domenica 31 maggio 2015

Un ultimo saluto




Molti ferraresi conoscono questo luogo, per decenni la Camera Mortuaria dell’Arcispedale Sant’Anna, prima che tutto il nosocomio migrasse a Cona. 
Oggi è ancora in funzione, nella sua vecchia sede in Fossato di Mortara, anche se ormai l’ospedale, operativo dal 1928 al 2012, praticamente è rimasto solo uno scheletro vuoto.
L’aveva progettata Carlo Savonuzzi, utilizzando una vecchia costruzione rurale preesistente, ed era stata inaugurata nel 1931, in pieno periodo di addizione novecentista (che a quei tempi venne definita, per ovvi motivi, addizione fascista).


Io ho salutato per l’ultima volta, tra quelle mura, tutti i componenti della mia famiglia che mi hanno lasciato, e tantissimi parenti e conoscenti. 
E ricordo le persone in piccoli gruppi, raccolte, in attesa di seguire il corteo che si sarebbe il più delle volte diretto verso la Certosa, oppure in una chiesa cittadina. E i volti, o gli occhiali scuri, o i saluti sussurrati, sul piccolo piazzale anteriore.


Ormai vivo lontano, il futuro non lo conosco, ricordo solo il passato, e quell’edificio fa parte integrante del mio passato, ed anche del mio passato recente, per non dire del presente. 
E quando mi capita di passare vicino a quel luogo provo rispetto, e nostalgia, e rivedo quelli che ho salutato, come se potessi, girandomi, ritrovarli ancora esattamente come quando li sentivo ridere o parlare... la cosa più naturale del mondo.
 










                                                                                                         Silvano C.©   


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venerdì 29 maggio 2015

un castello di carte


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Suvvìa… non esser troppo formale, non applicare troppo rigore nel programmare, nel voler prevedere e prevenire. Non ti dico di lasciar perdere ogni cosa, di permettere agli eventi di spostarti come un foglio di carta straccia al vento, questo certo che no, ma neppure esagerare.

Quando scrivi la scaletta di quello che dovrai fare in un viaggio di piacere, metà del piacere si è già nascosto e non si farà trovare, quando penserai di scoprirlo. E lo stesso vale per l’insegnante che decide, obbligatoriamente, di mettere in forma scritta il suo intervento con gli alunni per l’anno che verrà. Alla prima occasione di aderire ad un’opportunità imprevista il castello di carte (letteralmente carte) subirà qualche crepa, ed alla seconda mostrerà il suo limite.

Prevedere l’imprevedibile è compito da assicuratori, che stabiliscono, statistiche alla mano, il rischio, e poi lo monetizzano. Il fatto che molte persone, pur assicurate, abbiano problemi, dimostra che il gioco conviene agli assicuratori e meno ai loro clienti. Meglio sarebbe una catena di solidarietà sociale diffusa, come in certe situazioni è avvenuto, in passato, e per tempi limitati, e come succede ancora in gruppi ristretti come le famiglie, ma, se ti guardi attorno, vedi subito che la solidarietà, oggi, è merce rara.

Alla fine preoccuparsi del domani è un esercizio al quale non si rinuncia ma del quale dovremmo essere anche consapevoli delle limitazioni. In questi giorni poi, nel bel mezzo di un mutamento epocale che neppure ai tempi della grande crisi del ’29 ci si era presentato, servono idee nuove, un pizzico di pazzia, uno sguardo disincantato alle soluzioni facili offerte da chi ha interessi ad essere seguito, e lasciare sempre più spazio vuoto tra le righe dei piani per il futuro.

Mi hai letto? Mi hai creduto? Sai che in realtà io cerco di essere preparato, per quanto mi riguarda, alle eventualità più diverse? Quando parto cerco di avere con me il costume da bagno ed il cappotto spinato. So che altri partono con niente o quasi. Tu decidi per come ti sembra giusto, e non stare ad ascoltarmi.  Le regole di vita non fanno per me.


                                                                                                         Silvano C.©   


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giovedì 28 maggio 2015

Domanda


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La domanda che mi sono fatto, e che ora faccio pure a te che mi leggi, è questa:E’ giusto valorizzare o rivalutare un’opera artistica, urbanistica o di altro genere distaccandola dalle implicazioni legate alla fede politica o religiosa non condivisibile o ritenuta sbagliata? 

La risposta non è facile, in questi momenti iconoclasti, e sembra quasi impossibile poter applicare in ogni caso o in ogni situazione lo stesso metro di giudizio, anche se mi sembrerebbe l’unica scelta possibile.


Dico: “mi sembrerebbe” perché qualche dubbio mi viene, ed il rischio di cadere nella rivalutazione nostalgica di un passato che bisogna superare esiste sempre, e vorrei evitarlo.

