venerdì 28 marzo 2014

Una serata ai Lidi


Rientra a casa verso l’una dopo mezzanotte, ma ormai potrebbe svegliare solo la moglie e la suocera, la figlia non abita più con loro perché già da alcuni anni è andata a vivere in città, nell’appartamento che ha avuto in eredità dal padre, il nonno di lei.
La suocera, nell’abitazione a fianco, in quel momento non la sveglierebbero neppure i botti di capodanno . Tutte le luci delle sue finestre sono spente. I cani, da parte loro, hanno collaborato, e non hanno abbaiato quando è sceso dall’auto. Sono solo corsi da lui per farsi dare una carezza in testa, e poi sono tornati nella loro cuccia, dentro il grande magazzino di fianco alla villa. Già, la villa. Suo suocero, con manie di grandezza - ben prima del tragico fallimento - aveva comprato quella villa in stato di abbandono ma con un grande parco, e lo aveva fatto per dimostrare a tutti dov’era arrivato partendo quasi dal niente, dopo aver vissuto per tanti anni in una casa costruita stanza dopo stanza, quando ancora questo si poteva fare. Poi ogni cosa era precipitata, con creditori, curatori, banche ed avvocati. Lo suocero quasi ci era morto subito, e comunque non aveva resistito a lungo, aveva solo rimandato la cosa di pochissimi anni.
Ora finalmente tutto sembra girare nel modo giusto, ma per arrivare a questo punto hanno dovuto vendere parte della villa, e dividere a metà pure il grande parco, creando un ingresso indipendente per i nuovi vicini. Hanno accettato di restituire grosse somme ad una finanziaria rimenendo quasi senza risparmi e la moglie, che per alcuni anni dopo la nascita della figlia non aveva lavorato, ora ha ripreso presso una ditta di import-export dove svolge un lavoro sempre più apprezzato, e grazie a questo porta a casa uno stipendio prezioso.
Pensa a tutto questo, mentre apre la porta di casa cercando di non far troppo rumore e poi appoggiare la borsa da viaggio e la valigetta accanto al mobiletto del telefono.
-         Ennio, ti aspettavo – Fa la voce mezza addormentata della moglie dal piano di sopra.
-         Arrivo Serena, ma tu dormi…-
Sale veloce le scale, e bacia la moglie che gli dice, prima di cadere riaddormentata, che ha chiamato Bruno. Ha intenzione di fare una cena nella sua casa ai lidi, e non devono mancare. È per venerdì, tra soli due giorni.
Lui registra l’informazione, e poi torna al piano terra, a sistemare un po’ le sue cose dopo i 5 giorni trascorsi a Pasadena al convegno internazionale di oncologia infantile. Ha relazionato per il suo gruppo di lavoro del Sant’Anna, ed ha ricevuto vari riconoscimenti, anche da medici di fama mondiale. Con l’inglese se la cava, quando non deve sostenere un dialogo troppo veloce, e con i termini relativi alla sua materia non ha difficoltà. Quasi tutta la letteratura scientifica, sin dai tempi dei suoi studi di medicina e poi della specializzazione sono in inglese, quindi quelli non sono un grosso ostacolo. Gli manca invece la lingua parlata dalla gente comune, cioè i giochi di parole e le mille frasi che non si possono tradurre letteralmente. E poi è convinto di avere una pronuncia impossibile, aggravata dalla deformazione dialettale emiliana, in particolare per quanto riguarda la esse. Ma ora per fortuna è di nuovo a Ferrara, e per un po’ può permettersi di dimenticare il problema.

