venerdì 31 luglio 2015

Il monolite




Il monolite ha dalla sua l’indubbia supremazia su tutto ciò che lo circonda, una volta che si è liberato dei detriti inutili che lo circondavano, a suo giudizio, ammesso che fossero veramente inutili, intendo, perché sicuramente hanno avuto la funzione di preservarne la grandezza, nell’attesa che potesse emergere, ed ammesso ovviamente che possa pensare, il monolite.

Poi arriva l’illusione umana, e lo imita, crea l’obelisco, attribuendo a questa sua costruzione limitata ma ugualmente imponente anche significati non sempre chiari, a volte di dialogo con gli dei, altre di semplice affermazione di grandezza e potere, forse solo di motivo architettonico, anche se è difficile isolarlo dalle motivazioni precedenti.
Indagando in queste cose umane poi noi riveliamo tutti i nostri limiti, oltre alla grandezza. E gli obelischi li rubiamo alle civiltà che li hanno eretti, senza provare alcuna vergogna in tale gesto e raramente restituendo ciò che non è nostro, non appartiene alla nostra storia o alla nostra cultura.

Se penso ai migranti di oggi mi monta la rabbia, perché prima di essere migranti loro avevano una civiltà che noi abbiamo depredato, umiliato, colonizzato, convertito, e mi fermo, perché la cronaca di questi giorni, le immagini che arrivano, le tragedie consumate, le barriere ed i nuovi muri dimostrano che non vogliamo capire, vogliamo semplicemente non essere infastiditi da chi, in fondo, chiede solo di vivere. La nostra giustificazione è che noi, oggi, non abbiamo rubato nulla, in particolare a questi.
Chi è nato nel 1955 o nel 2001 non è certamente colpevole di quanto hanno commesso i suoi nonni, o i suoi avi, o forse un po’ sì?

Gli obelischi io li vedo come atti di accusa, evidenti e chiari, impossibili da ignorare, molto più di un diadema d’oro azteco, di una statua di Fidia o di un dipinto di Van Gogh. Gli obelischi, inoltre, a volerli ammirare da vicino, nascondono anche il sangue di chi li ha scolpiti ed eretti, ormai reso invisibile dai secoli, ma non difficile da immaginare.

Forse preferisco il monolite, a questo punto, che difficilmente può essere rubato, che per innalzarsi non ha richiesto il sacrificio di vite (sicuramente non in modo consapevole), e che posso ammirare come ammiro il mare, il cielo, le stelle.  
                                                                                                         Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

I bulimici della rete


Mi riesce difficile dire tutto quanto vorrei sul tema che mi accingo a trattare, quindi accetto preventivamente il fatto che per forza di cose sarò parziale, di parte, a volte impreciso, non sistematico e pure un po’ umorale e poco oggettivo. Io lo accetto, e spero che pure tu mi perdoni, quando scoprirai quanto sia vero quanto appena affermato.
Prima di tutto odio i luoghi comuni, e appena mi rendo conto di caderci, tento di uscirne, oppure di denunciarli, se vedo che qualcuno li ritiene corretti.

Un luogo comune che mi sembra vada sfatato è che le persone anziane, o, più correttamente, i diversamente giovani, non abbiano competenze informatiche e quindi non navighino sufficientemente in rete o necessitino di strumenti semplificati per farlo. Nulla di più falso. Ci sono ultrasessantenni che tengono un blog, utilizzano i social, mettono foto sulle piattaforme giuste, collaborano a enciclopedie on line, sanno benissimo come districarsi tra le icone di uno smartphone ed hanno competenze professionali che i giovani si sognano di avere (Sicuramente quelle legate alla loro esperienza che, fosse anche solo per un fatto di età, non hanno ancora).
Questi non più giovani usano poco le nuove tecnologie, o meglio, possiedono pochi di questi nuovi strumenti? Questo è possibile, ma la logica alla base del fenomeno è la stessa che spiega come mai anche chi vorrebbe comprarsi una Mercedes poi ripiega sull’auto di una casa automobilistica più economica: è semplicemente un fattore economico. Essere aggiornati con gli strumenti nuovi costa, e gli strumenti invecchiano in fretta. Gestire gli strumenti nuovi costa, se non altro come contratto di utenza. Chi ha un contratto di telefonia fissa inclusivo di tutto se vuole gestire anche un telefono mobile e intelligente deve avere un altro contratto, che non è gratuito, ed ha limiti nel traffico. Se tu che leggi mi dimostri che non devo spendere nulla di più rispetto al mio contratto all inclusive, e non devo neppure integrare con qualche extra il mio contratto attuale (che per le mie esigenze va benissimo) allora posso pure cambiare idea, altrimenti conservo la mia originale.