Il bisogno di dare il giusto valore storico a quanto è avvenuto in tempi relativamente recenti nel novecento italiano è impresa complessa, per limitare il campo solo a questo.


Vivendo in Trentino - Alto Adige mi arrivano puntuali le polemiche relative al monumento alla vittoria di Bolzano, voluto da Mussolini, costruito demolendo una precedente memoria dedicata ai Kaiserjäger austriaci caduti in guerra e definito dalla popolazione di lingua tedesca  Faschistentempel, cioè "Tempio fascista”.


Sono note, a livello nazionale, le forti polemiche relative al monumento dedicato al generale fascista Rodolfo Graziani ad Affile, e in questo caso i fatti sono molto più recenti, quindi la scelta di dedicare ora un monumento a questa persona appare, a mio avviso, discutibile.

La questione diventa più difficile tuttavia quando si tratta di giudicare, nel suo complesso, un’intera opera di rivalutazione (o ricostruzione) urbanistica, quale è quella avvenuta a Ferrara nel ventennio e conosciuta come Addizione Novecentista.



Non ho dubbi nel pensare che il periodo fascista sia stato un momento tragico per tutta l’Italia. Basterebbe semplicemente ricordare le violenze e gli omicidi che portarono al potere quel partito, l’annullamento della democrazia, le leggi fascistissime, le leggi razziali e l’entrata in guerra a fianco della Germania per chiudere il giudizio storico politico in modo definitivo.


Ma poi, oggi,  restano il Palazzo delle Poste e il Complesso Boldini, il Museo Nazionale Archeologico di Spina e la nuova Torre della Vittoria, nel Palazzo Municipale, a Ferrara, o l'acquedotto, assieme a tanti altri interventi di edilizia pubblica. Come si dovrebbero giudicare quelle opere che hanno segnato e segnano ancora adesso l’aspetto della città moderna?
                                                                                                         Silvano C.©   

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mercoledì 27 maggio 2015

Mezzi da sbarco sul lago di Garda


Era il 30 aprile 1945, la guerra era finita, ed i soldati USA avevano problemi di collegamento sulla gardesana orientale a causa delle gallerie fatte saltare dall’esercito tedesco in fuga.
Durante un'operazione per il rifornimento delle truppe di stanza a Torbole avvenne la tragedia. Il lago in quella zona è molto profondo, e su 25 militari a bordo del mezzo solo uno si salvò.





Immagini e testo tratti da: Guerra a Nord-Est, Azzurra Publishing 2015



                                                                                                         Silvano C.©   

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martedì 26 maggio 2015

destra, sinistra o populista?


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Non è esattamente la stessa cosa difendere i valori della famiglia e negare, in contemporanea, i diritti delle persone, ritenendo che qualcuno sia malato, depravato, o una mina per la società civile semplicemente perché ama qualcuno del suo stesso sesso. Questa è una differenza tra destra e sinistra, tra reazione e progresso.

In Europa si può pensare maggiormente al bene della propria singola nazione, seguendo il proprio elettorato retrogrado ed egoista, anzi, alimentandolo a suon di slogan populisti, e magari sfruttare i vantaggi dell’unione senza volerne sostenere i costi, oppure si può cercare di continuare sul piano dell’integrazione, salvando i paesi più in difficoltà, fare fronte comune contro la speculazione finanziaria interessata a livello mondiale. Sono due strade diverse, incompatibili, e mentre la prima porterebbe lentamente a situazioni da nuovo conflitto quali i due ultimi mondiali, la seconda creerebbe una potenza in grado, se non di competere, almeno di non soccombere di fronte alle nuove realtà economiche subcontinentali che stanno crescendo, nel mondo.

Si possono accusare tutti i politici di essere casta, venduti ed intrallazzatori, attenti solo al proprio interesse, anche perché gli esempi non mancano, e sempre nuovi ne vengono alla luce. Questo si può fare, certo, ma a condizione di non scordare la responsabilità individuale del singolo cittadino non eletto, che ritiene la propria furbizia una piccola cosa. In altre parole se le strade sono sporche per tutto quanto gettato dai maleducati è colpa del governo? Se un terzo di italiani evade le tasse è colpa dell’assessore? Se io, comunque, sfrutto le conoscenze (quando sono fortunato ad averne) per mio esclusivo vantaggio, di chi è la colpa poi se chi ha meriti e capacità non viene assunto e deve andare all’estero?

