sabato 30 agosto 2014

il cellulare gratis


Si parte presto, Venezia non è dietro l’angolo, ed il ritrovo è fissato direttamente alla stazione ferroviaria.
Lui e la collega, che gli è pure simpatica e con la quale ha un ottimo rapporto, contano più volte il piccolo gruppo di alunni, e quando il treno viene annunciato ecco gli ultimi saluti ai pochi genitori presenti e l’avvio al binario.
Lui davanti e lei dietro il gruppo, per verificare che nessuno si perda in quei pochi metri, poi, quando il convoglio si ferma e le porte si aprono, assalto ai posti, non prenotati come solo pochi anni dopo viene tassativamente richiesto. 

È previsto un cambio a Verona, e tutto funziona come un orologio. Attesa minima e nuovo assalto al treno che stavolta arriverà sino alla laguna. Belle, le carrozze. Sono quelle a due piani, con una disposizione delle poltrone che simula quella di un aereo (o almeno tale è la sua impressione, visto che lui non ha mai volato).
Verificato che sono tutti a bordo e che sono seduti secondo loro libere scelte, si avvicina al posto dove sta seduta la collega, in posizione strategica, in modo da controllare il maggior numero possibile di ragazzi. Si rilassano entrambi un po’, e si raccontano un po’ di vita e di pettegolezzi, senza toccare temi particolari. Lui ogni tanto si alza, con l’aria di volersi semplicemente sgranchire le gambe, e verifica che non succedano cose strane o pericolose. 

Richiama chi fa troppo rumore oppure chi mangia e sporca attorno al proprio posto. I rifiuti buttati per terra vengono raccolti, e lui viene attirato da un gruppetto che ha l’aria troppo concentrata su qualche cosa. Si avvicina, e vede che l’oggetto della loro attenzione è un cellulare nuovissimo in mano ad un ragazzo. Si incuriosisce, perché è veramente molto bello, e magari pure costoso. In classe i cellulari non si possono tenere, ma in un viaggio di istruzione (leggi: gita), c’è il tacito permesso di portarli; possono sempre diventare utili (come si vedrà alla fine) in caso di emergenze impreviste.
 Chiede informazioni sul costo, ed il ragazzo gli risponde che è gratis.
-         Come gratis?
-         Sì, gratis, basta spendere ogni mese 100mila lire di traffico.
-         100mila lire di traffico? Ma è un’enormità, lo paghi eccome quel cellulare.
-         Ma no, li spendevo anche prima con l’altro che avevo, ed era vecchio, non poteva neppure navigare in rete. Questo invece lo fa senza problemi.
-         Sarà, ma mi sembrano sempre troppi soldi. Adesso ad esempio quanto credito hai?
-         L’ho ricaricato ieri, più di 90mila lire. 

A quel punto lui lascia perdere il gruppo, che sta tranquillo ad ammirare quell’oggetto del desiderio, e ritorna lentamente sui suoi passi, contando mentalmente gli alunni.
-         Accidenti, come è possibile, uno in più? Aspetta che riprovo a contare.
Fa molta attenzione, riconta passando tra le file delle poltrone, e anche stavolta uno in più.   
Ritorna dalla collega, e spiega che hanno un alunno nuovo, ma non capisce quale sarebbe. Lei stupita si alza e controlla a sua volta, poi torna.
-         Ci sono tutti, non uno di meno né uno di più. Ti sarai sbagliato.
Non è convinto, stavolta si alza di nuovo lui e fa le cose per bene. Ripassa ancora simulando altro e li conta guardandoli con attenzione. E trova ciò che cercava. Nella classe c’è una ragazzina di origini cinesi, carina, timida e che fa coppia fissa con una compagna. Le due adesso stanno tranquillamente a parlare fitto tra loro. Pochi posti più in là c’è un padre con sua figlia. Sono cinesi. La figlia sembra la sua alunna. Passando l’ha contata come se appartenesse alla classe. La riguarda meglio. Si assomigliano, è chiaro, ma solo se si lancia uno sguardo affrettato. Ritorna quindi al suo posto. E decide di non alzarsi più per un po’.


A Venezia la giornata è magnifica, si cammina tra le calli e ogni angolo della città è occasione di ammirazione. Puntata per una visita ed il pranzo al sacco a Murano. Visita ad una fornace, acquisto di piccoli souvenir, riposo seduti in una piazzetta a due passi dalla fermata del traghetto. Pericoli ridotti al minimo (a parte la sempre possibile caduta di qualcuno in un canale o nella laguna) e poi lento ritorno verso Riva degli Schiavoni e Piazza San Marco. Infine, quando ormai inizia a fare tardi, ritorno verso S. Lucia.

Stanchi ma abbastanza soddisfatti aspettano il treno, che arriva puntualissimo. Solita corsa ai posti, ma le carrozze sono vuote, c’è spazio per tutti. Salgono, si sistemano, lui e la collega, separatamente, ricontano i ragazzi.
-         Non abbiamo perso nessuno.
Il commento sintetico di lei lo fa rilassare, e sedere. È un po’ stanco, ma è stata una bella giornata. Basta solo che ora il treno parta. Doveva farlo già cinque minuti fa.