Ma ora lascio i luoghi comuni, e vengo al tema principale, quello del titolo. Io della rete ne ho bisogno, fosse anche soltanto per leggere la posta elettronica. Ma ne ho bisogno principalmente perché così mantengo contatti con persone importanti, persone che magari non ho mai incontrato di persona, e che magari potrò incontrare, come recentemente mi capita sempre più spesso, a volte quando meno me lo aspetto. Quindi la rete, in quest’ottica, è tutto tranne che virtuale, perché le persone sono sempre reali. Per alcune persone io sono un numero, è vero. Io tratto alcune persona da numero, vero pure questo. Non mi nego però la potenzialità di interagire, e in quest’occasione vengono meno il mio o l’altrui essere numeri. Del resto chi può negare che anche solo camminando per le strade di una città di medie dimensioni le altre persone che vedo siano numeri, sino a quando non avviene qualche cosa che ci metta in contatto? La logica è la stessa. Quando torno a casa delle centinaia o migliaia di persone incrociate per puro caso non mi resterà quasi nulla, scompariranno nella massa della gente (pessima parola, che però in questo caso ha un senso ben chiaro).

Nella vita però bisogna darsi tempi, spazi, priorità, valori. E occorre fare scelte. Se sono ad una cena tra amici, non posso usare uno smartphone per interagire con altre persone assenti ed ignorare gli occhi di chi mi sta accanto, di fronte, o che posso andare io a trovare, alzandomi dal mio posto per avvicinarmi, e scambiare due parole. È cafone, stupido, limitante, fortemente autolesionista avere un comportamento simile, che tuttavia sembra sempre più diffuso. Addirittura ormai si guida l’auto con gli occhi sullo schermo di pochi pollici, e si rischiano incidenti, altro che vietato telefonare alla guida, siamo all’irresponsabilità 3.0.

Quello di staccare, ogni tanto, è essenziale, vitale, necessario, doveroso e segno di rispetto, anche nei confronti di quelli che, per qualche ora, ci trovano irraggiungibili. Che succederà mai, se per un pomeriggio, una sera, magari un giorno intero, io non sono in rete? Forse che gli amici si perdono in questo modo e non per altri motivi? È evidente che bisogna esserci, non sparire, dare segni di vita, rispondere alle chiamate o chiamare, ogni tanto. Ma non serve farlo ininterrottamente.

Possedere uno smartphone insomma, se diventa una nuova schiavitù, decisamente non mi interessa. Mi va bene se lo devo avere per lavoro, ma non mi va più bene se devo mandare istantaneamente in rete la pizza che mi hanno appena servito, o postare il video in diretta (con una della tante nuove app sempre pronte ad attirare utenti) del mio incontro con altre persone, magari riprendendo un luogo pubblico ed inquadrando pure chi passa occasionalmente.  Mi va bene se lo uso per incontri clandestini (la morale la lascio ad altri, perché gli incontri clandestini c’erano ben prima dell’avvento dell’elettronica) ma già va meno bene se poi sbaglio a toccare lo schermo ed invio immagini, frasi e filmati a chi non se li aspetta e ci rimane come minimo un po’ stupito (la morale, a quel punto, rischia di diventare molto tangibile).

Ecco, finito! Ho scordato qualche cosa? È possibile, ma lo avevo previsto.

                                                                                                         Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

giovedì 30 luglio 2015

mutamenti




La collina si riduce ad ogni anno che passa, e rimpiange il tempo nel quale era montagna, ma non per il motivo che tu potresti immaginare, cioè per la sua perduta grandezza.
Sa benissimo come vanno le cose del mondo, ne ha viste tante, e lo ha capito. Quando era una vetta che spiccava solitaria non aveva mai pensato di essere tanto migliore delle cime vicine, anzi, le pesava non potersi sentire come loro, allo stesso livello, e confondersi nella catena.
Poco alla volta si era coperta di alberi, ovunque, e aveva iniziato a trovare un po’ di pace; finalmente si confondeva con la natura attorno, e le stagioni avevano iniziato a scorrere lievi.

Poi, senza che se ne accorgesse quasi, il mutamento si era fatto più rapido. Non erano le antiche forze però ad agire, adesso, ma una nuova attività frenetica, che modificava la sua superficie, che la scavava dentro, che le rubava roccia e silenzio.

Lei all'inizio accettava, certo, non poteva fare altrimenti, ed aspettava che questa grande agitazione si quietasse, per poter tornare di nuovo alla sua autocontemplazione, al sentirsi parte predestinata tra altre parti.

La collina oggi rimpiange il tempo di quando era montagna perché allora pensava che ogni fase sarebbe stata seguita da un’altra di uguale bellezza ed intensità, e non immaginava ancora che sarebbe arrivato questo giorno: percorsa da strade, scavata da gallerie e cave, disboscata per mille motivi, a volte incendiata, e, ovunque, ricoperta di case, palazzi, villaggi e paesi, muri e dighe. No, questo non lo aveva previsto, quando era ancora una montagna.