I tanti derelitti, chiamati migranti, extracomunitari, abusivi, irregolari, invasori, ladri di lavoro, che cercano aiuto, in grandissima maggioranza (perché ovviamente tra di loro vi sono pure delinquenti) che colpe hanno se il nostro sistema di accoglienza è formato da italiani che li sfrutta e ruba i fondi a loro destinati, e che colpa hanno o che danni fanno in più rispetto ai nostri grandi presidenti ed amministratori di società che rubano milioni di euro per sé stessi ed i propri amici. E non è neppure colpa loro se il nostro sistema giudiziario non è in grado di colpire in modo giusto la delinquenza, offrendo troppe scappatoie e assoluta incertezza della pena.    
Ma forse, penso a volte, quelli che vanno in chiesa e sono vestiti bene sanno trarci in inganno, mentre gli immigrati sono solo sporchi e cattivi.

Non mi va di continuare, oggi… sono solo molto schifato da quello che leggo e sento, in giro, come se la colpa fosse sempre altrove, e mai in casa nostra.


                                                                                                         Silvano C.©   

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lunedì 25 maggio 2015

Artificiale (Sì, va bene, e dopo?)


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Quello che leggi ora non è naturale ma artificiale, cioè è frutto di elaborazione, di manipolazione, di trasferimento e successiva trasmissione di dati in un sistema che sino a qualche decennio fa in pochi avevano immaginato.

Questa realtà virtuale, unita ad altri mutamenti che nel frattempo sono avvenuti, fa pensare che tra non molto noi stessi saremo artificiali, cioè che avremo una intelligenza sintetica in grado di soppiantare in tutti gli aspetti quella umana.

Già circa un anno fa un computer ha superato il test di Turing, ed il momento del sorpasso completo della macchina sull'uomo sembra avvicinarsi.  Nel frattempo le cose vanno sempre più veloci, senza aspettare di superare quella barriera. Semplici programmi automatici ad esempio simulano account di persone reali su Twitter e su Facebook, i cosiddetti Fakebots con scopi non del tutto trasparenti. Molti strumenti, elettrodomestici e mezzi di trasporto prendono già decisioni al nostro posto. E non parlo del semplice termostato che fa partire il riscaldamento in inverno, ovviamente, ma di sistemi che iniziano a guidare da soli un’automobile, per limitarmi ad un caso del quale si parla recentemente.

Poi la mente inizia a vagare, e vedo il mondo che mi circonda, l’umanità quasi impazzita, la paura di alcuni, l’arroganza di altri, la guerra, la fame, le migrazioni epocali e il processo di disgregazione di costruzioni di civiltà che sembravano solidi, ma ora sono rimessi in discussione. E poi il lavoro, che per molti sparisce, o neppure si presenta, perché il potere economico egoista prende il sopravvento sulla politica e concentra ricchezza mentre diffonde miseria. Una proiezione pessimista prevede che in una decina di anni, o al massimo una ventina, quasi il 50% dei lavori potrabbo essere svolti semplicemente da macchine guidate da intelligenza artificiale.
Qualche ottimista invece spiega che occorre vedere tutto questo come opportunità, che se si cade nell’ottica della crisi si sbaglia, perché molti, sfruttando le nuove tecnologie, ci guadagnano. 

Io in questo caso non sono per nulla ottimista. L’applicazione che permette di prenotare l’albergo spendendo meno farà abbassare il livello qualitativo dell’offerta, e il personale che lavorava in quella struttura, per forza di cose, o sarà licenziato o sottopagato. 
L’altra applicazione che fa trovare un’auto con autista a noleggio farà poco a poco sparire i tassisti, creando un’alternativa nelle mani di qualcuno che probabilmente non paga neppure le tasse in Italia. 
La posta elettronica fa chiudere gli uffici postali, e la concorrenza sul mercato di nuovi soggetti che usano personale meno garantito e pagato sta facendo il resto. 
Un Ebook è virtuale, non fa abbattere alberi, ma non fa neppure lavorare decine di migliaia di addetti. Lo stesso è già successo con la fotografia digitale, e le grandi case produttrici di carta e pellicola hanno chiuso ormai da anni. 
Chi invita a casa propria, a pagamento, qualcuno a cena, usando l’apposita piattaforma, non credo faccia lavorare di più i ristoratori tradizionali, che forse, se il fenomeno si diffonde, si ridurranno di numero, per il vantaggio, sempre, di una rete che premia l’inventiva e lo scardinamento di regole e garanzie precedentemente conquistate e codificate.

E poi c’è il car sharing, la condivisione del proprio appartamento, addirittura del materasso da andare a prendere (igiene permettendo) solo se ci capitano ospiti. Io capisco che l’auto individuale sia oggettivamente un lusso, e lo sia sempre di più, come lo sta diventando la casa, eppure, se ho bisogno di andare in emergenza da qualche parte, come mi è capitato di recente, il car sharing non è la soluzione, specialmente se poi i mezzi pubblici non sono assolutamente all’altezza delle esigenze, oppure estremamente costosi.