Il treno non parte, non ci sono informazioni, e passano i minuti. Se si ritarda ancora si perde la coincidenza a Verona. Ma il treno non parte.
Passa quasi un’ora, col nervosismo che aumenta. Giungono voci di un problema sulla linea. Arriva però un altro convoglio, solo prima classe, e ne viene annunciata la partenza a breve. A frotte molti passeggeri scendono dal loro treno per salire su quello. Lui si consulta con la collega. Sono già in ritardo di un’ora. I genitori all’arrivo tra un po’ inizieranno a muoversi, per andare in stazione ed accogliere i figli. Era previsto il rientro attorno alla mezzanotte, ma così si arriva già all’una, coincidenze permettendo. La decisione viene presa in pieno accordo con la collega. Si trasborda. E se qualche controllore contesterà un’irregolarità non mancheranno gli argomenti per spiegarsi.

Il treno finalmente parte ed è arrivato il momento di avvisare con i cellulari le famiglie in attesa in modo che non si preoccupino inutilmente. Prima non era ancora il caso, ora è il momento giusto. Tutti in qualche modo telefonano, e la situazione sembra rientrare nella norma. Solo un ragazzo non telefona, è quello del cellulare avuto gratis. Ha esaurito il credito, circa 90mila lire, navigando in rete, facendo stupidaggini ed entrando in siti che è facile immaginare. Ha esaurito sia il credito che la carica. Ora deve chiedere ad un compagno se per favore gli fa usare il suo telefono per avvertire il padre del ritardo.

Il rientro avviene senza ulteriori ritardi. I genitori sono in stazione, è quasi l’una di notte, ed i saluti sono rapidi. Solo il giorno dopo si saprà di un suicidio lungo la linea ferroviaria, forse in provincia di Padova. Loro, in qualche modo, sono tornati a casa.
                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

venerdì 29 agosto 2014

Non incolpate altri, sono io il responsabile


Io e tutti gli italiani nati dal dopoguerra sino alla fine degli anni ‘60, più o meno, quelli che hanno goduto di un momento di sviluppo e di crescita nazionale e che non si sono accontentati del necessario, della pace raggiunta e di una sicurezza nel futuro che allora vedevamo in espansione, con prospettive di miglioramento anche per coloro che erano nati meno fortunati (lo chiamavano ascensore sociale).

Lo penso ormai da tempo, ma oggi, leggendo una lettera inviata da un lettore a Michele Serra e la sua risposta ho avuto una conferma autorevole che la mia non è solo una fantasia autolesionista. 

Noi abbiamo vissuto per decenni sopra i nostri mezzi, accumulando debito pubblico ed ipotecando in modo irreversibile il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. 

Anche loro hanno (o avranno) sicuramente colpe, è chiaro, ma ora non mi interessano quelle bensì le mie. Del resto trovo insopportabili quelli che accusano e trovano sempre negli altri il responsabile, che sono pienamente consapevoli dei loro diritti e mai dei loro doveri.

Ognuno in passato, a modo suo, si è spartito la torta. A chi grosse fette, a chi le briciole. Anche le briciole tuttavia significavano aumenti di stipendio, assunzioni più facili, prepensionamenti ancora in giovane età, la prima auto e poi la seconda, la casa di proprietà, i risparmi in banca o una vita sopra le righe per chi sceglieva di non risparmiare o di non investire in immobili.


Responsabilità diverse, è chiaro. Qualcuno di noi si è comportato da vero ladro mentre altri, sino all’ultimo, sono rimasti convinti di aver raggiunto il benessere solo ed esclusivamente con la propria fatica e la propria onestà, persino i più impegnati politicamente ed i più sindacalizzati, le persone migliori, insomma.


Serra cita Ugo La Malfa ed Enrico Berlinguer come rari esempi di integrità morale e capacità di analisi storica e sociale in grado di prevedere le conseguenze del comportamento allegro e miope (talvolta anche disonesto) degli italiani dagli anni ‘70 in avanti. 
Furono decisamente inascoltati, visto il risultato attuale di profondissima crisi dalla quale usciremo soltanto rinunciando al superfluo e reindirizzando le nostre prospettive a breve ed a medio termine.

Sono ottimista o pessimista sugli sviluppi futuri? Sospendo il giudizio.

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

giovedì 28 agosto 2014

Equilibrio


Leggere sempre, leggere soltanto, leggere libri importanti, indiscutibili o discutibili ma essenziali per la comprensione del mondo, che siano saggi o romanzi o poesia o altro ancora, anche fumetti o libri usa e getta. Vivere per interposta persona, vivere mille vite altrui, dove l’umanità si confonde in una forma indistinta e confusa, perché così è l’umanità, divina e demoniaca allo stesso tempo, assolutamente non definibile. Filosofi ci provano da millenni, ma restano sempre alla sua crosta, sfiorano il mantello ma del nucleo propongono solo ipotesi, smentite o integrate o aggiornate dai filosofi che li seguono, anni, secoli o millenni dopo. È un po’ come ascoltare, ascoltare soltanto, assorbire come spugne le parole degli affabulatori, dei grandi narratori, della nostra tradizione orale interrotta, ma che in popolazioni altre è ancora essenziale (basti pensare alla cultura sinta e rom. Quelli che noi definiamo zingari con disprezzo e vivono tra di noi sono portatori di un mondo diverso, parallelo, che non intende integrarsi, non può farlo senza perdere la sua identità).