                                                                                                         Silvano C.©
(La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

lunedì 27 luglio 2015

Un regalo



 
Aprire il vecchio libro scolastico e trovare quel messaggio, oggi, ad anni di distanza, mi colpisce e mi lascia senza parole. Peggio di un colpo basso.
Vorrei risponderti adesso, a te com’eri allora, perché allora tu eri bella, non io, ed io vorrei essere allora con l’esperienza di ora, ma diverso, sia di ora che di allora. Non bellissimo, forse neppure bello, ma almeno un po’ alla tua altezza, da non farti sfigurare troppo, da non sfigurare troppo.
E poi io parlo di bellezza fisica, è chiaro, ma è altrettanto chiaro che non mi bastava e non mi basta neppure ora. I bei culi li guardo, non lo nego, l’ho sempre fatto. I bei culi sono un regalo, sia per chi li possiede che per tutti gli altri, ma poi se si limitano solo a quello restano delle fredde opere d’arte. Statue di marmo, perfette, ma delle quali non mi posso innamorare, al massimo le ammiro, ed ammiro ancor di più l’abilità dello scultore.
No, tu allora eri proprio bella, letteralmente, in senso pieno, e mi hai dedicato quelle righe, quindi mi hai pensato, almeno per quei minuti. Io sono certo di averti pensata molto di più, è nella mia natura, e lo era sicuramente negli anni di quel libro.
Aprirlo per caso esattamente a quella pagina poi, chissà perché, forse non è neppure una coincidenza. Come non deve essere casuale che io abbia perso quasi tutti i libri scolastici di allora, ma non quello.
Forse, dopo tanti anni, hai deciso di pensarmi, chi lo sa. Ti avevo pure scordata, lo ammetto, nel senso che non ti ricordavo da non so quanto tempo. Ma non ti ho realmente mai dimenticata, altrimenti ora non sarebbero un regalo quelle poche righe. E pensare che, allora, studiare tedesco non mi piaceva per nulla, in particolare la letteratura tedesca.

Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn,
Im dunklen Laub die Goldorangen glühn,
Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht,
Die Myrte still und hoch der Lorbeer steht?
Kennst du es wohl?
Dahin, dahin
Möcht ich mit dir, o mein Geliebter, ziehn!

Kennst du das Haus? Auf Säulen ruht sein Dach.
Es glänzt der Saal, es schimmert das Gemach,
Und Marmorbilder stehn und sehn mich an:
Was hat man dir, du armes Kind, getan?-
Kennst du es wohl?
Dahin, dahin
Möcht ich mit dir, o mein Beschützer, ziehn!

Kennst du den Berg und seinen Wolkensteg?
Das Maultier sucht im Nebel seinen Weg.
In Hoehlen wohnt der Drachen alte Brut.
Es stuerzt der Fels und über ihn die Flut.
Kennst du ihn wohl?
Dahin, dahin
Geht unser Weg.
O Vater, lass uns ziehn!

        (J. W. Goethe)




                                                                                                         Silvano C.©  
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

Discutere (col caldo che da alla testa)


Capita di discutere, capita a tutti, su temi di ogni genere. Già in passato ho tentato di scrivere una sorta di decalogo minore sull’argomento, nel senso che allora (Circa quattro anni fa, e quel vecchio post lo trovi qui) toccai 9 punti, e non 10 (Posso avere manie di grandezza, ma non sino a questo livello). 
Non sempre io per primo mi ci adeguo, a quei 9 punti, e recentemente mi è capitato varie volte di verificare come allora non sia stato esaustivo, quindi voglio raccontare alcuni episodi.

Sempre più frequentemente, anche solo camminando per strada o facendo la spesa, mi capita di sentire commenti riferiti al sottoscritto. Se ho tempo mi fermo, e tento di capire, di spiegare, e anche di lasciar perdere, se vedo che il caso non merita, non senza però aver chiarito la mia posizione. Devo dire che quasi mai trovo interlocutori in grado di spiegare sino in fondo la loro posizione, o di chiedere scusa, se occorre. Ma vengo ai singoli casi, tanto per raccontare.