Io non riesco ancora a vedere tutte queste opportunità offerte dalla tecnologia, insomma, e, anzi, noto la concentrazione ulteriore del potere economico nelle mani di pochi. Ad ogni genio fortunato che ha successo faranno da contrappeso, necessariamente, migliaia di precari sottopagati che continueranno a produrre, per lui, il pane, la verdura, la maglietta, le scarpe, i mobili e la casa, oltre allo stesso tablet col quale manda avanti il suo e-commerce.

                                                                                                         Silvano C.©   


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domenica 24 maggio 2015

La desiderata


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Ippolito era morto per eccesso di gamberoni, si raccontava, concludendo una vita certo nobile ma ben poco santa, malgrado fosse cardinale, e intanto, il quel 1520, era scoppiata la peste, che aveva l’usanza di non guardare con benevolenza alcuno, se non coloro che la fuggivano.

Ben da riflettere è codesta circostanza, che chi più fugge più si salva, e chi non può, muore. Che il coraggio sia inutil cosa? Non so dirlo, e mi fermo.
Con la peste erano giunti a morte l’Ambrogio dei Maniscalchi e la moglie, l’adorata Isolina, lasciando sola l’unica figlia, che miracolosamente ne era stata scampata senza danni, ma pure senza mezzi, da quella tragedia, oltre che provata da tanto dolore.

Prima della pestilenza ogni giovine l’aveva ammirata e desiderata, la bella Francisca, ma lei non sembrava interessata a nessuno di loro. Troppo attenta a non dare voci alle male lingue, è il pensiero mio, se ti può interessare.
Durante la diffusione del morbo il terror di malattia aveva tenuto quasi tutti distanti, in particolar specie quando si erano ammalati e periti i suoi genitori. Solo uno, tra questi ammiratori, apparentemente il più timoroso di quelli che l’avevano desiderata, in quella circostanza si era avvicinato a darle aiuto.
L’aveva infatti ospitata in una sua piccola casa oltre l’abitato, fuori dal centro urbano, dove viveva con la sua famiglia, essendo da sempre, lui ed i suoi, contadini al servizio degli Estensi, fornitori delle cucine del castello di San Michele di verdure, frutti, uova e pollame.
Il suo nome era Paolo, e come il santo del quale portava il nome, pure lui aveva subito così un mutamento nella sua vita, venendo prima accecato dalla bellezza di lei, e poi da quella salvato, salvandola a sua volta.

Raccontano le cronache che finita la pestilenza i due giovani si erano recati assieme dal parroco della chiesa di Santa Maria in Vado e che lui aveva chiesto di averla in sposa, giurando di averla rispettata per tutto il tempo che lei era stata ospite in casa dei suoi, e che ora desiderava farla sua davanti a Dio spinto solo dall’amore, che lei ricambiava.

Uniti in matrimonio i due scelsero di abitare nella casa di lei, in quella via che oggi, a Ferrara, chiamano dell’Assiderato.
Il nome pare derivare dal ritrovamento di un morto assiderato per il freddo steso sui sassi di fiume che costituivano la tipica copertura della strada, per altri invece questo deriva da una storpiatura dialettale di sidrata, perché in quel quartiere c’erano coltivazioni di agrumi, tra i quali cedri. 
A me però piace pensare che l’Assiderato, o la sidrata, in realtà volesser significare solo la desiderata. Poi si sa come la lingua e i dialetti storpiano e modifican le parole. Io non so la verità, però, io racconto solo storie.

                                                                                                         Silvano C.©   


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Tentativi


Aveva un bel da fare in quegli ultimi giorni, in quegli ultimi mesi, in quegli ultimi anni.

Si guardò nello specchio di sfuggita, s’intravide e andò oltre, verso la cucina, abbracciando un catino pieno zeppo di panni da stendere. Poi si fermò, tentennò, fece un passo deciso e di nuovo si fermò, lasciando il passo sospeso nella pantofola foderata di morbido peluche, troppo leziosa per l’aria dimessa che si portava addosso.

Respirò e si chinò, lasciando poi il catino sul marmo dozzinale, infine si rimise dritta e tornò allo specchio. Guardandosi riflessa lì dentro, si scostò i capelli dal viso e così rimase, un po’ attonita.

Poi prese a guardarsi da ogni prospettiva cercando di cambiare prospettiva e luce. Accese e spense le lampade mettendosi davanti allo specchio in ogni posizione, ma niente.

Le riusciva veramente difficile riconoscersi.
Non capiva dove fosse finita quella di un tempo, la ragazza con velleità di pittrice che aveva perso la testa per un ragazzo che cantava nella rock band della parrocchia. 
(continua a leggere, sul blog Bibolotty Moments)

sabato 23 maggio 2015

ricordo e libertà


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Una porta di fortificazione veneziana ora sembra solo storia, richiama immagini epiche e romantiche, ma nasconde, dietro, anche se invisibile, il grande dolore. Eppure ammiriamo quella fortificazione, anche secoli dopo la sua erezione da parte di una potenza che è ormai finita, e la manteniamo con cura proprio noi, che discendiamo dai dominati da quella potenza.