Scrivere soltanto, a testa bassa, esprimendo prepotentemente sé stessi, usando il proprio ego come misura del mondo. Essere miopi nei confronti delle parole scritte o pronunciare dagli altri, praticamente non ascoltarle né leggerle, come succede quando due persone parlano contemporaneamente durante una conversazione telefonica. Nessuno ascolta l’altro ma segue esclusivamente il filo del proprio ragionamento; per ascoltare occorre anche tacere. Oppure dare lezioni dalla cattedra, trasmettere soltanto e non ricevere, come un televisore quando è acceso.


Quale scegliere tra le due posizioni estreme, ammesso che esistano esemplari umani che rientrino a pieno titolo esclusivamente in una delle due? Il titolo del post sintetizza esattamente la risposta che cerco: equilibrio.
La diversità individuale potrà portare a prediligere una modalità o l’altra, è evidente. Una stessa persona nel corso della vita muterà atteggiamento, magari più di una volta.
La variabilità è una ricchezza nella nostra società. Non siamo una monocoltura di mais o di patate, ma una foresta, almeno un bosco, o, se proprio non è possibile altro, un campo, meglio se abbandonato, dove cresce un po’ di tutto, e dove la natura poco a poco tende alla sua perfezione ecologica, il climax.


L’umanista che non sono potrebbe dire altro, con maggior cognizione di causa, e intanto leggo chi sa citare autori che non conosco, ne subisco il fascino e provo ammirazione. Io, in parte, fui attratto o distratto da mille altri stimoli, e provai vera soddisfazione quando da artigiano vidi oggetti, non certo perfetti, nascere dalle mie mani.


Non leggerò mai abbastanza, né scriverò mai abbastanza.

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

Controtendenza #NoProfitNoIva


Appena ho letto la notizia, lo confesso, ci sono rimasto molto male. Ma come? Io faccio una donazione chiaramente no-profit, finalizzata ad un’attività benefica e lo Stato mi tassa tale donazione con un prelievo del 10%? 
Non mi va bene, ovviamente.

E la rete insorge, su Twitter imperversa la protesta, innescata da La7 e dal Corriere, con hashtag: #NoProfitNoIva.

Poi passa un giorno, passano due giorni (io ho una lievitazione lenta) e mi rendo conto che la protesta in rete è sbagliata, o almeno troppo integralista e superficiale, come tutte le lotte virali che interessano emotivamente e poi si scordano, senza essere approfondite.
E mi spiego:

·        Le donazioni sono spesso dovute a situazioni di emergenza, nelle quali l’emotività e la partecipazione a pelle sono importanti.
·        Le donazioni sopperiscono a carenze nell’assistenza statale, quella sì che sarebbe necessaria, con gli effetti grotteschi di chi recentemente si fa gavettoni pro SLA ma taglia i fondi pubblici per l’assistenza ai malati, oppure ne approfitta per pubblicità personale ma dona una miseria o ancora dona molto perché ha guadagnato molto (e perché allora non paga volontariamente più tasse, invece di affidarsi ad esperti tributari che gli permettono esattamente l’opposto?).
·        Le donazioni, pur generose ed altruiste, peccano di una originale discriminazione personale. Perché aiutare i terremotati emiliani e non gli aquilani o molisani? E perché non gli alluvionati sardi o emiliani o liguri? (E potrei ovviamente continuare).
·        L’IVA alla fine a chi finisce se non allo Stato, che con questa fa fronte a mille calamità e servizi, ad esigenze di tutta la popolazione insomma? E parte ritorna, sotto forma di aiuti, alle stesse popolazioni oggetto della donazione, sia nelle fasi di intervento iniziale sia in seguito, con la dichiarazione dello stato di calamità.

Sarebbe sicuramente preferibile quindi una maggior attenzione nel non far partire proteste immotivate, nel richiedere più trasparenza nei passaggi che portano agli aiuti e lottare, questo è essenziale, perché ogni contribuente paghi le tasse senza accettare l’evasione folle che ci umilia nel confronto con i Paesi più virtuosi. 

Se in Italia l’evasione fosse zero e la pubblica amministrazione meno propensa, nelle persone di alcuni suoi rappresentanti infedeli, ad approfittare del bene comune per proprio interesse personale (vedi mazzette, vitalizi fuori da ogni logica di ex personalità pubbliche, stipendi folli dei politici, ruberie da parte di chi dovrebbe essere nostro servitore, riconoscimento del merito solo per gli altri, mentre nel proprio caso sono accettabili ruoli di prestigio e di potere anche senza essere laureati ma semplici diplomati di un istituto superiore. E mi fermo qui per pietà, prima di tutto nei miei confronti) non avremmo bisogno o ridurremmo molto il bisogno della beneficenza, che non è mai slegata da una scelta personale, come ho ricordato.

Uno Stato laico, come vorrei, accetta le scelte personali di tutti, le rispetta e le difende, ma allo stesso tempo esercita un doveroso ruolo di controllo e non permette che tali scelte, di tipo privatistico, abbiano il sopravvento su una visione organica e di maggiore equità, che può essere soltanto laica, non certo di un singolo - al quale riconosco indubbiamente la buona fede - né tantoméno  di un’ottica confessionale, che rifiuto per principio.
Il balzello tanto criticato del 10% quindi in parte porta equilibrio, non ingiustizia.

