martedì 30 settembre 2014

Passaggio ed interpretazione di “notizie” in rete (autocertificazione di morte).


Tra i primi a riportare la notizia in modo certo è il giornalista Ciro Pellegrino sulla sua pagina fan di Facebook, QUI, il 13 settembre 2012,
ma fa riferimento ad un altro utente, esattamente a Fabio Palombo ( Qui trovi il suo account Facebook ) del quale il giornalista scrive correttamente di aver condiviso una foto, che probabilmente è la sorgente primaria, salvo ulteriori notizie.

Pure Varese news riporta la cosa il 13 settembre 2012, QUI
E nello stesso giorno pure citynews-today riporta la chicca, QUI
Il 2 ottobre 2012 è la volta della Gilda dei matti, QUI.

Il 29 giugno 2013 a rinfrescare la cosa è DAW, esattamente QUI
e la notizia arriva a Spinoza, QUI 

Ed è nello stesso giorno (chi sia arrivato prima o dopo io non so) che pure Repubblica.it di Milano fa riferimento esplicito QUI alla ormai non più fresca notizia

Il 30 giugno poi la cosa è riproposta da il Saronno. QUI

Il primo luglio 2013 si racconta la cosa come di un fatto recente, su Mondo.it   con un po’ di colore, ma senza citare fonti chiare, QUI.

Sempre il primo luglio 2013 anche HOT-NEWS riprende la fonte e rilancia, QUI

Il giorno 11 settembre 2014 ritorna la notizia, o meglio, la solita immagine, senza molte spiegazioni, definita semplicemente da Flavia Trupia un ossimoro idiota, QUI
Io scopro casualmente parte di queste immagini che girano (in realtà sono sempre la stessa perché altre fonti non ne ho trovate) e ci scrivo un post, QUESTO esattamente il 12 settembre. Il mio post lo intitolo: E’ facile offendere in rete.


Arriva poi un altro giornalista famoso, che ci scrive un pezzo colorato e con un po’ di ironica fantasia, esattamente il 13 settembre. Parlo di Filippo Facci, e il suo trafiletto lo trovi QUI.

La cosa poi continua, ad esempio QUI, ma credo continuerà ancora perché in rete, occorre fissarlo nella mente, tutto resta per sempre. L’immagine di un modulo di Saronno ripresa da tanti che non sempre fanno una ricerca seria o raccontano come sono arrivati alle loro fonti è solo un esempio di come una tua foto o una cosa che hai scritto passi di mano in mano con la massima facilità e venga reinterpretata a piacere da chi la pubblica a sua volta, anche ad anni di distanza, a volte spacciandola come una novità, altre volte travisandone il senso o inventandone particolari inediti.


(Per poter aprire correttamente i link in certi casi credo sia necessario un account su Facebook)

Aggiornamento doveroso aggiunto un paio di ore dopo aver messo il post. 
Fabio Palombo, del quale ora sono diventato amico su Facebook, aveva messo l'mmagine già il 26 gennaio 2012, QUI, quindi ancora prima del 13 settembre 2012, e ad oggi ha avuto 4267 condivisioni. Un vero record.

 
                                                                                     Silvano C.©

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lunedì 29 settembre 2014

Madamina, il catalogo è questo


Ho pensato ad una mia lista, sicuramente incompleta, che tenti di sintetizzare alcuni momenti della mia vita, dei miei interessi e delle mie letture. So che ha un valore più che altro sentimentale per il sottoscritto, ma poiché non sono pagato per farla (e non ci guadagno nulla col blog, che non ha pubblicità, come avrai notato) e un po’ mi ci sono divertito a scriverla, narcisisticamente, pure tu non sei tenuto a leggerla.

Premetto che sono partito come tanti dai libri scolastici e dai fumetti, poi sono arrivato ai romanzi di fantascienza ed alla letteratura erotica che passava il “convento”, ed ho pure letto, tanto tempo, fa Erich Maria Remarque e Sven Hassel, che hanno dato la stura a tutto quello che ne è seguito.

Ricordo poi di un libro tascabile sulla vita delle formiche che leggevo (fingevo di leggere) in spiaggia mentre in realtà non perdevo d’occhio le ragazze che mi passavano a tiro visivo. Stranamente ricordo quel libro ma nessuna di quelle ragazze, solo che le guardavo. Ma inizio con la lista seria:

·        Lettera ad una professoressa, di Don Milani. Non solo quello, ovviamente, ma anche “l’obbedienza non è più una virtù”. Mi aprì un mondo. Mi ci vidi in parte coinvolto, ed ancora non sapevo quanto.

·        Dalla parte delle bambine, di Elena Gianini Belotti. Testo fondamentale, di un’ovvietà tale nelle sue conclusioni da farmi dubitare sull’intelligenza di tanta gente che questi temi li negava e li nega ancora oggi. Il femminista stava scavando dentro di me. Di quel periodo ricordo pure “Primavera silenziosa” di Rachel Carson, che avrebbe influenzato alcune scelte future, ad esempio quella di studiare biologia e di seguire un corso complementare di ecologia, quando in Italia ancora la disciplina era semisconosciuta.