Il giorno dopo in reparto qualcuno ha portato un paio di bottiglie di bianco frizzante del Bosco Eliceo per festeggiarlo, e riceve i complimenti di tutti, colleghi e primario, più la caporeparto ed alcuni infermieri. Il primario lo ha guardato come se lo vedesse la prima volta, gli ha fatto complimenti formali, è rimasto poco col gruppo e poi se ne è andato nel suo studio, seguito da Stefania. Cosa ci faccia nel suo studio non è dato sapere, è chiaro solo quello che fa con Stefania. Dovrebbe andare in pensione a breve, ma pare poco intenzionato a farlo, tanto il lavoro non gli pesa per nulla, visto che lo fanno tutti gli altri al suo posto.
Non ci sono cose particolari o urgenti ad aspettarlo. Il reparto, malgrado il riconoscimento internazionale, sembra in stato di abbandono. Si prevede ormai quasi imminente il trasferimento nella nuova sede di Cona, in quella landa sperduta nel nulla, i “Prati di Palmirano”, che per un ferrarese doc sono quasi sinonimo di luogo isolato e dimenticato.
Si ritira nel suo studio, e telefona a Bruno. Lo conosce da un paio di anni, cioè da quando, una volta che era andato ai lidi senza motivi particolari, giusto per rivedere i luoghi della sua giovinezza e trascorrere un paio di ore in tranquillità e da solo con Serena, gli era capitato di salvare dall’annegamento un ragazzino che si era spinto troppo al largo ed aveva trovato una buca nella sabbia, come succede che se ne formino ogni tanto, nel gioco delle correnti. Annegare nel mare dei lidi, con quella discesa lenta e chilometrica verso il basso del fondale è quasi impossibile, visto che ancora ad un centinaio di metri dal bagnasciuga non si affonda nell’acqua più del polpaccio, ma ogni tanto arrivano le eccezioni a confermare la regola. Aveva agguantato il ragazzino che era sparito sott’acqua poco lontano da lui e Serena senza difficoltà, poi lo aveva tenuto alzato, aspettando che sputasse un po’ di quel liquido che aveva bevuto e ricominciasse a respirare in modo regolare, quindi lo aveva appoggiato di nuovo sulla sabbia, assicurandosi che non sparisse di nuovo. La moglie si era un po’ spaventata, ma poi aveva iniziato a sorridere al ragazzino per tranquillizzarlo. In quel momento arrivò Bruno, che evidentemente aveva assistito alla scena da lontano, e dopo aver dato una sonora sberla al ragazzino, iniziò a ringraziare invitandoli a seguirlo verso il suo ombrellone, da dove suo figlio si era allontanato in un momento di sua distrazione. Si presentò come un funzionario della questura di Ferrara, e sulle prime Ennio si fece una certa idea di lui che in seguito dovette rivedere. Bruno era tutto l’opposto di quanto la sua funzione avrebbe dovuto far supporre. Donnaiolo senza regole, sposato con Daria e con un unico figlio, Luca. Lei gli permetteva le sue avventure con molta signorilità solo perché a sua volta non si faceva scrupoli di seguire anch’essa le sue passioni passeggere. In altre parole una coppia moderna e, a suo modo, felice e ben assortita. Esattamente l’opposto insomma del modo di concepire la vita di Ennio e Serena. Bruno però, visto quanto era successo al figlio, aveva iniziato poco a poco ad invitare sempre più spesso il medico a casa sua o a farlo partecipe di alcune sue iniziative, rendendosi pure conto delle capacità professionali e della considerazione della quale Ennio godeva nel suo ambiente. Una volta, incontrandolo in centro per caso, non gli nasconse di aver preso informazioni su di lui. – Ma lo sai che non avrei mai creduto che quello stupido di mio figlio sarebbe stato salvato da uno dei medici più promettenti ed in gamba del nostro nosocomio?- 
Il fatto è che Bruno lo apprezza quasi incondizionatamente, anche se lo considera un po’ bacchettone e troppo moralista, mentre lui non se la sente di ricambiare lo stesso giudizio, ma accetta ogni tanto i suoi inviti, evitando con cura quelli che gli fanno sospettare situazioni rischiose o imbarazzanti.
Al telefono l’amico gli spiega che ha intenzione di aprire la sua villa alle Nazioni, anche se la stagione non è ancora cominciata, perché il caldo inizia a farsi sentire. Lui e Serena non possono mancare, poi ci saranno anche l’avvocato Zanti, il Sergio con un paio di femmine da sballo e alcuni altri. Alcuni li conosce di sicuro, gli altri li conoscerà. Li aspetta tra le sette e le otto di sera. Cena sotto le stelle, se la sera lo permette. Oppure nel salone. Non ci sono problemi. E conclude in modo da fargli capire che non può mancare: - Stan vieni brisa at’iè un cujon. At salut, luminari… -