(Riflessione finale – Grandi giornali o testate televisive quanto ricevono in termine di immagine da campagne di raccolta fondi? E chi altri sponsorizza tali raccolte? Io ricordo, a puro titolo di cronaca, che quando feci un piccolo bonifico indirizzato direttamente al Comune di Cavezzo - oggi al centro dell’attenzione mediatica - pagai una commissione alla mia banca. Protestai, ma mi venne risposto che avrei dovuto effettuare la donazione su un loro conto corrente apposito. Solo così avrei evitato la commissione)

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

mercoledì 27 agosto 2014

Grupio


Grupio disegna ed immagina l’Infinito e l’Altissimo, con le matite colorate, e raffigura Santi trionfanti, Verità rivelate e profondità oscure, nelle quali si annida il Male. Trova quella realtà assolutamente affascinante, così chiara nelle separazione dei concetti, guida sicura, assenza di dubbio. Rassicurante, diresti tu.

Grupio disegnatore impara frasi in latino, viene istruito a distinguere le ampolle delicate di vetro che contengono il vino, e, vicino all’altare, ad eseguire i giusti movimenti e a pronunciare parole che ancora non capisce. Qualche anno dopo, quando la messa si celebra in italiano, lui non coglie la mutazione epocale. Da tempo ha abbandonato quel mondo, attratto dal mondo. Ovviamente sa cosa succede ora, ha pure assistito a messe che si concludono con l’andate in pace, ma lui rimane legato a quell’ “ite, missa est”, anche se difficilmente si potrebbe confondere con un seguace di Lefebvre.

Grupio disegnatore ma non scismatico scopre che le ragazze sono interessanti, anche se lo ignorano, e non capisce perché a scuola deve stare in classi solo maschili. Non lo capisce a tal punto che gli sembra persino naturale che sia così, e, come avviene con ogni cosa lontana o proibita che per questo soltanto diventa molto più attraente, ne crea un simulacro. Dentro di sé si ribella, copre mancanze con giochi solitari facilmente intuibili a chiunque abbia passato quell’età, e inizia a scartare il vero, supplisce con l’immaginazione, segue antichi impulsi che un giorno potrebbe pure farsi psicanalizzare, scopre deviazioni, ed è preda degli ormoni.

Grupio disegnatore ma non scismatico e pieno di fantasia si ritrova in una classe con ragazze. Incredibile. Anche loro sedute in banchi, come i maschi, ma in modo diverso. Anche loro vengono interrogate o fanno l’intervallo, ma in modo diverso. Questa storia deve finire, pensa, se anche loro sono umane, forse sanno parlare ed ascoltare. Magari si può interagire. Figuracce inenarrabili ed approcci da manuale: “Tutto quello che dovete evitare nei rapporti con l’altro sesso”. Un arcangelo però arriva, con una spada dorata, e lo introduce nel gineceo dalla porta di servizio. Impara così cosa significa l’espressione “reggere il moccolo”, ma non gli pesa, perché non se ne rende conto, ed intanto impara. Questo non è mai male.

Grupio disegnatore ma non scismatico e pieno di fantasia, finalmente sdoganato, inizia a prendere confidenza con i suoi limiti e ad accettarli. Capisce che essere preso in giro è meglio che essere ignorato, e questa, alla fine, è la soluzione. La capisce un po’ tardi, ma sempre in tempo. Le sue debolezze le tramuta in caratteristiche, le sue paure in carattere, le sue pulsioni in fatti, e i fatti li affronta. Non è mai facile, tutti lo sanno, ma quando si ha una prospettiva di crescita non si guarda all’oggi, bensì al domani. E questo vale in economia ed in amore. Ma è presto parlare di amore per Grupio non solo disegnatore, aspettiamo ancora un po’. In fondo a lui interessa solo il sesso (Chiamalo fesso)

Grupio disegnatore ma non scismatico e pieno di fantasia, finalmente sdoganato e un po’ liberato comincia a cercare attivamente quello che per anni è stata solo fantasia. Si ritrova con emozioni infantili delle quali non si vergogna più e che anzi gli piace raccontare. Ovviamente dice pure una quantità mostruosa di idiozie, ma quella è nella norma. Può iniziare a volare con le sue ali nuove, a volte battendo contro le vetrate, altre volte con più successo, e finalmente cade nella rete.

Grupio disegnatore ma non scismatico e pieno di fantasia, finalmente sdoganato e un po’ liberato, resta colpito. E son dolori, mica favole. Ha un bel cercare di distrarsi, niente da fare. La mente corre sempre a lei. Cosa farà? Chi vedrà? Tornerà? E domani? Tenta, nel frattempo, distrazioni diverse, meno coinvolgenti, e ottiene a volte quello che chiede. Realizza che fare lo stronzo aiuta, ma questo non lo aiuta lo stesso. Quello che gli interessa sul serio, lui, da stronzo, non saprà mai ottenerlo. Se ne fa una ragione, e finalmente capisce alcune cose della vita che sino ad un po’ di tempo prima non voleva credere, e ovviamente non le racconta in giro.