·        Le città invisibili, di Italo Calvino. E quasi tutti i suoi romanzi. Autore unico, inimitabile, immaginifico, che associo ad un regista italiano geniale, Nanni Loy. Su questa associazione ti lascio fare i collegamenti che ti pare.

·        Io, Robot, di Isaac Asimov. È un titolo esemplificativo della mia era fantascientifica, piena di paccottiglia ma anche di autori importanti, saccheggiati in seguito dalla cinematografia. Asimov è stato un precursore. Io con lui ricordo un grande attore recentemente scomparso: Robin Williams, ed invito a rivedere, alla prima occasione, “L'uomo bicentenario”, dove è un personaggio non umano ma più umano di tanti altri, comico e triste, e generoso, come solo Robin sapeva essere.

·        Il delta di venere, di Anaïs Nin. Ecco la mia parte oscura, le mie curiosità e l’attrazione per sesso ed erotismo. La pornografia, che ho conosciuto, mi annoia, mentre la fantasia, la realtà raccontata in modo elegante e a volte ironica, scavando dentro le spinte profonde ed un po’ deviate mi affascinano. Un autore mi ha colpito, assieme alla scrittrice citata, ed è Pierre Louÿs. Per chi non lo conosce dico che vale la pena cercare i suoi libri, e leggerli.

·        Enigmi e giochi matematici (5 volumi) di Martin Gardner. Un grande della curiosità e dei giochi, inimitabile ma imitatissimo da emuli sparsi in tutto il mondo. I suoi pentamini li ho costruiti in legno, per giocarci. E lui mi ha confermato che la geometria del mondo è poesia, è bellezza, è leggerezza.

·        La storia della vita sulla Terra, di David Attenborough. Credo che il libro sia esaurito da anni (io ne ho due copie che non cederò a nessuno), riassume quanto il grandissimo naturalista inglese ha fatto in una seria unica di documentari che per anni ho usato come se fossero libri di testo per tentare di costruire un catalogo della vita sulla Terra, dare un ordine logico a quanto la natura ci propone senza darci spiegazioni.

·        Il romanzo di Ferrara, di Giorgio Bassani. Letto tardi, colpa mia, ma un testo fondamentale per conoscere anche la mia Ferrara più di quanto ne sapessi.


·        Lucrezia Borgia, di Maria Bellonci. La duchessa di Ferrara più famosa descritta in un romanzo che è pure storia. Un testo che altri hanno tentato di imitare, tirando per le vesti la duchessa, anche recentemente, ma la Bellonci rimane la prima e la sola. Dopo, solo dopo, anche gli altri, e non importa se hanno vinto il Nobel. 


·        Don Chischiotte, di M. de Cervantes. Pareva un monte da scalare, prima. Ed è lungo, mi è sembrato interminabile mentre invece mi teneva compagnia. Eppure ogni vetta che si conquista dopo ti ripaga col doppio, il triplo, o molto di più di quanto hai speso. Solo questo. Niente di più e niente di meno di questo.


                                                                                     Silvano C.©

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domenica 28 settembre 2014

Lasciamole andare


Mi è capitato in alcuni casi (ed altri è possibile che li ignori, per vari motivi, non ultimo il fatto di essersi persi di vista o di non seguirsi più) che un mio contatto su un social da un certo momento in poi non abbia più avuto la persona che gestiva l’account perché quella persona fisicamente non c’era più.
Non avevo rapporti stretti con queste persone, neppure virtuali, ma la cosa mi ha colpito, e non poco.

Non mi spaventa parlare della morte, se non in certi termini, e so che molto di quello che viene immesso in rete poi è destinato a rimanerci, in modo indefinito, anche se riguarda chi non è più tra noi. Un po’ come succede con le vecchie fotografie. Non è difficile che in un gruppo di persone riprese in un’immagine di 15 o 20 anni fa qualcuno ora non sia più in vita.
Io non so guardare immagini dei miei cari defunti se non con uno spirito particolare, e lo stesso vale per altre persone che ho conosciuto. Non parliamo poi delle eventuali riprese video, che mi risultano abbastanza insopportabili.

Chi lascia un’opera letteraria in senso lato, cioè testi o pensieri volutamente scritti per essere letti da tutti, anche se mai pubblicati in formato cartaceo ma visibili solo in rete, forse merita che quanto ha scritto possa ancora venir letto, e non modificato o cancellato. Il forse è obbligatorio, perché non sarebbe male avere l’opinione dell’interessato, e questa non è detto sia possibile averla o averla avuta.

Ma i profili personali, che fine fanno? Quelle pagine virtuali ma reali, piene di vita e di commenti, di cose serie e stupide, di parole vere ed a volte sbagliate, che raccontano di debolezze o paure, o piccole manie, o immagini scaricate e commentate, o idee, tra le più diverse, espresse come se ci fosse un domani che non c’è più. Ecco, tutto questo, che fine farà? Qualche social ha già previsto come devono comportarsi i parenti e gli amici, cioè come devono comunicare cosa si desidera venga fatto.