Con Serena decidono di portare una cassetta di Pignoletto, dovrebbe essere adatto alla serata, e se non lo sarà fa lo stesso, Bruno se la berrà quando gli farà comodo, e sulla qualità del vino non ci sono dubbi: è di una delle migliori cantine dei colli bolognesi. Arrivano con la loro Marea poco prima delle otto e trovano la zona attorno alla villa piena di BMW, Mercedes, Audi e pure una Macerati. A riceverli sulla porta è Bruno in persona.
-         Pensavo non arrivaste più. Ma quando cambi quel catorcio e ti compri un’auto? E, a proposito, benvenuti. Ciao Serena. Quando lo pianti e ti metti con me?-
Le risposte sono di cortesia, e vengono fatti subito entrare nel salone dove una ventina di persone stanno parlando con un brusio tipico da riunioni mondane.
Ennio si avvicina ad alcuni che conosce, e, poco a poco, lui e Serena vengono presentati ai nuovi. Battute ed allegria sono già a livelli di guardia, come se alcuni avessero già bevuto molto o fatto altro. La moglie viene rapita da un paio di donne, mentre lui si trova intrappolato in un gruppo di uomini che parlano solo di culi e fiche, o, in alternativa, di auto e vacanze piene di scopate. Sa stare al gioco, e conosce Bruno abbastanza per riuscire a controllarlo senza farsi coinvolgere se non ne ha voglia. Ma su altri della compagnia non sa ancora che pensare, quindi ride e fa qualche battuta pure lui, oppure racconta qualche balla sul Texas, da dove è appena tornato. Non è nuovo a situazioni del genere, anche se non sono la sua massima ambizione, e se vuole sa tener testa in discussioni simili a molti che di tali incontri sociali ci fanno una motivazione di vita.

La cena prosegue sullo stesso tono delle premesse, allentando ancora di più, se possibile, alcuni freni inibitori. Le battute si fanno pesanti, con allusioni sessuali che tutte le donne, mogli o compagne o amanti, sembrano gradire.
Ogni tanto lui lancia qualche occhiata a Serena, che per fortuna non sembra farsi impressionare più di tanto, ed anzi ha l’aria di divertirsi abbastanza, stando al gioco meglio di lui.
La cena si svolge nel salone, con tutte le vetrate rivolte alla spiaggia aperte, e sembra di mangiare sotto le stelle. Si sente la risacca del mare, e arriva l’odore di salmastro e di alghe seccate a riva. Anche lui ha bevuto, ma non troppo. Vuole fare il viaggio di rientro senza rischiare inutilmente e ci sono circa 60 chilometri per il ritorno.