Grupio disegnatore ma non scismatico e pieno di fantasia, finalmente sdoganato e un po’ liberato, resta colpito ma poi guarisce. E la vita diventa non solo lotta, ma anche bella da vivere, con scoperte e nuove persone da conoscere, qualche punto fermo e molto disincanto, e poi una speciale, con la quale lo lasciamo solo, ormai, perché raccontare va bene, ma diventare morbosi è sempre sbagliato

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

lunedì 25 agosto 2014

Il pacifista che raggiunse la pace


Conosco Ersilio Mazzetti e mi è subito simpatico. 
È un collega che sorride, sempre alla mano, disponibile con i ragazzini, pronto ad accompagnare le classi nelle uscite, non vota mai per la bocciatura di nessuno, salvo nei casi di interesse dell’alunno stesso, quando anche la famiglia concorda sulla decisione o, capita, è un aiuto mantenere un anno in più in ambiente protetto qualche ragazzo che altrove avrebbe difficoltà ad inserirsi. 

La scuola è anche questo, non solo compiti e prevaricazione, è anche umanità, nel senso più ampio del termine.
Lui insegna Educazione Fisica, un tempo Ginnastica, ora Attività Motoria, domani non si sa, forse Diversamente Immobili (L’arte di cambiare il nome alle cose che esprimiamo noi italiani è unico, specialmente in campo burocratico).

Ma torno al Mazzetti. È simpatico ed amicone di tutti. 
Durante le sue ore di attività in palestra o in cortile vengo a sapere che applica la massima democrazia possibile: fa scegliere ai ragazzi cosa desiderano fare. Puntualmente in 99 casi su 100 la maggioranza ottiene di giocare a calcio o calcetto (mai capita la differenza). La cosa un po’ mi turba, perché in tal modo tutti gli altri sport, tutte le altre attitudini e competenze, ogni voce non uniformata al coro e anche la necessità di dare alcuni principi fondanti della vita di relazione vengono bellamente ignorati. 

Qualche nuovo dubbio inizia a venirmi quando scopro che per una sua presa di posizione sulla pace si fa sequestrare (non ho mai saputo esattamente i particolari dell’episodio) un televisore, che gli viene sigillato ma non portato via dalla guardia di finanza. Un vecchio televisore in BN, tra l’altro, ma tanto basta per farne una sorta di martire per la causa della pace. Il Mazzetti, in questa occasione, viene deriso da un altro collega molto più attento alle questioni di sostanza, che lo critica ironicamente per il suo molto fumo e poco arrosto. 

Pochi anni dopo scopro che il pacifista tutto d’un pezzo ha comprato all’asta, a prezzi ovviamente molto più bassi di quelli di mercato, un appartamento accanto al suo, e mi sento male, letteralmente. Conosco per esperienza diretta cosa significa ritrovarsi con un appartamento messo all’asta a causa di un fallimento del quale non si ha colpa alcuna, e so che se ogni asta di questo genere andasse deserta, gli sfortunati ed incolpevoli “proprietari” non perderebbero il loro bene, non trovando acquirenti. Ma gli acquirenti come il Mazzetti, coerenti uomini di pace e di democrazia, non perdono l’occasione che si presenta loro di approfittare delle disgrazie altrui, e comprano. 

Il nostro eroe, che nel frattempo non è più tanto simpatico, si separa dalla moglie. I diversi figli vengono lasciati allo stato brado e senza una guida indispensabile alla loro età. Hanno difficoltà scolastiche e manifestano vari tipi di problemi, ma sono liberi di esprimere come desiderano la loro personalità, e la filosofia del padre assente diventa applicazione ed espressione tangibile di uno stile di vita sempre meno condivisibile.

Ma non è finita ancora, perché l’Ersilio, arrivato ai requisiti minimi per la pensione, abbandona il lavoro e diventa, molto prima di aver compiuto 50 anni, un baby pensionato (le leggi lo consentono ancora, non siamo ai nostri giorni), e così l’uomo di pace raggiunge la vera pace, senza la rottura di dover andare a scuola ad insegnare.

Ormai quando sento il suo nome mi scattano numerosi tic nervosi, ma intanto scopro che, in pensione, diventa molto attivo in associazioni per la pace in Medio Oriente, in Pakistan, in America Latina ed in ogni Paese dove purtroppo c’è una guerra o una situazione di diritti umani calpestati. Diventa talmente attivo da portare in giro ovunque danze ed aggiornamenti sulla pace, tiene seminari e svolge attività encomiabili e meritevoli. 

La cosa che non mi torna è che, già pensionato dello Stato, lui si faccia pagare per queste attività, e non le svolga come semplice e doveroso volontariato. 
Ma per pace, ovviamente, questo ed altro.

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

domenica 24 agosto 2014

EstensEat



Questo post non vuole essere un’indicazione enogastronomica esaustiva di Ferrara quanto piuttosto un brevissimo tour della nostalgia ed un omaggio alla città.
Non sarò obiettivo, lo devo anticipare, ma seguirò solo motivazioni affettive e personali, quindi nessuno si senta dimenticato se qui non viene ricordato. Del resto non sono un gran frequentatore di ristoranti e locali pubblici, e non intendo recensire nessuno, solo dire dove mi capita di andare a pranzo o a cena quando posso, e mi fa piacere condividere con te che mi leggi questo mio girovagare.