Io sono perplesso, non ho idee chiare. So di tante soluzioni possibili, ma vorrei che chi se ne è andato venisse lasciato libero di andarsene, dopo i pochi giorni necessari a capire ed interiorizzare il dolore, e mi piacerebbe che questi account venissero chiusi, forse con un messaggio finale per chi cerca di accedervi, con parole difficili da trovare, ma che devono essere trovate.

Il ricordo di una persona non può essere il morboso andare a scavare nel suo passato, quando magari era felice e non immaginava tragedie, oppure quando ancora si illudeva di riuscire a farcela. Le persone restano vive dentro di noi, sino a quando noi vivremo, o sino a quando vivranno coloro che le hanno conosciute.
Per il resto lasciamole andare.

                                                                                     Silvano C.©

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sabato 27 settembre 2014

Gabicce è un “luogo comune”


Gabicce è un “luogo comune”, nel senso improprio che attribuisco alla locuzione di: “luogo dove tutti possono andare”, ed infatti lui c’è andato e molti altri ci sono andati, ci vanno e ci andranno. Gabicce poi con le locuzioni “ci va a nozze”, perché notoriamente è una località “mare e monti”, ideale quindi per assaggiare uno di quei tragici accostamenti culinari come il mai troppo criticato piatto “pasta e fagioli con le cozze”. Che chi lo ha anche solo pensato ne riceva un foruncolo dove dico io come equo compenso.
Pasta è fagioli è un piatto da re. Le cozze sono fantastiche cucinate in mille modi. Ma non uniamo ciò che la natura ed il buon senso hanno separato, è inumano.
Ma io mi perdo, come a volte mi riesce tanto bene, e vado in un posto dove prima non pensavo di arrivare. Apro una parentesi - mica mi ci trovo male in questi posti dove arrivo per caso - chiudo la parentesi.
Un altro luogo comune, che avrà a che fare con Gabicce, se avrai pazienza, è quello che vuole “l’uomo cacciatore”. Cacciatore di donne, ovviamente, nell’accezione più usata oggi, perché l’uomo come cacciatore di prede non umane oggi è molto malvisto dagli animalisti, e pure dal sottoscritto, a dire la verità, ma mi perdo ancora. Scusami.
Che l’uomo cioè sia cacciatore, a Gabicce, io cercherò di dimostrare che non sempre è vero.
Molti anni, fa, decisamente nel secolo scorso, lui partì con una coppia di amici con meta Gabicce, dove stava in vacanza una quarta amica, e questo è il quadro.
O meglio, è la cornice, perché il quadro è quello che avviene, ed i suoi particolari te li riassumo, per non abusare troppo della tua pazienza.
Lui partì con Davide e Lucia, intenzionati a fare una sorpresa a Giovanna, che stava in quel luogo comune di mari e monti con la famiglia.
La sorpresa sortì l’effetto desiderato, ed i quattro amici trascorsero assieme un paio di giorni piacevoli, senza problemi né coinvolgimenti sentimentali evidenti, o almeno lui non li colse (in queste cose tuttavia occorre considerare la sua inattendibilità per una conclamata miopia per le tresche nascoste).
Come cameo ci fu l’involontaria esibizione dell’amico uscendo dalla doccia dell’albergo dove pernottarono nei confronti di una signora che per caso passava nel corridoio. Lui indossava l’accappatoio, ma ebbe l’incidente occorso recentemente alla nostra brava Laura Pausini. Nulla di ché. Le cronache locali non diedero notizie dell’avvistamento, che quindi rimase circoscritto a pochi testimoni diretti o verbali.
Dopo i saluti e gli abbracci i tre amici presero la via del ritorno mentre la sera pian piano iniziò a scendere. Forse si erano attardati troppo. Gabicce era bella, il mare sempre una favola, ed i monti una bellezza da ammirare, difficile lasciare tutto questo.
Il traffico fece poi la sua parte per rallentare ulteriormente il viaggio, e così, verso le nove, quando si resero conto che sarebbero arrivati a casa molto tardi, decisero, malgrado le loro finanze non proprio floride, di tentare una sortita in un locale dall’apparenza non troppo elegante ma che offriva piatti a base di pesce.
Lui, Davide e Lucia prima si guardarono per bene il locale dall’esterno, entrarono, sedettero, consultarono il menù, si resero conto che potevano permettersi un pasto accettabile, e ordinarono. Il pesce si accompagna sempre con vino bianco. Che vino fosse lui non lo ricorda, e neppure esattamente cosa mangiarono. Lui e Davide si gustarono la cena e bevettero in modo accettabile, senza superare il limite dell’allegria.
Lucia, non è chiaro per quale motivo, ed apparentemente senza esagerare neppure lei col vino bianco, fresco e frizzante, decisamente incassò il colpo. Ancora prima di uscire dal locale iniziò a fare battute e a non controllare il tono della voce, poi fu una piccola impresa convincerla a salire in auto perché ridendo in un modo incredibile accusava i due amici di voler approfittare di lei, e poi, durante tutto il viaggio, le allusioni sui maschi sempre pronti a saltare addosso ad una povera ragazza si sprecarono.
Lui, a dire il vero, per un attimo ci fece pure un pensiero, e si vide proiettato in quella situazione come se si vedesse agire in una sorta di film, o di sogno. Uno sguardo interrogativo e molto perplesso scambiato con l’amico lo riportò molto velocemente a terra ed alla realtà. Bisognava portarla a casa senza fermarsi più per strada, e ricambiare le sue battute con altre allo stesso livello, per prenderla un po’ in giro e, allo stesso tempo, per cercare di farle superare la sonora sbronza.
Ovviamente non ci riuscirono, e quando dopo l’una di notte arrivarono a casa di lei e la consegnarono alla madre in pensiero (avevano telefonato, dal ristorante, ma i genitori stanno sempre in pensiero quando i figli sono fuori) lei rimase un po’ stupita dalle frasi sconnesse che pronunciava la figlia.
Nei giorni seguenti la madre ringraziò sia lui sia Davide, e Lucia per un po’ di tempo evitò di bere alcol quando le capitava di uscire.
Lui e Lucia si vedono ancora, ogni tanto, e si telefonano, sono rimasti amici. Hanno un po’ perso di vista Davide, e anche Giovanna. La vita gioca questi scherzi, lo fa ogni giorno.
Lui è sempre più convinto di non essere per niente un cacciatore, in entrambe le accezioni, e capisce di non aver mai avuto le doti per esserlo (i luoghi comuni sono per chi li vuole, o per chi ne ha la stoffa).
A Gabicce ci tornerebbe, per farci una gita, forse però non la riconoscerebbe più.