La serata però non è ancora conclusa. Qualcuno passa fumo, altri si ritirano e tornano dopo qualche minuto con una nuova energia chimica nello sguardo. Un genio, poco prima di mezzanotte, decide che bisogna fare un falò sulla spiaggia. Ci sono diversi tronchi e molto legname portato dalle mareggiate invernali e primaverili, basta solo trovare quelli giusti ed appiccare il fuoco. Tutti escono, urlando e ridendo come ragazzini.
La musica dell’impianto della sala è al massimo, il fuoco che all'inizio non voleva saperne di accendersi inizia a diventare alto, e qualcuno balla illuminato dal riverbero delle fiamme e dalle luci della villa.
Un paio di ragazze ridendo e lanciando gridolini si spogliano, restano nude e ballano tra di loro. Non cercano neppure la scusa del bagno notturno, l’acqua è ancora fredda. Hanno solo desiderio di esibirsi, di godere dell’eccitazione che sanno di generare, ed infatti vengono ammirate da quasi tutti gli uomini, e presto sono separate una dall’altra e coinvolte dai più intraprendenti in balli che sono semplicemente un pretesto per toccare i loro corpi scattanti. Il semplice gioco della provocazione si è trasformato in qualcosa di diverso. Altre donne iniziano a pensare di imitarle, lasciando cadere parte dei loro abiti, ma una sirena ed una luce blu intermittente in avvicinamento sul vialetto della villa fanno rivestire in fretta le due ragazze, bloccando sul nascere le intenzioni di quelle che stavano per seguirle.
Bruno si allontana dal centro del gruppo per andare verso la villa e poi in direzione del parcheggio. Rimane via per meno di 10 minuti, e nel frattempo le luci blu smettono di lampeggiare e la sirena finalmente tace. Quando torna è sorridente, spiega che si è trattato di un falso allarme, e non dà altre spiegazioni.
-         Forza, la notte è appena iniziata. Non vi sarete mica preoccupati per questo contrattempo… -
Poi si avvicina a Ennio, come se si sentisse in dovere di dare solo a lui alcune spiegazioni, perché alla sua amicizia ci tiene sul serio. Spiega che qualche idiota nelle vicinanze ha chiamato la polizia, lui ha fatto vedere il suo tesserino alla pattuglia, ha ringraziato i poliziotti e li ha lasciati andare altrove a mantenere l’ordine pubblico. La mattina dopo ha già chi farà sparire dalla spiaggia le tracce del falò.
Ennio sorride, ma ne approfitta per accomiatarsi dall’amico e dalla compagnia, che nel frattempo ha ricominciato a urlare ed a ballare. Spiega che il giorno dopo ha impegni importanti, e saluta con un cenno tutti gli altri, mentre prende sottobraccio Serena che nel frattempo si è avvicinata a loro due.
-         Sei sempre il solito, Ennio -  gli dice Bruno ridendo…- e tu, Serena, ricordati che se vuoi divertirti sai dove trovarmi… -
-         Ciao, Bruno, grazie della bella serata – gli fanno loro due quasi con una sola voce mentre piano piano, un po’ sorridendo e molto assonnati, iniziano a tornare verso la loro Marea.

                                                                                Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

lunedì 24 marzo 2014

Nassénte, uno zattiere


Coi radaroli di Verona bisognava stare sempre in guardia, e il passaggio obbligato della loro zattera in quel nodo importante comportava sempre un rischio. Il vecchio Vestio, che guidava il gruppo, prima di imboccare l’ultima ansa che poi avrebbe fatto arrivare la loro imbarcazione col ricco carico all’attracco, non lontano dal ponte romano, era stato chiaro.
    Parlo solo io, e voi non scendete a terra se non quando ve lo dico, due per volta, mai da soli, e almeno tre sempre di guardia sulla zattera. Vi ho già raccontato cosa è successo quindici anni fa all’equipaggio di Albino. Non scordatelo. A Verona meno andiamo in giro meglio è. –
Nassénte lo ricordava bene, quell’episodio tragico. A Sacco non si era parlato d’altro per anni, e da allora le donne e le vedove avevano iniziato a pregare con maggior impegno ad ogni passaggio dei loro uomini o dei loro parenti ed amici quando questi si fermavano sulla riva accostando in una moia mentre scendevano dall’Alto Adige, per salutare e caricare le ultime cose prima di ripartire e arrivare a Brondolo, vicino a Chioggia, loro destinazione finale.

Poi non sarebbe restato loro che intraprendere il lungo viaggio di ritorno, di solito a piedi o con passaggi di fortuna su qualche carro, ma con minori rischi, usando la sempre necessaria prudenza e scegliendo con cura itinerari sicuri e compagni per gli spostamenti.



Arrivati e legata la zattera, Vestio aveva salutato un uomo che sembrava aspettarli, in alto, sull’argine. Poi era sceso a terra, e si era messo a discutere animatamente con quello, gli aveva passato un oggetto che poteva essere un piccolo sacchetto e poi era tornato indietro, salendo di nuovo a bordo sul legname reso scivoloso dall’acqua che lo inzuppava. Non aveva fatto parola di quello che si erano detti lui e il veronese che li aspettava, in compenso aveva messo in libertà i due più anziani dell’equipaggio, con l’ordine di ritornare entro la serata e di portare quanto concordato.