Comincio dal posto più fuori mano, ma sempre a 15 minuti dal centro, a piedi. Vi sono da più tempo affezionato, ed è la Gigina, appena fuori le mura, in via San Giacomo 51, a due passi dal multisala Darsena City, in un edificio rimasto miracolosamente intatto dopo le modifiche che hanno toccato la viabilità (e non solo) di quella zona. Ci andavo da giovane, per un panino ed una birra, la sera. Ora, come allora del resto, ci si trova cucina tipica ferrarese. 
Non male, tra le altre offerte, l’abbondante fritto misto all’italiana.
Qui trovi due link relativi alla Gigina (La pagina su Facebook, La Gigina Photo)


Spostandosi da tutt'altra parte, arrivando di fronte alla chiesa di San Benedetto, in Corso Porta Po, angolo Don Tazzoli, trovi la Cantinetta, bar paninoteca, per un pranzo o una cena veloci. Specialità il pano della casa, con pane toscano. Ottima la birra. Qui un riferimento in rete.



Impossibile dimenticare, e quindi da provare, Orsucci da Armando in Via Saraceno 116, un locale unico nel suo genere, che prepara ottime piccole pizze e ceci (la farinata, di origini liguri) da consumare serviti su un foglio di carta, senza posate. È una delle botteghe storiche di Ferrara, premiata per la sua lunghissima attività in città. Qui il sito del locale.




Molto simile, la Pizzeria Giuseppe  di Benini Gianluca  in Via Carlo  Mayr  71, a due passi dall’ingresso del Cinema Apollo. Qui una recensione del locale.
Anche qui pizze piccole e ceci, ma una salette interna e più spazio per i clienti. Quando non ci vado da un pò mi manca.







l’Enoteca al "Brindisi" (già Hostaria del Chiucchiolino  a.d.1435 ) via Adelardi 11, accanto al duomo, non ha bisogno di presentazioni, è il locale più antico di Ferrara, il vino è ottimo e servito a bicchiere, il personale gentilissimo, e la cucina tipica ferrarese è di casa. Qui il sito del locale, da leggere.
I cappellaci di zucca li consiglio.


Cappelli, in via Ripagrande 4-6, non è solo ristorante, ma anche panificio e pasticceria, e verso mezzogiorno è frequentato da impiegati che lavorano in zona. Anche qui, cucina tipica, oltre a pasta fresca e dolci da portare via. Questo il sito.



Non si può passare da Ferrara e non aver assaggiato il pane ferrarese, sarebbe un delitto. Orsatti Gianfranco, panificio e molto altro, in via Garibaldi 100, è il posto adatto per comprare ed assaggiare la coppia ferrarese, la ciupeta. Sono sicuro che anche altre golosità attireranno la tua attenzione. Questo è il sito di Orsatti con i prodotti tipici ferraresi.
Nel periodo invernale il pampepato è da assaggiare assolutamente.

Da Giovanni invece non sono mai stato, forse non è un posto adatto a me, ma per chi può permetterselo ricordo che si trova in piazza Castello, in pieno centro storico, tutti lo possono indicare, e anche Bassani lo ricorda nel suo libro più famoso:
La sera seguente, appena finito di cenare mi spinsi in bicicletta fino a un centinaio di metri dal ristorante. Volevo controllare se Malnate ci fosse, non altro: e difatti, dopo aver appurato che effettivamente c’era (sedeva come d’abitudine a un tavolo all’aperto, con addosso l’eterna sahariana color crema), anziché raggiungerlo, tornai indietro, andando ad appostarmi in cima ad uno dei tre ponti levatoi del Castello, quello appunto di fronte a Giovanni. Calcolavo che in questo modo avrei potuto osservarlo molto meglio, senza pericolo di esser notato. E così fu. Col petto appoggiato all’altezza del cuore contro lo spigolo di pietra della
spalletta, lo osservai a lungo mentre mangiava. Guardavo, laggiù, lui, gli altri avventori schierati in fila col muro alle spalle, il veloce andirivieni fra i tavoli dei camerieri in giacca bianca, e mi pareva, sospeso com’ero, nel buio, sull’acqua vitrea del fossato, di essere quasi a teatro, spettatore clandestino di una rappresentazione piacevole e insensata. Malnate era ormai alla frutta. Spilluzzicava di malavoglia un grosso grappolo d’uva, un chicco dopo l’altro, e ogni tanto, certo aspettandosi di vedermi arrivare, volgeva vivamente il capo a destra e a sinistra.” Da, Il giardino dei Finzi-Contini, di Giorgio Bassani. Qui la presentazione del locale.

Sotto ho inserito anche una piccola piantina della città di Ferrara, dove ho evidenziato con piccoli segni rossi i locali. A te individuare dove si trovano, se ti interessano.






                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

venerdì 22 agosto 2014

Sarà vero che “si uccide chi si ama”?


Ti uccido per educarti,

non ti salvo da quello che conosco.

Forse dovrei, ma non sarei buon padre,

non vivresti la tua vita,

non vivresti la tua morte.



Io vivrò la tua morte al posto tuo

se la sorte mi riserverà questo,

ma lo farò per breve tempo,

prima di uccidermi a mia volta

per i miei imperdonabili errori.



Se potessi mutare il mondo lo farei,

senza pietà, ma poi con mille ripensamenti.

Meglio che io non possa farlo, quindi.

Che la bellezza ti accompagni per sempre,

sino all’ultimo istante.


Questo pensava nella consapevolezza della sua impotenza, nell’ammissione di una sconfitta epocale e generazionale, offrendo idealmente il fianco alle mille critiche e le sue scelte immolate al senno del dopo. 