                                                                                     Silvano C.©

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Libertà


Quanti discorsi a volte inutili inneggiano alla libertà nel goffo tentativo di negarla. Forse prima serve ricordare cos’è la libertà, e poi magari aggiustare il tiro, modificare la propria idea iniziale, aggiornarla, renderla attuale e comprensibile per i giorni che viviamo. E limitarsi all’Italia, o all’Europa, perché spingersi oltre è rischioso, ed esportare libertà è l’ultima cosa alla quale penso, visto come viene interpretata tale idea nei fatti.

Ecco una frase banale e brevissima: la libertà è tutto quanto ogni essere umano può fare sino a quando non si scontra con l’eguale diritto altrui.
Come ovvio corollario la libertà è composta da diritti e da doveri, anche se la maggioranza di chi la cita la intende come semplice diritto.

Facile vero? Chi mai sarebbe tanto idiota da dire che voi sbagliate se gli dite che ha solo diritti? Eppure costui è esattamente questo, un idiota, se ci crede in modo acritico, oppure una persona in malafede, che vede tutti i vantaggi personali che gli derivano da una tale definizione.

Invece, come tutte le parole semplici, racchiude un’idea complessa che bisognerebbe analizzare a fondo prima di pensare di possederla. Io per primo, ovviamente, non la possiedo, e queste mie opinioni sono passibili di discussione e contestazioni, e se per caso ne hai e ti viene il desiderio di dirmi dove sbaglio te ne sarò grato.

Per chiarire voglio riportare una frase che mi scrisse un integralista cattolico, vari anni fa, un non meglio autodefinito Totus Tuus: Caro amico, capisco che ogni giorno bisogna tirare avanti, ma che un laico creda di non essere in uno stato di inferiorità - almeno culturale e intellettuale - rispetto a un cattolico, fa un po' sorridere. Coraggio, prenda atto del suo handycap e affronti le sue difficoltà con umiltà!
La frase probabilmente era una semplice provocazione, o forse no, perché in quel periodo tentavo di discutere pure con un’altra persona, legata ad ambienti religiosi, che sosteneva di lottare contro la “cultura dominante”.
A questa seconda persona io tentavo di far capire che una cultura sostenuta da migliaia di pulpiti, da una stampa cattolica agguerrita e preparata, da politici dichiaratamente cattolici, in un Paese che ospita il centro della cristianità cattolica non si può definire sottoposta a chissà quale altra “cultura dominante”, essendo essa stessa a suo modo dominante. Costui allora partiva a spiegare che la televisione e i vari mezzi di informazione sono contro e che la gente non rispetta le regole della fede facendosi fuorviare da queste false sirene. Ed io a spiegargli, con pazienza infinita, che neppure io difendevo quella cultura, e che concordavo nel vedere nel consumismo, nello scarso rispetto dei valori umani, nelle derive sotto gli occhi di tutti un male che pure io tentavo di combattere, e che sicuramente io non stavo con quella “cultura dominante”.
Per farla breve, il dialogo si è interrotto, e questa persona continua ancora, per quanto ne so, con le sue allucinanti affermazioni di principi che vogliono i suoi ideali calpestati dai miscredenti tutti organizzati contro il suo mondo.

Mi sono dilungato su queste premesse necessarie perché oggi, a proposito di come vanno le cose, vedo il principale partito della sinistra - erede del PCI di mangiapreti e di bambini, ma anche di una persona onesta come Berlinguer - con un segretario che viene dal mondo cattolico, e che è stato uno scout Agesci (un’associazione confessionale a sua volta controllata dai Vescovi).