Nassénte era il più giovane del gruppo, e stava solo da un paio di anni con gli zattieri di Vestio quindi probabilmente non sarebbe sceso a terra, ma in fondo non gli importava poi molto. Se scendeva non poteva che avere occasione di spendere alcuni dei pochi soldi che aveva, e lui invece voleva metterli da parte per metter su famiglia.

Le cose andarono esattamente come aveva previsto. I due compagni tornarono prima che iniziasse a far buio sul serio, con due fagotti pieni di roba e con le facce soddisfatte. Poi nessuno più poté muoversi dall’imbarcazione, e mangiarono assieme pezzi di pane e formaggio, con piccole mele, innaffiati da un vino che sapeva di aceto. Gli anziani raccontarono della loro baldoria con due donne e di cosa avevano fatto con loro, spiegando con particolari sempre più spinti tutta la loro avventura, mentre il vecchio li ascoltava senza dar loro la soddisfazione dello sguardo decisamente interessato dei giovani.
-     Basta adesso. È ora di dormire. Domattina si parte presto, appena avremo l’autorizzazione del doganiere capo. Nassénte fa il primo turno di guardia, sino al tocco di mezzanotte. Perozzo gli da il cambio sino alla terza ora dopo mezzanotte, e poi, quando diventa più pericoloso, Nesto e Antón assieme, sino all’alba. -
Nessuno commentò le parole di Vestio, e si organizzarono per la notte, cercando un posto rialzato per dormire lontani dall’acqua dell’Adige che continuava a scorrere attorno e sotto di loro. Lui rimase presto da solo con i suoi pensieri, un bastone a portata di mano ed una scure dietro le spalle, appoggiato al carico, gli occhi fissi sulla riva e su ogni movimento nelle vicinanze. Ma non successe nulla, durante il suo turno, e seguendo il corso dei suoi ricordi gli venne alla mente l’incontro casuale con quella ragazza veneta che aveva visto l’anno prima, quando da Brondolo erano andati in gruppo a Chioggia prima di iniziare il viaggio di ritorno. Anzoa si chiamava, un fiore, alta quasi quanto lui, capelli nerissimi e occhi di fuoco, un corpo snello e nervoso. Era riuscito a scambiarci pure alcune parole, ed aveva saputo che lavorava in una corderia, proprio in città, e che non aveva ancora 18 anni. Da quel momento non aveva pensato che a lei. Dopo aver svegliato Perozzo per avere il cambio si addormentò pensando al suo angelo, e per lui il resto della notte fu tutto un lungo sogno.

La notte trascorse tranquilla. Il mattino presto arrivarono un paio di uomini armati, accompagnati dal veronese del giorno prima, uno dei due salì sulla zattera, guardò un po’ il carico facendo aprire un paio di casse, non ebbe nulla da dire e poi scese, facendo cenno che potevano staccare le corde e riprendere il viaggio. Ormai, alle prime luci dell’alba, la catena sull’Adige era stata rimossa.

Dopo Verona c’erano alcune pericolose ischie da superare, prima di arrivare a Legnago, l’ultimo scalo importante prima del tratto finale che li avrebbe condotti a Brondolo.



Bèpo era il loro intermediario alla fine del viaggio, quello che aveva già venduto ai veneziani il legname della zattera e conosceva i destinatari di tutta la merce protetta nelle grosse casse, proveniente dai territori del nord, anche dalla Stiria e dalla Baviera. Agli affari pensava Vestio, ma tutti loro avevano qualche cosa da commerciare o da barattare per guadagnare un po’ di denaro, anche se si trattava sempre di mercanzie di valore limitato. Quindi, arrivati a Brondolo, tutti si prendevano alcuni giorni di libertà, prima di intraprendere il lungo viaggio di ritorno a piedi, cercando sempre i gruppi giusti ai quali aggregarsi per evitare sorprese o aggressioni, e con le locande già conosciute dove sostare per passare le notti.

