricerca teatrale e dell'immagine nel processo di destabilizzazione manicomiale tenutosi a Ferrara nel 1978.
Le immagini raccontano i seminari formativi per Operatori (medici, infermieri, Assistenti sociali) e pazienti, le attività di mobilitazione teatrale all'interno dei reparti ospedalieri e gli Interventi terapeutici paramedici per pazienti condotti dal Teatro Nucleo a Ferrara per tutto il 1977.
Il video si conclude con l'intervento di Franco Basaglia al Convegno "La Scopa Meravigliante".


(PS- Il testo non è mio, ma di Cora Herrendorf, della quale mi onoro di essere amico su Facebook)


Il Teatro Nucleo, su Facebook
Qui, sul blog, parlo anche del Teatro Julio Cortazar
Il sito del Teatro Nucleo a Pontelagoscuro, Ferrara 


La conseguenza




Davanti al bivio
Figlio mio,
pensa bene, prima di andare
Dopo il bivio
Amore mio,
mai più alle spalle dovrai guardare.
(corto ed antico proverbio maltese)

Quando si nasce non si sceglie il luogo, né la madre, il padre o altra condizione. Si nasce fortunati (pochi) o destinati a soffrire (tutti).
Le prime scelte reali, quelle agite in assoluta libertà né condizionamenti, arriveranno solo molto avanti negli anni. Per alcuni non arriveranno mai, neppure il luogo della loro sepoltura avranno alla fine deciso.

Il bambino viene attratto da un amico, prova curiosità per una situazione che desidera, pensa ad un risultato senza pagarne il prezzo. È ancora convinto di essere libero, malgrado tutto, e che la sorveglianza alla quale è sottoposto sia destinata ad essere superata. È quello anzi che gli fa desiderare di crescere. Ma si avvicina solo alla fine.

Quando entra nel grande magazzino e decide irresponsabilmente di rubare quella penna di marca e abbastanza costosa è perfettamente consapevole del fatto che è un furto, ma è eccitato dalla situazione, sa che rischia, che qualcosa potrebbe andare male. Esce in strada, si allontana piano, arriva sino ai giardini, poco lontano, e finalmente quella penna è sicuramente sua, la può estrarre dalla tasca, toccare con le mani, far scattare il pulsante che fa uscire o rientrare il refill. Ora ha una bella penna. Ma ha perso.

L’incontro casuale gli fa scegliere quello che era pronto ad accettare e forse, in seguito, a rifiutare.  Inizia ad affrontare ancora un bivio; andando a quella festa non potrà vedere la ragazza, e, quando la rivedrà, non sarà la stessa situazione. Andare significa fuggire, e lei lo sa.

Anni dopo, molti anni dopo, ricostruisce a tavolino alcuni passaggi della sua vita. Gli è evidente che si trova in uno dei tantissimi universi paralleli possibili. Dario Archibugi in quanti altri si è sdoppiato? Nel percorrere ogni nodo significativo che ha superato, lui è andato da una parte, e l’altro? E tutti gli altri, ora, non staranno pensano lo stesso, esattamente come fa lui? Non tutti, si rende conto all’improvviso. Alcuni Dario sono morti. Uno in una curva, in un paese della Toscana. Un altro qualche anno prima, sfracellato tra gli scogli di una spiaggia sotto il monte Conero.

Non avrebbe mai incontrato Elsa, se fosse andato a lavorare in Piemonte invece che in Veneto, e c’è mancato veramente poco. Quindi non sarebbero mai nati Giacomo e Lucia, e non avrebbe investito quei soldi in quella cooperativa. Ora sarebbe il Dario che vive parallelo a lui, ma invisibile e sovrapposto.

Forse non è vero nulla. La fantascienza è una cosa, la realtà è un’altra. L’unica verità, quella evidente, visibile e concreta, la vive giorno dopo giorno. La sua libertà se l’è giocata un po’ per volta, scegliendo e riducendo sempre più le opportunità ancora a disposizione. La conseguenza del vivere, quasi sempre, è continuare a vivere.