Ed allora la libertà quale mai potrà essere?
Sicuramente non deve venire da una posizione religiosa o atea, ma laica. La libertà cioè lascia ad ogni individuo la possibilità di credere o non credere, e vuole che nessuna posizione religiosa o atea venga imposta ad alcuno.
In tempi di tagliagole già questa è un’affermazione che ha un suo peso, credo.

La libertà poi lascia agli individui la possibilità di ogni scelta in ogni campo, a condizione che non si commettano reati (da non confondere con i peccati).

La libertà infine non impone le proprie idee a nessuno, e chi non vuole essere unito civilmente con una persona del suo sesso non è obbligato a farlo ma deve permettere che chi lo desidera invece abbia tale facoltà, per dargli pieni diritti e doveri di fronte alla legge laica e civile. L'opinione di un religioso o di un credente cattolico, in questo campo, la ritengo ininfluente, perchè a me non interessa il matrimonio religioso, che la Chiesa può negare a chi vuole, nella sua massima autonomia, ed io lo lascio a chi ci crede.

Ovviamente la libertà prevede molte altre cose che se mi hai letto sin qui capisci bene in cosa possono consistere.
La mia personale libertà è quella di non impedirti di esprimere le tue opinioni a condizione che tu non impedisca un uguale mio diritto. Se tu non mi permetti di farlo, scusami, ma io non sono tanto disponibile ad applicare il pensiero che segue attribuito a Voltaire e ripreso da Pertini:
Io dico e ho sempre detto questo al mio avversario: io combatto la tua idea, che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi sino al prezzo della mia vita perché tu la tua idea la possa esprimere sempre liberamente.

Quindi non ho alcuna intenzione di censurare le idee altrui ma neppure di pubblicizzarle se non le condivido, e mi riservo il diritto anche di ignorarle, seguendo i miei principi. In una democrazia funziona così. In caso di bisogno si vota. In una teocrazia è diverso, ed in una dittatura è diverso ancora, ma questi sono esempi che con la libertà proprio non hanno a che fare.

                                                                                     Silvano C.©

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venerdì 26 settembre 2014

#Brustlina 33

Strana questa coincidenza.  

Curzio Maltese la pensa esattamente come me, o meglio, non sia mai, io la penso esattamente come lui.

In Italia avremmo bisogno di investimenti nella scuola, e non di tagli.

Dovremmo combattere l’evasione fiscale, in modo da far pagare meno tasse a chi le paga.

E dovremmo combattere corruzione ed inefficienza nella Pubblica Amministrazione.

Detto questo, il problema dell’articolo 18 diventa quello che è: un falso problema.

                                                                                    Silvano C.©


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La Bertagni Dirce, detta "la Niculina"


Il suo nome vero è Dirce Bertagni, o Bertagni Dirce, come dice lei se interrogata a tal proposito da una persona foresta, e lo fa per una sorta di rispetto e di abitudine a tenere le distanze. Per tutti quelli che abitano vicino a lei e la conoscono invece è “la Niculina”, perché suo padre si chiamava Nicola.
Vive in una casa un tempo nobile poi abbandonata per lunghi anni e infine comprata dal marito quando ormai erano separati di fatto, anche se non per l’anagrafe e l’archivio di stato civile del comune o per i registri conservati in parrocchia. Lui ha un’amante che tutti conoscono come tale, e lei ha conservato la sua nobiltà distaccata malgrado l’offesa e la maldicenza che in un piccolo paese questo comporta. Lui neppure ci vive in quella casa dove lei è rimasta col figlio, ma viene puntualmente a pranzo ogni giorno, mangiando in silenzio o grugnendo qualche frase per simulare una parvenza di relazione. Se ci sono ospiti occasionali è persino spiritoso, ma consuma il suo pasto sempre in fretta e non si perde troppo in discorsi. Lui ha da fare: l’azienda lo aspetta e questo deve essere chiaro. È lui che guadagna per la famiglia, e nessuno si deve azzardare a dire nulla.
La Niculina da anni va avanti in questo modo; pensa a curare gli animali da cortile e l’orto, cucina per il figlio ed il marito, ed anche per i due cani che fanno la guardia in modo efficiente ma che sanno stare al loro posto quando lei si avvicina, e chinano la testa con un certo rispetto quando la donna porta loro il pasto, nel grande magazzino adiacente alla casa all’interno del quale ci sono le loro cucce. Sanno che non possono entrare in casa, tutt’al più affacciarsi sull’uscio. Quando ci hanno provato si sono ritrovati una scopata tra capo e collo e la lezione l’hanno capita subito.
Con la scopa lei mantiene l’ordine e la usa come un’arma.
Una mattina una grossa nutria ebbe la cattiva idea di farsi una passeggiata dal canale poco lontano dove solitamente viveva sino all’orto della Niculina. Evidentemente le carote ed il radicchio così ben tenuti l’avevano interessata.
La donna quella mattina aveva con se la sua solita scopa o più probabilmente una vanga, visto che intendeva fare piccoli lavori tra le sue piante.
La donna che vede la bestia e la bestia che vede la donna sono eventi sovrapposti nel tempo, distanziati forse da frazioni di secondo. La bestia ovviamente tenta di scappare ma la Niculina, che quel giorno indossa come sempre quando fa certo lavori bassi stivaletti di gomma per non rovinare le altre scarpe è rapidissima. Pochi colpi inferti senza pietà stendono per sempre l’incauto animale, che tenta pure un estremo tentativo di aggressione per autodifesa.
Quando mi raccontano l’episodio confesso che stento a trattenere il riso. Conosco la Niculina, e so che lei il suo ordine lo mantiene in modo rigido.
Gli uomini vanno trattati con le molle, indipendentemente da chi sono o da cosa dicono, perché quasi tutti invariabilmente fanno i loro comodi, quindi lei, adeguandosi, concede la confidenza a ben pochi, e vive in una sorta di mondo separato, inattaccabile, corazzato dalle diverse esperienze pagate sulla sua pelle. E gli animali li rispetta ma solo se stanno al loro posto, svolgendo il ruolo che lei ha loro assegnato.
Non so se è capace di poesia, di tenerezza, io credo di sì, ma ha sviluppato un atteggiamento più maschile che femminile in questo lato del suo carattere. Forse così ci è nata, o forse qualcuno l’ha spinta a diventare più dura, negli anni.