Nassénte sapeva già dove voleva andare, e si mise in viaggio di buona lena, con in spalla solo il sacco con le sue poche cose. La corderia era alle porte di Chioggia, e ci arrivò verso sera, quando ormai le donne e gli uomini che lavoravano in quella fabbrica se n’erano andati via. Trovò però alcuni ritardatari, che, alle sue domande abbastanza precise, seppero dirgli dove viveva Anzoa. Gli spiegarono anche che se veniva per lei perdeva il suo tempo, che era una ragazza difficile, che non ascoltava nessuno, e che non di rado aveva malmenato qualche ragazzo che si era fatto avanti nei suoi confronti in modo poco educato. In altre parole non aveva nessuno e non era promessa sposa a nessuno, questo aveva inteso lui. Stava in una casa povera con sua madre, vedova, e tre fratelli più piccoli, e per arrivarci avrebbe dovuto tornare indietro per la strada dalla quale era arrivato. Probabilmente c’era passato accanto senza saperlo.



L’incontro, il loro secondo incontro dopo il precedente dell’anno prima, avvenne mentre lui stava arrivando sulla strada e lei si trovava nel cortile davanti alla piccola abitazione bassa e richiamava le galline per rinchiuderle nel pollaio per la notte. Si fermò a guardarlo, probabilmente riconoscendolo, ma poi riprese a richiamare gli animali e girò la testa dall’altra parte.
-   Anzoa…-
Ebbe solo il fiato per pronunciare quel nome, e poi non gli uscì per un po’ nessun suono dalla bocca. Si avvicinò a lei, rimanendo sempre sulla strada però, e iniziò a rovistare nella sacca per cercare quello che aveva portato per lei. Un fazzoletto di seta di Rovereto, che gli era costato una piccola fortuna, ma che solo lei poteva indossare.
-     Cossa vustu? -  Chiese lei avvicinandosi curiosa.
Lui non seppe dir nulla, ma alla fine trovò il tessuto fine di seta, avvolto in un sacchetto di tela grezza, e glielo porse, con un sorriso imbarazzato. Gli fece capire che era un regalo per lei, e gli occhi le spiegarono che lui la pensava da un anno, ma non riuscì a dirlo con la bocca.
-     Per cossa mo me lo vustu donare? Xe tropo belo, ciò.  - Disse lei quando ebbe estratto dal sacchetto il fazzoletto ed ammirato quella seta finissima.
Nassénte finalmente trovò il coraggio ed il fiato.
-     Se me speti, vegno ancora, la prosima primavera. -
Poi, rosso come porpora, si voltò e ritornò sul mezzo della strada, e riprese il cammino per il ritorno a Brondolo.

-   Te speto, anca sa non so come te ciami. – gli urlò dietro lei. 
-   Nassénte - riuscì a dire lui, girandosi indietro e fermandosi un attimo prima di ricominciare a camminare.

(Storia parzialmente ispirata a fatti reali, ma non necessariamente avvenuti come qui raccontati dal sottoscritto)








                                                                Silvano C.©


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sabato 22 marzo 2014

quanti nomi ha il soffione...


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Piscialletto cresci svelto, non restar bambino, lascia quel cuscino



Gli fanno mettere dei vestiti che non gli piacciono, e gli altri lo prendono in giro per questo. Sono terribili i bambini tra loro, per il solo gusto di esserlo, perché si può fare, e perché quasi mai si rischia nulla a prendersela con uno più piccolo o più debole, più vigliacco o solo meno abituato a farsi valere.

Del resto lo sanno tutti che lui non sa correre, non sa arrampicarsi sugli alberi, ha paura di sporcarsi troppo e deve tornare a casa presto, altrimenti la madre lo sgrida, perché potrebbe ammalarsi, e in effetti si è già ammalato, quando era piccolo sul serio e qualche volta gli capitava di bagnare il letto.

Ma è vendicativo, non è buono per nulla, è solo costretto a mentire per non essere preso di mira in modo più violento e rimane al gioco sin quando regge. Non vuole essere isolato del tutto dagli altri e quindi, probabilmente senza rendersene contro, cerca alleati. Poi si rende conto che ogni sua reazione sarebbe sproporzionata, e sarebbe occasione per gli altri di tormrntarlo ancor di più.