Capiamo che senza la nostra storia ed il nostro passato diventiamo più poveri, ed indaghiamo, tornando indietro nel tempo, immaginando forse di rivivere ad antichi fasti (inesistenti se non per i fortunati), e tentiamo di preservare, proteggere, conservare, restaurare e tramandare.

A volte mi chiedo se tutto questo sia veramente corretto, e se non sarebbe meglio agire come alcuni fanatici che distruggono tutto quanto di preesistente la loro cultura.
Sicuramente come loro no, è evidente, non ci si dovrebbe neppure porre la domanda, forse. Eppure, una parte di ragione la trovo.

La mia motivazione tuttavia è esattamente all’opposto della loro.
Io vorrei poter eliminare tutto quanto crea un legame zavorrato con una modalità di pensiero conservativo e reazionario, liberandoci finalmente da convinzioni antiche e pericolose che ripropongono sempre modelli inalterati, legami con radici egoiste, proiezione non nel nuovo ed inesplorato ma nel già visto, nel già sperimentato.

Assurdo, ovviamente. Senza un passato conosciuto si è destinati a ripercorrerne gli errori. Ed allora?
Come volare finalmente liberi ma allo stesso tempo conservare quella fortificazione che, inevitabilmente, crea anche il diverso, il lontano, colui che non ha quella tradizione?


                                                                                                         Silvano C.©   


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venerdì 22 maggio 2015

Notturno erotico


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Questo blog sul quale scrivo da qualche tempo, raccogliendo pensieri, ricerche, racconti ed idee, come chi legge ormai credo sappia, mi offre uno strumento di osservazione privilegiato su alcuni aspetti della rete.
Ad esempio riesco a vedere in tempo reale quanti aprono un mio post, e quale. Quindi posso verificare la visibilità che mi offrono i due social sui quali sono presente, Twitter e Facebook. Poiché poi  mi diletto pure su Wikipedia, con queste 4 piattaforme, blog incluso, io ho raggiunto il massimo livello di saturazione da rete. Oltre non sono in grado di reggere, e non mi va di restare sempre on line. Anzi, credo di restarci già troppo, in certi momenti, rubando spazio alla lettura, alla scrittura o ad altre occupazioni come uscire, vedere gente, costruire materialmente cose, riparare e, perché no, perdere pure tempo…

E poi viene la notte e mi ritrovo a volte, come ora, a curiosare sulle statistiche del blog cliccando sulla casellina “adesso”, e scopro che quel post particolare che non pubblicizzo mai su nessun social, puntualmente, viene aperto, perché ha un nome intrigante, che fa pensare a trasgressione e a sesso, e di notte la fantasia si sente più libera.

Forse sono in maggioranza gli uomini che lo aprono? Non lo so, ma credo che pure le donne ci mettano del loro. Prima di tutto spero che nessuno rimanga deluso, leggendo, e confesso che a volte avrei pure la tentazione di scrivere cose erotiche, toccando anche questo tema assieme agli altri che mi capita di sfiorare. Ho pure tentato di scrivere cose di questo genere, ma alla fine mi sono scoperto ripetitivo e monotematico. In una parola, noioso.

Invidio chi sa spaziare e descrivere non solo piccole manie o depravazioni personali, situazioni monotone e ripetitive, ma riesce ad affrontare un intero mondo parallelo, che ci corre accanto, sempre vicino anche quando non ci pensiamo, e lo sa mescolare con la vera vita, con quello che siamo, con realtà ed un po’ di crudeltà, con coraggio, ma conservando il legame con le persone attorno. 

Anche in questo campo, del resto, serve genialità. Come non tutti possono e sanno scrivere capolavori o anche solo cose interessanti sull’amicizia, sull’amore, sul dolore o sulla guerra, così è per l’erotismo. È notte, sembra naturale cercarlo, forse, ma non è facile trovarlo.


                                                                                                         Silvano C.©   


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martedì 19 maggio 2015

umiltà



a nessuno fa piacere sentirsi dalla parte dei mentecatti che fanno la fila ai reality show.
nessuno vuole sentirsi diminuito se guarda troppe serie TV.
(continua a leggere)

Anelli, reti e bolle di sapone


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Se una sera di mezza primavera, un po’ verso l’estate, ti capita di pensare ad un nuovo inizio, di immedesimarti in una vita non tua, forse perché la tua non la ritieni ugualmente piena, che dovresti fare?
Praticamente nulla, perché è semplicemente un pensiero irrealizzabile.
Al massimo puoi decidere di mutare alcune cose, magari in modo radicale, se ne hai il coraggio, la giusta motivazione e la soluzione rientra nelle opportunità percorribili, senza scordare gli impegni che hai preso e devi mantenere, cioè le tue responsabilità. Ma non potrai mai vivere la vita di un’altra persona, partendo dal suo inizio, soffrendo per i suoi dolori e gioendo per i suoi successi, esaltandoti per quello che ti sembra grande, e che chissà se grande lo è veramente.
Le fantasie resteranno fantasie. O forse molto altro resta da fare, con i tuoi limiti, che sono pure i miei.