                                                                                     Silvano C.©

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giovedì 25 settembre 2014

Dove si arriva se si parte dalla matematica e dalle emozioni


Leggere sul recente libro di Cotroneo che uno psicologo, Howard Gardner, ha classificato come due forme di intelligenza fondamentali quella matematica e quella emotiva mi ha spinto ad andare a leggermi meglio cosa dice il grande pensatore citato, le cui idee probabilmente pure io ho incontrato durante qualcuno dei miei innumerevoli corsi di aggiornamento, rimuovendone poi semplicemente il nome.  

Solitamente la mia mente funziona in questo modo: ricordo il senso di quanto ascolto o leggo - o almeno ricordo quello che capisco - ma dimentico con estrema facilità il nome delle persone. 
In tal modo sono completamente spiazzato come “citatore” quando mi ritrovo a discutere o a scrivere su un determinato argomento, e rischio di bloccarmi se mi intestardisco a voler ricordare questo particolare. Per il resto me la cavo e trovo convergenze e collegamenti con quanto già fa parte del mio sistema di pensiero, che non è nulla di più della mia architettura nervosa particolare, e che appartiene ad ogni essere umano, ovviamente diversificata da individuo a individuo. 

Sul fatto dell’intelligenza non definibile secondo certi parametri “tradizionali” ne ho conferme dirette dovute al mio lavoro ed alla mia età, e pure l’intelligenza animale, operati i necessari distinguo, contribuisce a rinforzarmi nell’idea che questo modo di valutare le potenzialità di reazione all’ambiente appartenga ad un mondo ancora non del tutto esplorato. 

In quest’ottica io sono sicuramente molto stupido, valutato secondo certi parametri, e contemporaneamente molto intelligente, secondo altri.
Detto altrimenti io posso spuntarla sul piano dialettico con una persona meno colta o anche decisamente più soggetta a pregiudizi o a ragionamenti per stereotipi, ma posso venir messo in difficoltà dalla stessa persona nel rapporto interpersonale, oppure nella reazione ad una situazione di tipo fisico - pratico.
Del resto la variabilità della specie umana (e di ogni altra specie si voglia considerare) ha questa motivazione filogenetica a difesa della specie stessa: in determinate situazione i più adatti a sopravvivere sono alcune tipologie di individui. Se le condizioni mutano i più adatti diventano quelli che prima apparivano svantaggiati e meno protetti. In tal modo la specie si adatta all’ambiente che muta. La variabilità è una nostra forma di assicurazione contro l’estinzione. 

Se avessimo una sola fede religiosa, sulla Terra, questo sarebbe un problema. Se tutti avessimo la pelle bianca o nera o gialla, avremmo un problema.
Se tutti fossimo superdotati intellettualmente ma incapaci di mettere alcune pietre ordinate una sull’altra per costruire un muretto a secco avremmo sempre un problema. 

L’intelligenza, quindi, è quella che abbiamo, non più e non meno di quella degli altri. Pure alcune persone che noi definiamo handicappate possono dare filo da torcere, in certe situazioni, a fior di pensatori. Il loro guaio è che non si uniformano alla media attesa.
In una classe che deve sottoporsi ai test preparati dagli esperti ministeriali ci saranno sempre ragazzi che non rientreranno nei parametri minimi. I test rimangono validi, a mio avviso, e forniscono indicazioni standard utili per mille motivi, ma non devono essere il solo metodo di valutazione. E se tali metodi a nostra disposizione non bastano, occorre inventarne di nuovi, e prendere in giro il sistema ottuso usando valutazioni personali.
Anche barare, in certe situazioni, è giocare pulito, e quando l’umanità viene difesa dalla sua intrinseca stupidità in questo modo si compie sempre un piccolo passo che tuttavia è enorme per chi ne viene beneficiato e non escluso, ma ammesso tra gli altri.

