lunedì 2 giugno 2014

Cassiano


Sticasso Stefano, Cassiano. In fondo quello è il soprannome meno offensivo che gli amici gli costruiscono addosso e col quale per lungo tempo lo chiamano senza che possa far nulla per evitarlo. In certi momenti usano pure SS, ed altri decisamente più squallidi che qui evito di ricordare per una sorta di pietà nei suoi confronti.
“Cognomen nomen”, insomma, l’uomo il cui destino era già tutto scritto alla nascita, bastava solo saper leggere i segni.
Tralascio gli anni giovanili, fatti di timidezze e figuracce, inquietudini e pratiche solitarie, grandi speranze e ancor più grandi delusioni, sino alla conquista di un’incerta maturità. 

Si laurea in Scienze Naturali e non in Lettere Classiche, malgrado la nascita a Latina, e questo è già un segno. 

Quando arriva fresco di nomina in provincia di Treviso, nel profondo nord, è tutto soddisfatto di essere il “professore”, visto che solo pochi giorni prima era il “disoccupato”, ma capisce subito l’ordine di grandezza della scala sociale quando inizia alloggiando in una piccola stanza in affitto precario e in nero, mangia panini da solo seduto sull’unica sedia appoggiato ad un tavolino traballante, gira con giacca e cravatta e si sposta in treno mentre il salumaio che gli prepara i panini mette una camicia a scacchi, non cura molto l’apparenza ma vive in una bella casa in centro e si muove su una nuovissima BMW.

È pieno di idee nuove di zecca (pensa lui), vuol fare il meglio che gli è possibile per dare a quei piccoli zotici che dovrebbe educare solide basi per affrontare la vita. Poiché ritiene che l’educazione sessuale sia importante (forse per evitare loro le sue esperienze frustranti), si reca in un centro religioso e affitta una bella cassetta con tanto di “imprimatur” e giudizi positivi di studiosi e pedagogisti riportati sulla custodia. La proietta in classe, tutto soddisfatto, ma certe scene sono troppo crude per i giovani pargoli, e rischia di essere linciato sul posto dai genitori che il giorno dopo chiedono la sua testa al Preside. In qualche modo l’incidente viene chiuso, e lui abiura, come molti anni prima aveva fatto ben altro personaggio, salvandosi così da guai più seri.

Pochi anni dopo, per spiegare i fenomeni geologici, costruisce nel suo tempo libero una struttura in legno e gesso che simula un vulcano, la porta a scuola, finisce di ultimare il plastico abbastanza ingombrante e pesante e fa allontanare tutti i ragazzi dal tavolo del laboratorio, perché loro vorrebbero stare lì, a pochi centimetri, ma è inflessibile, le attività vulcaniche sono pericolose. Infatti, durante l’eruzione esplosiva, tiene una mano troppo vicina al cratere e si amputa la falangetta del mignolo della mano sinistra.

Passano due anni. Decide di eseguire in classe la dissezione di un coniglio per mostrare l’anatomia di un mammifero e si fa portare da un alunno figlio di contadini, per il giorno programmato, un animale già ucciso e dissanguato, pronto per la lezione. Distribuisce le immagini in fotocopia degli organi interni e procede con la lezione, mentre i ragazzi sono molto interessati ed attenti, forse persino troppo.
Il giorno dopo, puntuale come il temporale che pochi hanno previsto, arriva a scuola il genitore di un suo alunno, si qualifica come segretario locale della LAV, la lega antivivisezione, chiede un incontro col Preside. Lui viene chiamato urgentemente in dirigenza mentre la classe rimane affidata ad un bidello e, praticamente, viene sottoposto a vivisezione sul posto. Il coniglio è vendicato.

Il professor Stefano continua a cambiare sede di insegnamento ma, malgrado tutto, è ancora entusiasta di quello che fa, e l’esperienza sembra non dargli alcun consiglio pratico per un comportamento professionalmente più distaccato.
È amato dai ragazzi della classe, e vuole dimostrarlo il giorno prima delle vacanze di Natale portando una bella torta che ha preparato lui il giorno prima.
È una torta di mele, quella che gli riesce meglio, bella grande, ed ogni alunno ne riceve quindi una generosa fetta, poco prima dell’intervallo di metà mattina. Durante il pomeriggio quasi la metà dei ragazzi accusa dolori addominali, diarrea e sintomi di vomito. Alcuni vanno al Pronto Soccorso ed una brevissima indagine individua la sua torta come la più probabile colpevole di una non grave ma chiarissima intossicazione alimentare. Viene denunciato d’ufficio, e trascorre le vacanze di Natale in modo pessimo, in attesa di notizie o provvedimenti a suo carico. Per fortuna tutti rimangono al massimo qualche ora in ospedale, nessun genitore presenta denuncia e lui se la cava con una lettera ufficiale di richiamo.