E leggeva di vie per la salvezza improbabili, di prime pietre scagliate da chi per fede non avrebbe mai dovuto farlo, di negazioni di responsabilità e di sogni per un futuro aleatorio e confuso.
E provava a litigare con chi non lo meritava o, peggio, non avrebbe capito.

Sarà vero che “si uccide chi si ama”? A volte ne era convinto, in altri momenti pensava invece che questa fosse solo una visione romantica decadente, sostanzialmente parziale, perché si uccide anche chi si odia, gli sembrava evidente.

E se si provasse a non uccidere più?

immagine: Marc Chagall - Lovers in Blu
citazione da Oscar Wilde - La ballata del carcere di Reading.
                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

I Buskers a Ferrara



È dal 1988 che i suonatori di strada, verso la fine d’agosto, arrivano a Ferrara, a regalare vivacità (ed a portare una ventata di mondi lontani) per diversi giorni nelle vie del centro con la loro musica e le loro animazioni. 
È diventata ormai una tradizione che non si è interrotta neppure nell’anno del terremoto, il 2012.

 

Io ne ho viste tante di edizioni BuskersFestival, sin dall’inizio, per il legame indissolubile che mi unisce alla mia città natale, ed è sempre stato un ritorno o un ritrovarmi in piazze e vie che conosco da quando ero un ragazzino.

 

Con mio figlio piccolo abbiamo ammirato mimi e altri artisti che a lui piacevano, spostandoci a piedi o in bicicletta. 

Ormai manca poco all’edizione 2014, che è già partita, ma non è ancora arrivata in città. Il programma di quest’anno lo trovi QUI.




La storia delle edizioni passate è anche su Wikipedia, (eccola)


 

A me spiace di essermi perso Lucio Dalla e tanti altri, in compenso ho visto i Modena City Ramblers ed artisti meno famosi ma bravissimi, o a loro modo particolari.


Raramente ho fatto foto, e non so neppure spiegarne il perché visto che la fotografia solitamente mi interessa, ma le edizioni del 2010 e del 2011, in due serate diverse, le ho fotografate. 
Ho visto uno strano busker-albero, mi sono divertito vedendo ballare la taranta, ho assistito a concerti condotti in modo professionale ed ho ascoltato musica triste ed allegra.


 
Ferrara si rianima, dopo il torpore estivo, con i buskers, anche se questa estate è stata anomala, diversa, piovosa, ed ho portato notizie tragiche dal mondo. 



Spero che gli artisti di quest’anno, provenienti da Iran, Polonia, Germania, Italia, Ungheria, Spagna, Capo Verde, Brasile, Portogallo, Mongolia, Regno Unito, Israele, Francia, Turchia, Austria, Slovenia, Afganistan  e da tanti altri Paesi portino anche un po’ di speranza. 


L'ultima immagine non riguarda i suonatori di strada, ma una delle più tipiche pizzerie di Ferrara, Orsucci, da Armando, in via Saraceno. Se si arriva in città e non è strapiena vale una puntata.

Il sito ufficiale della manifestazione
FerraraBuskersFest su Facebook
                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

giovedì 21 agosto 2014

Un parco per la Pace

Parco per la Pace, sul monte Zugna, a Rovereto.










 Il Baldo Veronese, le Bocche di Navene e l'Altissimo di Nago.

 Dallo Zugna si domina la valle dell'Adige a sud di Rovereto. Qui si vede Ala e, sullo sfondo, il lago di Garda.
 Dalle fortificazioni ora in rovina, divenute Parco per la Pace, si vede il Monte Bondone, la montagna di Trento


La piana della Valle dell'Adige. Trento si scorge, tra le montagne.
                                                                       Silvano C.©

( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

mercoledì 20 agosto 2014

Sperando che non sia troppo tardi


Pragmaticamente so che nessuno è del tutto esente da piccole o grandi colpe, a volte veramente piccole, in altri casi inaccettabilmente grandi.

Senza entrare nello specifico, perché ognuno si può informare come crede, se vuole, e trovare tutte le informazioni che desidera a conferma di questa osservazione, ogni donna ed ogni uomo di fede sincera dovrebbe fare un passo indietro, e sgombrare il campo da ogni premessa di tipo religioso se desidera veramente porre fine alla spirale di violenze che sembra non volersi fermare, in troppe parti del mondo. 

L’uomo di fede è innanzitutto un uomo, anche quando ricopre la massima autorità ed è seguito da milioni di fedeli. E parlo non a caso di uomo, perché quasi sempre è un uomo al vertice di una struttura religiosa.
Inoltre, specialmente se rappresenta un’istituzione con secoli o millenni alle spalle, non può ignorare gli errori storici, le persecuzioni, le guerre, le torture e le atrocità commesse a danno di altri esseri umani colpevoli solo di non professare quella sua stessa fede, o di appartenere a popolazioni non ancora illuminate dalla luce della verità portata dalla spada.

Oggi la barbarie sembra ripercorrere strade antiche, medievali o addirittura precedenti, e la vita umana quasi non ha valore. La sola differenza rispetto al passato è la diffusione mediatica dei fatti, con notizie che arrivano istantaneamente, mentre avvengono, o poche ore dopo.
Anche quando questo non succede possiamo ugualmente immaginarlo, e dopo in ogni caso ne troviamo le prove, sotto forma di fosse comuni, ormai senza responsabili apparenti.