Per chi difende la razionalità e l’emotività senza riuscire a distinguere quale sia preferibile tra le due a volte si aprono finestre su mondi sconosciuti, e la cosa divertente, ed anche esaltante, è che aprendo le imposte non sempre si sa cosa si vedrà.
La vita non è un viaggio organizzato, magari su una nave da crociera o all’interno di un villaggio turistico con animatori che non lasciano un minuto libero. La vita è quello che capita, e potrebbe essere un naufragio, o l’incontro con l’amore della tua vita.

                                                                                     Silvano C.©


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mercoledì 24 settembre 2014

il MUSE, scheletro e contenuto

Immagini dal Muse di Trento, inaugurato poco più di un anno fa. Si parte dal piano interrato (-2):  inizio della vita sulla Terra e preistoria.



Qui sotto lo scheletro della testa di un triceratopo confrontata con le dimensioni dei primi mammiferi comparsi sulla terra



























Rappresentazione dell'evoluzione dal ceppo comune, a destra, sino alle ramificazioni delle forme di vita più recenti.
 Un nostro antenato, nudo ed in cera, ed una nostra contemporanea, vestita ed in carne ed ossa.
 Una visione dal basso del grande spazio vuoto centrale del Muse, occupato da varie forme di vita, sospese. 
Immagini della e dalla grande serra tropicale.




Dalle grandi vetrate una vista spettacolare su Palazzo Albere, e, sullo sfondo, lo stadio Briamasco.

Una stampate 3D usata per fini didattici e dimostrativi
 Ben protette restano, in un piano del museo, esempi delle vecchie esposizioni, quelle che riportavano in modo sistematico cartellini e classificazioni degli esseri viventi. Questo ora sembra essere il passato.

Un modellino animato che spiega come una briglia a monte protegga la case a valle dalle piene irregolari. Una diversa scelta di dove costruire le case, forse, avrebbe protetto in modo più utile.



Il nuovissimo quartiere residenziale costruito su progetto di Renzo Piano nella zona del Muse




... ed infine, sul terrazzo del Muse, ecco i pannelli solari...





                                                                                           Silvano C.©

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domenica 21 settembre 2014

Il mezzo non è il messaggio


Michele Serra scrive che il mezzo non è il messaggio, è semplicemente un mezzo, e stralcio la frase dalla sua rubrica settimanale su “Il Venerdì” di “Repubblica” del 19 settembre 2014.

Mi piace perché mette in discussione uno stereotipo cólto, cosa sempre positiva.

Mi piace perché contraddice il post predente che ho appena pubblicato e che cita appunto questo pensiero di  MCLuhan. Contraddirmi da solo è benefico.

Ma mi piace essenzialmente per come arriva a questa considerazione, che fa riflettere sull’uso che si fa dei social, nei quali chi urla di più viene ascoltato di più (anche se per fortuna non sempre) oppure chiunque si sente autorizzato a dire qualsiasi cosa, sfogando magari cose represse ed avendo tempo da dedicare al mezzo, ovviamente, perché chi è poco presente ha pure poco seguito.

Il mezzo resta un mezzo, alla fine, nulla di più. Ci si deve adeguare alle sue modalità di utilizzo se si vuole entrarci, ma una volta entrati siamo liberi, di parlare solo noi e non ascoltare gli altri o di fare l’opposto, di sceglierci le persone da seguire e da leggere, di cercare di richiamare l’attenzione di qualcuno, e col nostro comportamento e con quanto scriviamo alla fine selezioniamo finalmente chi vorremmo, e ci troviamo. Tu trovi me ed io trovo te, che mi leggi, e se metti un commento si interagisce, oppure ci seguiamo su qualche social, e le cose che mi dici mi modificano anche senza che me ne renda conto.

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, insomma, senza inutili lamentele finalizzate a dare la colpa ad altri.


                                                                                     Silvano C.©

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#Brustlina 32


Ho studiato che il mezzo è il messaggio (sintesi estrema del pensiero di MCLuhan).
Se è vero, che messaggio esprime questo?



                                                                                          Silvano C.©


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Il riparatore


Veniva da un’infanzia strana, o almeno tale gli sembrò sino a quando se ne fece una ragione, un po’ più avanti negli anni, superate alcune fasi che tutti i ragazzi superano, taluni precocemente, altri in modo tardivo. Lui non aveva fretta, anche se apparentemente credeva di averne. 

Poi incontrò lei. Casualmente. Occasionalmente. Senza cercarla. O senza cercare lei. 

Quando le attese più o meno espresse e coscienti di due persone coincidono nel tempo e nello spazio a volte capita che ci si scelga, che tutto sia naturale, che non si chieda neppure il perché, e che la vita precedente appaia semplicemente quello che è stata, cioè il passato, abbastanza poco importante.

Qui serve una breve digressione. Nulla di quanto si vive è inutile. Tutto serve, anche il dolore, non in senso cristiano intendo, ma come necessario strumento di prova assimilabile al test che si progetta per verificare se uno strumento tecnologico o una macchina sono in grado di svolgere il compito per il quale sono stati progettati. Solo dopo una prova superata (o molte prove, capita pure quello spesso) si viene omologati come esseri umani. Ma chiudo la digressione.