E se invece di viverla, quella vita, si trattasse invece di indagarla, di valorizzarla, di renderla nota, per quanto è giusto lo sia, non sarebbe ugualmente una cosa da fare?

A volte leggo un libro che mi appassiona, credo di essere quello che ha avuto quella donna inarrivabile, che ha compiuto quel viaggio memorabile, o che si è abbassato tanto nello squallore avendo il coraggio di ammetterlo e confessarlo, in una sorta di cammino verso la dannazione o la redenzione. Pure a te sarà capitato, immagino, di trovare un personaggio sulle pagine, tra le pagine, oltre le pagine, e di sentirti vicino alle sue emozioni, ai suoi pensieri, che erano/sono anche i tuoi. 

Viverla però, quella vita, non so se lo hai desiderato veramente, come scrivevo all’inizio. Ogni vita è unica, pur essendo però simile a tantissime altre, quindi ogni vita è libera di essere, senza che tu la condizioni ad una ripetizione a tuo beneficio. Una vita conclusa, poi, è perfetta. Finita. Fissata per sempre. E come tale va rispettata, raccontata se lo ritieni giusto, o lasciata andare, perché ormai il suo tempo è passato.

A volte io immagino anelli, uno dopo l’altro, legati tra loro, in modo logico, ma poi mi rendo conto che è una rappresentazione troppo limitata.
Un modello più adatto potrebbe essere quello di una rete, dove ogni anello non ha solo un prima ed un dopo, ma molti legami complessi, con gli altri anelli vicini. E neppure questo è sufficiente.
Quella vita-anello dovrebbe essere vista a tre dimensioni, non come il semplice nodo di una rete, ma come una bolla di sapone in una grande massa di schiuma, sempre rigenerata dal basso e in continuo movimento, perché non solo lo spazio, ma il tempo, anche, diventa un fattore importante.
Allora se tu, io, e quella persona che magari ammiriamo entrambi, ci siamo per un attimo sfiorati, credo che questo dovrebbe bastarci.
Magari non direttamente - è possibile infatti che le nostre bolle non siano mai venute in contatto diretto - ma attraverso altre bolle ancora, fragili come le nostre… Ecco, questo volevo dire.

                                                                                                         Silvano C.©   


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lunedì 18 maggio 2015

Il mare


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Il mare rimane un punto di riferimento anche per chi non è nato sulla sua riva ma neppure troppo lontano, perché molti dei suoi ricordi saranno poi legati per sempre a quell’odore unico, alle persone, alle sensazioni.
Uno dei luoghi ormai troppo mutati nel corso degli anni ma ai quali sono legato è Porto Garibaldi, quando era uno dei lidi ferraresi, non ancora di Comacchio. Erano i tempi nei quali esistevano solo Porto Garibaldi ed il Lido degli Estensi, mentre tutte le altre località non avevano ancora avuto lo sviluppo che poi ci sarebbe stato, con la scomparsa di molte grandi dune costiere e la trasformazione dell’intera riviera ferrarese a sud della foce del Po doveva ancora iniziare.
Una delle foto emblematiche del luogo è il porto canale, con i suoi due bracci che si allungano verso il mare, e dove, su quello di Porto Garibaldi, si trovano i “bilancioni”, capanni su palafitte con grosse reti da calare ogni tanto e pescare, con un po’ di fortuna, qualche preda.
I ricordi si confondono, a questo punto, e ora mi va soltanto di farli vagare, per un po’, guardando quest’immagine.



                                                                                                         Silvano C.©   


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giovedì 14 maggio 2015

Lo sparacazzate



Lo conosci benissimo, lo so. Anche a te è capitato di incontrarlo, in rete. Frequenta i social, dove trova i suoi simili, si accoppia e riproduce la specie, in una sorta di evoluzione darwiniana a rovescio.
E poi frequenta le pagine che accettano i commenti di chiunque; più sono meglio è, perché la visibilità paga in termini di piccoli (o grossi) guadagni pubblicitari.
Lo sparacazzate, tanti anni fa, se si azzardava in piazza o in un locale pubblico a dire certe idiozie veniva individuato, riconosciuto, etichettato, e invitato poi a dire la sua opinione per intrattenere gli altri. Era lo scemo del paese, ovviamente a sua insaputa, e pensava pure di avere successo.