Non è dalla premessa religiosa che ci arriverà la salvezza - ammesso che non sia già troppo tardi - ma dall’uomo che dimentica almeno un po' la sua fede e ritorna uomo. Ma, cosa essenziale,  prima di scordare la sua fede serve un’ammissione di colpa. Non certo per colpe personali, bensì per le colpe del passato commesse in nome della fede che lo sorregge oggi. 

Per molti questo è inaccettabile ed è quasi illusorio aspettarselo perché supera ogni concetto di dialogo interreligioso. Scavalca lo stesso Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, per rimanere nel campo della religione cattolica, che evidentemente non è stato sufficiente, vista le notizie che ogni giorno ci entrano nelle case.

Non parlo poi dell’integralismo - ovviamente condannabile in ogni sua forma - che può essere anche laico quando diventa ostinato ed intransigente ateismo imposto e non liberamente scelto.  

In questi giorni si ricorda uno statista italiano nato in Trentino quando questo era ancora sotto l’Impero Asburgico, che fu tra Padri Costituenti e tra i fondatori dell’Europa moderna. L’episodio che contrappose all’allora papa Pio XII quest’uomo di fede incrollabile rimane nella storia, ed è la prova che, quando serve, prima della fede viene qualcosa di ancora più importante: la dignità delle proprie idee e dell'uomo.

Per la pace nel mondo serve questo tipo di umiltà (cioè ammissione delle colpe) e di fermezza. Le armi possono venire solo dopo, e mai in nome di Dio.

                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

martedì 19 agosto 2014

Il mio Walter ego


Informativa sulla privacy
Avevo un pesciolino rosso, quando mio figlio era piccolo. 

Lo chiamammo Walter e lo portammo persino in vacanza con noi, un anno, senza capire mai se alla fine il viaggio fu anche di suo gradimento.


Da allora mai più nessun animale domestico. Gli animali che vogliamo tenerci vicini hanno bisogno dei loro spazi, e bisogna rispettare la loro natura. Non bisogna trattarli né da oggetti nè da sostituti umani. Io non posso garantire queste condizioni, e quindi, pur amando moltissimo i gatti, non ne possiedo alcuno.

Ho un amico immaginario e virtuale che mi fa vivere una vita parallela, non meno reale però di quella a contatto diretto con le persone fisiche, che a volte sudano, fanno rumori strani, sono ingombranti ma possono invitarti a cena. Potremmo chiamare Walter questo amico.

Alter ego. Se poni l’attenzione sul sostantivo capisci che è tutto un programma. È trasparente, e non mente. Quindi ascoltalo, lui ti dice la verità. Ed io ci coltivo l’io. L’alter ego del resto sostituisce il titolare, quindi ne è una sua estensione, un’amplificazione dell’ego. Come il sosia del dittatore agorafobico, di Pennac, che si prende tutti i fastidi e lascia al dittatore la bella vita (evito di dirti la conclusione del breve romanzo se non hai letto “Ecco la storia”).

                                           ---------------------------
Walter entra in rete. 

Prima risponde ad un cortese anarchico che ha deciso di dargli spiegazioni sull’anarchia, ma si rende conto che parlano linguaggi diversi, che la stessa impostazione della loro vita è apparentemente inconciliabile, anche se capisce molte delle motivazioni e delle osservazioni del suo interlocutore. Sono le modalità di cambiamento che non li vedranno mai condividere le scelte, ma il dialogo è positivo, pur nelle diversità.

Poi si interessa di un’orsa portata in una terra fortemente antropizzata, dove si trova evidentemente a suo agio e dove la popolazione di orsi, che stava per scomparire, ora è in costante crescita. Gli orsi sono grandi e grossi, ed in passato, in quella terra, sono stati combattuti ed abbattuti da agricoltori ed allevatori. La convivenza sarà sempre più difficile, pensa Walter, se il loro numero continuerà ad aumentare. In altri Paesi confinanti li abbattono senza molti problemi, qui vedremo come andrà a finire. Del resto aumenta pure il numero di lupi, in quella terra antropizzata, e sembra che il bosco poco a poco scacci l’uomo. 
Questo non potrà mai avvenire, però, sia per la pressione demografica umana sia per il bisogno oggettivo di curarlo, il bosco, ricavarne legname e proteggere allo stesso tempo l’ambiente da frane, incendi ed altre calamità naturali sempre possibili in zone idrogeologicamente fragili come le nostre.

Legge frasi intelligenti, altre stupide, cerca di pubblicizzare persone che ritiene ne valgano la pena, e si rende conto che appartiene ad una comunità, che ha regole, che è mutevole, con la quale deve misurarsi. 

 E si sente inadeguato, non è - e non vuole - essere una guida, non desidera fondare un partito politico, non è capace di scrivere un libro, gli basta esprimere alcune sue idee ed essere ascoltato da qualcuno. Le cose importanti che vorrebbe per il suo primo ego non dipendono da lui. Ed il suo primo ego in fondo neppure gli chiede di darsi da fare per ottenerle. Sa che è un momento difficile, per tanti, se non proprio per tutti, ed allora si lascia usare per raccontare, e diventa la sua voce, la sua parola, e tanto basta.
                                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

Post più popolari di sempre

Post più popolari nell'ultimo anno

Post più popolari nell'ultimo mese

Post più popolari nell'ultima settimana