Da quel momento il suo rapporto con gli altri mutò. E pure il suo rapporto con le cose. Quello con gli oggetti inanimati in realtà mutò meno. Questi lo avevano sempre affascinato, e le tecniche di progettazione e riparazione erano una costante nei suoi interessi.
Aveva un passato di ricopritore di libri, di corniciaio, di pittore di statue di terracotta, di modellista di creta dipinta e poi lasciata essiccare cruda, di costruttore di candele in cera colorata, di modellista navale utilizzando materiali di recupero, di costruttore di razzi manipolando la polvere pirica dei botti in libera vendita tutto l’anno, ad esclusione del mese precedente il capodanno, di esploratore delle possibilità di avere budini a più gusti sovrapposti, e così via.
Con lei, poco a poco, si scoprì un riparatore, ed iniziò a divertirsi a smontare giocattoli che non funzionavano per rimetterli in sesto, a modificare piccole parti dell’impianto elettrico in casa, a sistemare la cerniera di un mobile, o loro o di amici. 

La ferramenta lo aveva sempre affascinato, molto più della boutique, ed infatti spendeva poco in abbigliamento e molto in trapani e brugole, ed iniziò a frequentare quegli squallidi ma fornitissimi e grandi bricoself, sino a scoprire che non di rado, malgrado la pubblicità invitante, praticano prezzi gonfiati su ogni genere in vendita, ed è molto meglio rivolgersi ai piccoli negozi,  più professionali sia nei prodotti proposti sia nei consigli per utlizzarli.

Appena poteva riparava le cose, ogni tipo di cosa. Spendeva a volte il doppio per attrezzarsi piuttosto che chiamare un tecnico specifico, ed in tal modo aveva accumulato un’attrezzatura invidiabile, anche se non da professionista.
Il figlio, da piccolo, pensava fosse un falegname, e non un impiegato.
La sua forza però era lei, sempre lei, solo lei. Litigavano, si cercavano e non era più come i primi tempi, ma se si allontanava sentiva subito nostalgia. Non concepiva la sua assenza, in altre parole.

Quando, verso la fine, lei si spense, e lui rimase come un allocco, impreparato, davanti ad un evento prevedibile ma imprevisto, sentì la profonda inutilità dei suoi attrezzi, utili a riparare un lavello ma non il cuore.
La vita va avanti, si era detto mille volte, lei aveva detto mille volte, ma ora lei non lo diceva più, e lui iniziò a dubitarne. La vita va avanti, è chiaro, ma arriva sempre il tempo nel quale si lascia spazio a chi verrà dopo di noi.
Ecco, poi l’ho perso di vista, da quel momento non ne so più nulla, neppure come è finita. Del resto pochi sanno come finirà.
                                                                                     Silvano C.©

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giovedì 18 settembre 2014

Amico juventino


 Amico juventino, o amica juventina - perché molte donne tifano Juventus, la squadra prima in Italia per numero di scudetti vinti, amata da tante persone in modo completo e viscerale - ma perché ancora tifi per la Juventus?

Lo so che lo fai da sempre, che è la migliore, che l’affetto non si discute e neppure la fede calcistica.
So che la divisa bianconera l’hanno indossata campioni assoluti del calcio, uomini che hanno fatto la storia di questo sport, a volte veri esempi di vita anche per i giovani, non ragazzi viziati ed immaturi capaci di colpire bene il pallone ma incapaci di capire la realtà.

Eppure te lo chiedo ancora, perché?
Perché tifare per una squadra che da quasi cento anni ha alle spalle una delle dinastie familiari più potenti e ricche del nostro paese, che ha enormi capacità finanziarie a sostenerne la forza e che quindi può permettersi di comprare quanto di meglio offre il mercato italiano ed internazionale in campo calcistico?
Il discorso vale ovviamente per altre squadre del nostro campionato, sempre meno numerose  però, e tutte con una minor continuità di proprietà. 

Io, lo confesso, non riesco a capirlo, lo trovo come minimo contraddittorio.
Non  posso appassionarmi al successo dovuto esclusivamente al denaro e non al merito sportivo assoluto. Io mi affeziono alle persone, ad un’ideale, non allo strapotere che permette di comprare i migliori ed abbandonare chi, dopo aver dato tanto, non è più funzionale per la vittoria. Se la squadra è una grande famiglia, vabbè, il mio concetto di famiglia è un po’ diverso. 

Tralascio volutamente tutte le questioni legate al ruolo dello sport nel conseguimento del consenso, ai problemi delle tifoserie talvolta costituite da esaltati, ai problemi di correttezza e di illeciti, alle scommesse non corrette e così continuando. Sono problemi che riguardano tutto il mondo del calcio, non sicuramente una singola squadra.
Nel caso della Juventus però io vedo, in più, un legame stretto con la vicenda FIAT, e questo legame non mi piace per nulla.
                                                                                     Silvano C.©

( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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