Disegno di Hugo Pratt


                                                                                                        Silvano C.©   


(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

sabato 29 agosto 2015

Profughi? A casa loro!


“Basta, è un’invasione, mettiamo reti elettrificate, ributtiamoli in mare, non facciamoli neppure partire, affondiamo barconi e gommoni, aiutiamoli a casa loro e che non vengano qui che abbiamo già i nostri problemi, fuori dalle palle, mandiamo le ruspe ad abbattere le tende abusive sul nostro territorio, difendiamo la nostra cultura, aveva ragione la Fallaci, aiutiamo prima gli italiani, basta alloggiarli in albergo a nostre spese, con le nostre tasse, mentre molti di noi non hanno lavoro o non arrivano a fine mese.”

Profughi a Isera: insieme nella comunità


Ecco, questo si legge facilmente, in rete, si sente in giro, si legge sui giornali, si ascolta in televisione. La faccenda però è leggermente diversa.
Prima di tutto noi occidentali siamo responsabili di quanto avviene in molte aree dove ora regna il caos più completo. Paesi europei hanno bombardato la Libia, ad esempio. Oppure ci siamo opposti a dittatori che ora vogliamo aiutare, sempre per i nostri interessi. In passato abbiamo commesso identiche atrocità e distruzioni, sia come cristiani che come invasori (quindi come colonialisti) esattamente come quelle delle quali ora accusiamo altri.

Ma anche ignorando tutto questo, o non volendo ricordarlo, siamo di fronte ad un esodo di dimensioni talmente grandi, e siamo così divisi pure tra noi, che non siamo in grado di portare pace in quelle terre dalle quali queste persone fuggono. La comunità internazionale guarda, ammonisce, richiama, ma non fa nulla di risolutivo per rimuovere le cause, ed ognuno accusa gli altri, ignorando i propri muri o i propri scheletri.

Ammetto che non è bello vedere qualche giovane rifugiato ospite di un albergo tranquillamente seduto, nella veranda davanti alla struttura dove vive, impegnato con un cellulare o a discutere di fatti suoi con altri, in attesa che arrivi il pranzo o la cena. Stride con la situazione che vivono in tanti, di degrado e di bisogno. Viene facile pensare che questi giovani, sani e nullafacenti seduti davanti ad un tavolino di un bar forse non sono la risposta migliore al problema dell’ospitalità.

In realtà la vita è fatta di diritti e di doveri. È un caposaldo della convivenza civile. Quindi tutti coloro che hanno bisogno, in particolare se fuggono da guerre e fame, devono essere aiutati. È un diritto indiscutibile.  Ma vengono anche i doveri, sono l’altra faccia della medaglia. Esistono in particolare due modalità evidenti con le quali i nostri ospiti possono dimostrare di meritare l’accoglienza. 
Il primo è accettare il nostro modo di vivere e le leggi che ci siamo dati, che comportano il rispetto delle donne e di tutti gli altri. 
Il secondo è contribuire con attività utili a tutta la comunità, ad esempio ripulendo le strade, le piazze ed i giardini dai rifiuti, perché per questo non serve alcuna specializzazione, e poche ore al giorno di lavoro, in cambio di vitto ed alloggio, cioè di accoglienza, mi sembrano pure un buon modo per prevenire proteste populiste e razziste. Nessuno potrebbe dire che ospitiamo qualcuno a non far niente.

Per ogni rifugiato la comunità riceve circa 30 euro, se ho capito bene. Questi soldi poi non vanno alle persone, bensì alle strutture che li ospitano, a chi fornisce il cibo, oppure vengono spesi sul territorio, quindi producono lavoro e ricchezza anche per i residenti. Non sono soldi buttati e restano alla comunita.

Un’ottima soluzione la vedo ad esempio a Isera, vicino a Rovereto. Si è trovata l’idea del volontariato, che produce pure integrazione. Altre vie simili si possono trovare, a beneficio di tutti, credo, senza fare una guerra tra poveri o rinfocolare l’odio, a beneficio solo di alcuni movimenti o partiti.

                                                                                                        Silvano C.©   


(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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