Dopo ormai trent’anni di insegnamento sa come evitare le situazioni pericolose, ma il destino maligno non lo perde di vista. Stefano accompagna con una collega la sua classe a Venezia, e durante la pausa pranzo si ritrovano a Murano in una piazzetta in centro, lontana da pericoli, senza troppi turisti, e si rilassa un po’, dopo aver controllato ancora una volta e contato tutti i ragazzi. Non visti però due giovani  esploratori decidono di allontanarsi per comprare qualche souvenir in un negozietto poco lontano e pensano di rimanere via solo una decina di minuti, quindi di non farsi neppure notare. Da perfetti incoscienti però allargano il raggio della loro esplorazione, si perdono, non sanno come tornare, mandano un sms ai compagni, che iniziano ad agitarsi, e la cosa non passa più inosservata. 
I due fuggitivi vengono ritrovati pochi minuti dopo. Non sono stati rapiti né sono annegati in un canale, in compenso è Stefano che riceve un duro richiamo dal Dirigente Scolastico, al rientro a scuola, il giorno dopo.

È il suo ultimo anno di servizio, poi andrà in pensione. È stanco, ma vuole fare le cose per bene, come ha sempre tentato di fare, e poco a poco si avvicinano le ore del suo commiato da un lavoro che gli ha dato tanto, anche in termini di disillusione. Un alunno che per tutto l’anno ha fatto il bullo, che evidentemente gli insegnanti non hanno capito o non sono stati in grado di aiutare, spesso coinvolto in risse, oggetto di innumerevoli tentativi di recupero e di ore ed ore dedicate solo a lui, al dialogo ed ai tentativi per renderlo un cittadino consapevole e rispettoso, con un profitto scolastico prossimo allo zero assoluto (–273,15 °C), non viene ammesso agli esami finali durante lo scrutinio con votazione a maggioranza. Stefano vota per la sua ammissione, è pure il docente referente per il progetto di recupero del ragazzo, ma non la spunta. Alla notizia della non ammissione il padre, non molto presente quando veniva invitato a scuola negli anni precedenti, è prontissimo a presentare, tramite un avvocato amico di famiglia, un ricorso circonstanziato nel quale accusa esplicitamente il docente referente per il progetto su suo figlio di gravi negligenze. Stefano finisce sul banco degli imputati, ed un ispettore mandato dall’ufficio provinciale lo accusa di errori formali, come verbali non firmati o risultati di verifiche non comunicati tempestivamente alla famiglia. I risultati, si saprà solo dopo, venivano invece inviati, ma non venivano comunicati dal ragazzo che falsificava la firma della madre, separata. Gli ultimi giorni a scuola sembrano un inferno e la pensione una liberazione per l’ormai vecchio insegnante.

Durante la prima estate da uomo libero Stefano fa piazza pulita di ogni traccia cartacea della sua attività da insegnante riempiendo quasi un cassonetto per la raccolta differenziata. Conserva solo pochi testi, gli altri li aveva già abbandonati a scuola.
Quando gli capita di ripassare davanti all’Istituto dove ha insegnato negli ultimi sette anni non prova alcun rimpianto o nostalgia. Gli alunni crescono e proseguono la loro vita altrove. I colleghi si trasferiscono o vanno in pensione. Il resto del personale subisce continue sostituzioni. Non ci si affeziona a vecchie mura o a qualche stanza, a corridoi e servizi, aule speciali e scale di emergenza, macchinette del caffè e piante piazzate nell’ingresso, cortili soleggiati col caldo e gelidi in inverno, scale e porte tagliafuoco.

                                                                                           Silvano C.©


( La riproduzione è riservata ma non c'è nessun problema se si cita la fonte, grazie)

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