Ora si sente autorizzato ad esprimersi sulle vaccinazioni, sull’Euro, sull’urbanistica degli anni trenta, sugli immigrati e, ovviamente sulla scuola, sulle religioni, sulla violenza e sul degrado, sulla disoccupazione e sui successi di chi si impegna a lungo per raggiungere certi risultati. Ama le battute volgari e le offese, a volte si muove in branchi, e per lui il cervello è un optional, perché semplificare è sicuramente più facile e tiene meno occupati i neuroni.

Poi arrivano sociologi, guru e grandi scrittori e pensatori, e sparano a zero sulla rete, su Twitter, ad esempio, dove personaggi discutibili hanno migliaia di seguaci.
Eppure basterebbe usarla meglio, la rete, ignorando lo sparacazzate che si nasconde dietro l’angolo, scegliere chi leggere e chi no, esattamente come, per strada e nella vita, non si è amici di tutti, oppure, quando si decide di leggere un libro cartaceo o un ebook, si sceglie quale leggere, e non ci si riempie la testa di ovvietà scritte da chi non sa scrivere.

                                                                                                         Silvano C.©   


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martedì 12 maggio 2015

Le duchesse ed il mio orologio


Tra i luoghi che mutano, naturalmente, a volte capita che qualche cosa sino a quel momento nascosta ritorni nuovamente visibile, e, anche, che ciò che prima c’era, scompaia. Quando è successo esattamente quello che ora racconto non lo so, ma è successo.


Negli anni settanta, a Ferrara, nella piazza del Castello, quella che si trova sull’altro lato della via Coperta rispetto a piazzetta Savonarola, c’era un negozio. Sull’insegna era scritto Salmi, e all’interno, tanti orologi e lui, che li vendeva e li aggiustava. 

Sino a quando ho vissuto a Ferrara era lì che andavo per le riparazioni, se servivano. Ed anche per comprare l’orologio che uso ancora adesso. Un bell’orologio automatico, subacqueo, che mi ha servito e mi serve ancora oggi con onore, anche se mi hanno consigliato di non immergerlo più in acqua perché gli anni pure lui li sente.
Poi quel negozio ha chiuso, ed un po’ me lo sono scordato. 

Da qualche tempo in compenso, sempre a Ferrara, è ritornato utilizzabile ed aperto a tutti, in vari periodi, il giardino delle duchesse, che risale ai tempi degli Estensi, ma che io in gioventù non avevo mai visto.
Ed il negozio, ad un certo punto, non l’ho più trovato, neppure fisicamente. Magari era passato ad altra gestione o attività? No, sparito. Al suo posto nulla. 

Poi ho capito che il negozio era stato utilizzato per creare un passaggio che, dalla piazza Castello (quella dove è stata portata la copia di una delle artiglierie di Ercole II d’Este,  figlio di Alfonso I d’Este e Lucrezia Borgia, e marito di Renata di Francia), porta al giardino. Il negozio si è trasformato in un tunnel, è sparito. In compenso ora possiamo godere tutti di quello spazio prima segreto, ed al quale si può accedere anche da via Garibaldi.




Tic tac
Tic tac
Segna il tempo
Non dimenticare
Sempre qui mi puoi trovare
Se ti sembra io sia scomparso
Nei ricordi vammi a cercare
Io son lì, non lo scordare
Tic tac
                                                     Tic tac