Un giorno di pioggia però, ritornando con l’autobus dalla città, dopo essere stato deriso per quasi tutto il viaggio, si mette alle spalle di quello che lo aveva preso di mira più di tutti gli altri e, aspettando il momento giusto mentre si aprono le porte automatiche, lo spinge con forza nell’attimo preciso nel quale quello sta per appoggiare il piede sull’ultimo predellino.

Lo vede cadere nel fosso, tra erbacce e ortiche, e rimettersi in piedi velocemente tutto sporco di fango per ritornare indietro verso di lui, ma intanto le porte si sono richiuse e l’autobus riparte e si allontana.

Quello, una volta tornato a casa sua, verrà sgridato e forse le prenderà per essersi conciato in quel modo di ritorno dalla scuola. E lui sicuramente il giorno dopo avrà un problema nuovo, la cosa non gli piace, ma, e di questo ne è convinto, quello che va fatto, va fatto.



Tarassaco del prato, del giardino e del parco, del fosso e del bordo della strada. Quando desiderio ti chiama, tu sai che devi andare



Lei si presenta all’appuntamento vestita in modo elegante. Si sono sentiti solo al telefono, grazie ad una amicizia comune, e si incontrano la prima volta sotto la torre. Lui arriva in macchina, come concordato e, lei sale veloce, sperando che parta presto. Non desidera farsi vedere da chi la conosce. Lui non è sicuramente il massimo. Ha un’utilitaria, pochi capelli, sembra timido e senza alcuna esperienza, ma un paio di ore le possono benissimo passare assieme. Vanno in un posto non troppo lontano, trovano un bar con un giardino, si fermano e chiacchierano un po’. Lui sembra indeciso, e del resto lo è pure lei, ma in fondo è simpatico e spiritoso. Decide di rivederlo una seconda volta, circa dieci giorni dopo, perché entrambi hanno difficoltà a farlo prima.

Il secondo incontro, che è anche l’ultimo, si ritrovano come vecchi amici e decidono di fare un giro sui colli vicini. La giornata è bella, non troppo calda, e passeggiare sui prati ancora quasi deserti è piacevole. Trovano una panchina. Si avvicinano, timidamente, si toccano. Lui con i tenti tocca i suoi in un tentativo di baciarla, poi lei si arrende un po’ e lo lascia fare. Sente le sue mani che la accarezzano, e le salgono sotto la gonna, sino a sfiorarle le mutandine. Avverte un brivido, ma non ne ha voglia, o, per essere più precisi, non ha abbastanza voglia di lui. Continuano un po’ a toccarsi, ma ora entrambi hanno capito che la cosa non ha alcun senso. Lei guarda le piante di tarassaco con i loro fiori gialli e spera di tornare presto a casa e finirla lì. Lui capisce e con una scusa le chiede di anticipare il rientro.

Si salutano, una volta tornati in città con la promessa - che nessuno intende mantenere - di rivedersi e con un bacio a labbra chiuse solo a sfiorarsi.



Dente di leone, porto rassicurante per anime in cerca di sicurezze.



È del segno del Leone, segno di comando e di potere. Quando lo ritrova, anni dopo quella spinta dall’autobus, le cose son cambiate. Ora la comune amicizia infantile è trasformata in un rapporto più adulto ed è possibile riprendere un percorso nuovo, o solo interrotto.

La cosa diventa tanto importante che diventano inseparabili, ed iniziano a parlare quasi usando lo stesso linguaggio, le stesse similitudini e tic verbali, la stessa ironia. Trovano interessi comuni ed amicizie comuni. Finché dura si divertono anche a vestirsi in modo simile, ed è una stagione bella, per lui, che forse capisce solo in parte la realtà del loro rapporto, che si adagia su una sicurezza di comprensione mai provata prima.

Quanto poi possa essere illusoria lo capirà solo quando tutto sarà finito, quando l’amico se ne andrà una sera senza dare spiegazioni, mentre sino a pochi giorni prima non avrebbe avuto alcun problema a proporgli di andare con lui. È del segno del Leone, segno di comando e di forza di volontà, sa essere duro e sicuro, ed ha un indiscusso fascino sia sui ragazzi che sulle ragazze, e lui ha vissuto solo di luce riflessa.