Molti mesi fa, prima che il nostro condominio si dotasse, a spese nostre, di un’isola ecologica chiusa a chiave per evitare che da tutta Rovereto venissero da noi a buttare i rifiuti (che devono essere smaltiti con norme precise, pagando, se è il caso, anche per avere sacchetti per la raccolta non differenziata), discussi con tante persone che fingevano di non capire. Buttavano nei nostri cassonetti quello che non volevano nei loro, e non c’era verso di farli ragionare, semplicemente facevano i furbi o i non informati, e non di rado mi offendevano pure. Il nostro condominio poi, più volte, a nostre spese, ha dovuto smaltire di tutto. Una sola volta ripresi una signora, tra parentesi del condominio accanto, e le feci notare, usando l’educazione e la logica, che i suoi bidoni erano altrove, ben chiusi a chiave, mentre lei usava i nostri, cosa che non le era permessa. Fu l’unica che, dopo il primo scambio di battute, ammise che avevo ragione, e chiese scusa. Ad altri fui io a farlo notare, in seguito, quando chiesi loro se avevano avuto le chiavi dell’isola ecologica. Alla loro candida ammissione che no, non l’avevano avuta, perché non abitavano nelle nostre palazzine, ebbi la mia rivincita, e mi bastò, perché furono costretti ad ammettere che sino a quel momento avevano fatto i furbi.

Un’altra volta stavo camminando per strada, sul marciapiedi, e prima di attraversare, sulle strisce pedonali, guardai se arrivava qualcuno. Un ciclista, sprovvisto anche di campanello, mi fischio, come ad invitarmi a fare attenzione, perché lui stava per arrivare. (come se non fosse stato esattamente l’opposto, cioè lui a dover fare attenzione, ed a darmi la precedenza). In pochi minuti mi ritrovai con lo stesso ciclista nella rivendita di giornali dove entrambi eravamo diretti. Mi venne naturale una battuta, per buttare la cosa in ridere - “Abbiamo rischiato lo scontro, no?” dissi, più o meno, in tono calmo e pure sorridente. Lui però rispose piccato, forse infastidito, e più o meno disse: “Se tutti fanno così ecco perché l’Italia va male!”. Bene. Non me l’aspettavo una risposta simile, del tutto gratuita poi. Ma per fortuna ero calmo, e ragionavo. Gli chiesi spiegazioni, gli dissi che io stavi scherzando. E lui:  “No, io non scherzo affatto!”.  OK, mi sono detto, questa cosa va chiarita. Ho discusso, ho spiegato, ho chiesto cosa sapeva di me per accusarmi di essere tra coloro che fanno andare male l’Italia. Ed alla fine, pur pensando di me credo le cose peggiori, ha dovuto ammettere che non poteva arrivare a quelle conclusioni.

Altre volte sono io che sbaglio, capita. Andavo in bicicletta su un marciapiede. La cosa è vietata, è chiaro, io ero in torto. Passando accanto ad un altro perditempo attaccabrighe come il sottoscritto, ma a una buona distanza, senza assolutamente infastidirlo, ecco che dice:  “Ecco chi rovina l’Italia, nessuno rispetta le regole. Tutti in bicicletta sui marciapiedi!”.
Ovviamente voleva che lo sentissi, altrimenti non avrebbe detto quella frase a voce alta. Attorno non c’erano altre persone. Mi sono fermato, ho cercato di discutere, sono rimasto accanto a lui per un lunghissimo minuto, forse due, credo, per cercare di farlo parlare in modo più diretto. Niente da fare. Fingeva di non vedermi, e continuava col suo monologo, rispondendomi come se non parlasse con me. Io ovviamente ho lasciato perdere, gli ho detto varie volte che aveva ragione riguardo alla bicicletta, ma che avrei voluto spiegargli i miei motivi. Tempo perso.

Recentemente poi mi capita di discutere su Wikipedia su vari temi, entrando nel merito di alcune scelte di carattere generale, cose che avevo sempre ignorato, limitandomi sino a poco tempo fa a discutere solo su voci specifiche, o su argomenti limitati. E pure in questo caso la prassi, il consenso, le regole, i muri di gomma volutamente eretti per non dare risposte iniziano a diventare evidenti. Io a volte rischio di essere accusato di attacchi personali, che nell’enciclopedia è una delle infamie peggiori. Non si deve fare mai. E ovviamente è così, è giusto che sia così. Il guaio, però, è che ultimamente io spiego fatti, motivazioni, intervengo volutamente quando noto cose che secondo me non vanno, e lo faccio nello spirito positivo, credo, di chi trova un problema e propone soluzioni, ma, allo stesso tempo, vorrebbe essere smentito nei suoi ragionamenti, se sono sbagliati. Talvolta noto che coloro ai quali rispondo (non di rado chiedendo scusa, perché questo lo so ancora fare), dando chiarimenti nel merito, motivando in molti modi, non ribadiscono più, non replicano. Ora devo ammettere che spesso si tratta di persone impegnate, che io posso essere una rottura, che probabilmente vorrebbero che contribuissi scrivendo voci o correggendole, ma senza entrare in polemiche o aprendo discussioni. Io questo lo capisco, è chiaro. Solo che non mi spiacerebbe avere una risposta in più, qualche volta.

                                                                                                         Silvano C.©
( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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