                                                                                                         Silvano C.©   


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domenica 10 maggio 2015

Italo Balbo e Renzo Ravenna


Amici sin dall’infanzia, entrambi ferraresi, interventisti e impegnati durante la grande guerra con incarichi diversi, poi entrambi congedati col grado di capitano. In seguito affascinati dal fascismo, anche se il primo cattolico ed il secondo ebreo.  Balbo era violento, arrivista, politicamente spregiudicato, coraggioso, capace di organizzarsi, di arrivare al potere e poi di operare una metamorfosi sulla sua stessa immagine. Renzo invece sempre amante dell’ordine e della legalità, spinto dall’amore per la sua città, attento ai valori della famiglia e dell’amicizia, ma nel senso più alto del termine.
R.Ravenna, V.Emanuele III e I.Balbo-Ferrara, 1933
I due erano diversi, in tante cose. Sicuramente Italo aveva il carattere più forte, dominante, capace di riconoscere le persone sulle quali fare affidamento, e Renzo, invece, pronto ad impegnarsi con entusiasmo, a vedere nell’amico un uomo nel quale credere, a seguirlo nelle sue scelte politiche, ma non nelle sue violenze, che sembrava non capire, o non vedere.
Eppure due persone legate in modo indissolubile sino alla morte di Italo, avvenuta nel 1940, e anche dopo, sino alla morte di Renzo, nel 1961.
I primi anni 20, per Italo Balbo, erano stati quelli dell’affermazione del fascismo squadrista, a Ferrara e in varie altre zone del nord (Don Minzoni fu ucciso forse su suo ordine, anche se la cosa non fu mai dimostrata in tribunale, neppure a guerra finita).
Li univa però il legame fortissimo con Ferrara, e di quella città di provincia, della quale uno fu il gerarca assoluto e l’altro il podestà, per circa 12 anni, entrambi tentarono di farne una capitale culturale dell’Italia del ventennio. Le motivazioni che li spinsero furono probabilmente diverse, ed entrambi ne ebbero infatti frutti ben diversi.
Balbo ne ottenne il potere e la consacrazione, e venne considerato il solo uomo in grado di oscurare la figura del Duce. Ravenna dedicò invece la vita alla sua città, la governò in modo onesto ed attento, senza alcun guadagno personale, con le uniche colpe di essere fascista (cosa certamente imperdonabile, storicamente, perché incapace di prevedere i danni che questa ideologia avrebbe prodotto, non ultime le leggi razziali e l’entrata in guerra) ed ebreo.
A quel tempo furono tanti, a dire il vero, ad essere fascisti ed ebrei in città, ma solo lui raggiunse un tale potere a Ferrara. Bassani non lo perdonò mai di questo, e lo criticò ampiamente.
Ora però, dopo tanto tempo, anche se quella storia non è ancora stata elaborata come sarebbe necessario, Balbo appare come l’eroe coraggioso (senza dimenticare le sue colpe già ricordate) caduto da aviatore, al quale sono stati concessi onori e riconoscimenti, mentre Ravenna è lo sconfitto, l’uomo tradito da quasi tutti, anche dallo stesso fascismo nel quale aveva creduto ed al quale aveva dato le sue energie migliori, la vittima delle leggi razziali. Anche Ferrara lo ha tradito, non riconoscendogli, in vita, quanto di positivo aveva fatto per essa.
In quella immane tragedia che fu il fascismo, tuttavia, senza scordare le responsabilità oggettive e morali innegabili di Italo e Renzo, mi piace pensare all’amicizia vera che li legò. Italo difese l’amico in ogni modo possibile, e non mancò mai di mostrarsi vicino a lui, anche quando dovette abbandonare la carica di podestà. 
Si fidavano, erano disposti a rischiare, l'uno per l’altro, ognuno a modo suo. La storia è fatta di cose più gravi, più importanti, ma alcuni, anche mentre la storia travolge tutto, non scordano l’amicizia.

                                                                                                         Silvano C.©   


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sabato 9 maggio 2015

Lettera a un amico (lo stesso)

Non sai quanto profuma questo Maggio, amico mio.
Le rose mi si offrono dai cancelli delle ville, si affacciano ai muri di cinta mostrandosi senza cautela, impavide, pallide o vermiglie, a stelo lungo o rampicante, i petali gualciti, spettinate come zingarelle o perfettamente aperte, ormai mature, pronte a sfiorire seppure ancora così odorose, come me orami rassegnate a mostrare di sé un bocciolo nudo e ormai privo di attrattiva.
Ma io continuo a essere qui per te. Ad amarti di un amore che non ha bisogno di contropartite, rassegnata al tuo silenzio, in contemplazione di qualcosa che non capisco. Sono ostinata, lo so.
(continua a leggere)

giovedì 7 maggio 2015

Per sempre


Per sempre saremo amici, ti amerò, mi penserai, sarà questa casa, durerà questo lavoro, rimarrà quell’opera d’arte sublime, per sempre.
Per sempre vivrà l’illusione di ritrovare in una foto ingiallita quella che eri tu, la mia felicità di allora, non capìta, quell’unione fissata nel tempo e nello spazio, quell’angolo scomparso nella città, dove ora ci sono palazzi, forse degrado, certo una vita allora inaspettata.
Con la stagione nuova sembra di tornare a un anno prima, ma poi in dispensa scopri il banale, una data su una confezione, e la data indica che quel pacchetto ora contiene alimenti  scaduti, e non è ieri, è già domani. Ieri non era il sempre, non lo è oggi, domani non so.
In questi giorni tento di ricordare una persona, di farla ricordare, usando i miei poveri mezzi, che però tanto poveri non sono se li affido ad un mezzo abbastanza potente di diffusione della conoscenza. Anche quello però, come tutti i mezzi, è legato al tempo, al mutare delle mode e delle modalità di trasmissione del ricordo e del sapere. Io confido che il contenuto saprà superare anche le modifiche che il mezzo necessariamente subirà, perché questo è già avvenuto molte volte, nel corso della nostra storia. Ecco la misura del  mio sempre, alla fine. Aver contribuito a costruire il formicaio portando il mio minuscolo rametto. Se poi quel formicaio domani sarà distrutto o se invece durerà per generazioni, io non posso saperlo.

                                                                                                         Silvano C.©   


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