Taraxacum officinale, perché ogni cosa ha un suo posto, magari artificiale, nel nostro bisogno di classificare il mondo.



Per un certo periodo si dedica alle piante infestanti, e tra gli esemplari che gli sono venuti meglio nel suo erbario c’è il Taraxacum officinale. La tavola è preparata a regola d’arte, su cartoncino, e la pianta perfettamente essiccata è tenuta in posizione con striscioline di carta sottile. La scheda riporta tutti i dati tassonomici, data, luogo, e nome del classificatore.

Ora quell’erbario, dopo tanti anni, sarà stato sicuramente buttato.



Radicchio, e ricordi.



Sua nonna li raccoglieva, ne è quasi certo, anche se non lo ricorda più tanto bene. Li raccoglieva e poi li mangiava, ma a lui non piacevano; erano amari e non voleva saperne.

E ne erano pieni i prati, i bordi dei fossi, il limitare delle strade di campagna, gli argini dei fiumi. I migliori erano quelli teneri, senza le gemme del nuovo fiore composto che avrebbero prodotto, e cresciuti lontano dalla strada, in mezzo ai campi. Oggi, ogni tanto, raramente a dire la verità, va a raccoglierne qualcuno, se si allontana appena un po’ dai percorsi stradali più battuti, lontani dalle auto.



Cicoria selvatica,o dell’ebbrezza della vita, che dura quanto dura.



La gonna che svolazza mentre va in bicicletta e mostra un po’ di più di quello che sarebbe conveniente ma che sarebbe tuttavia un peccato non esibire, senza intenzione di far nulla ma non senza la malizia di chi ancora non ha capito tutto, ma che tutto ha sicuramente intuito.

E poi l’aquilone, preparato nel mese di aprile, e lei che corre trascinandolo con quelle gambe lunghe per vedere se si alza in volo raggiungendo la corrente di vento un po’ più forte.

E ancora quella volta, in soffitta, con un’altra, quando iniziano a giocare con un ragazzino e vengono interrotti da qualcuno che li sta chiamando, da sotto. Una ragazzina selvatica quasi quanto una certa varietà di cicoria dei campi.



Soffione, ed è subito volato via.



Ogni volta si stupisce quando ne vede uno, eppure è la stagione giusta, durerà ancora mesi, quindi ne vedrà ancora tanti. Qualcuno lo prenderà in mano strappandolo col suo gambo, delicatamente, facendo attenzione a non rompere quell’armonia perfetta per il gusto di poter disperdere poi con un unico soffio nell’aria quei minuscoli frutti secchi muniti di paracadute personale.

Prima stavano tutti vicini, nati e cresciuti assieme, ed ora ognuno di loro è portato dall’aria al suo nuovo destino, che può essere fortunato, se potrà dar vita ad una nuova piccola piantina, oppure no, se cadrà in acqua o sul cemento, o mangiato da qualche insetto. A tutti però è data la possibilità di provarci, o almeno di tentare.



                                                               Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

venerdì 21 marzo 2014

#Brustlina 12


Le cicogne sono grandi

Già son passati molti anni e la Grecia è da un po’ che non la vedo, ma la conservo nel cuore. 

Ad esempio quella salita a piedi sul Licabetto di Atene in Agosto, verso le 2 del pomeriggio, perché, ci eravamo detti, non è possibile visitare solo l’Acropoli. 

Ma ricordo anche quel giorno a kalamata che tornando all’auto un anziano greco mi disse, indicando uno pneumatico:
-λάστιχο - che io intesi come “elastico”…e pensai:
-         Ma questo è stupido, certo che la gomma è elastica… -
Subito dopo però capii. Avevo forato. E non ho più scordato come si traduce pneumatico in greco.

E mi è rimasta per sempre nella mente l'immagine della nostra auto come la trovammo dopo una breve puntata ad una spiaggia della Calcidica. L’avevo parcheggiata sotto un albero, che al nostro arrivo sembrava un po’ spoglio ma che al ritorno trovammo occupato da decine di cicogne...


                                                                    Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

martedì 18 marzo 2014

Bicicletta, cucchiaio, mela - Bicicleta, Cullera, Poma


Pasqual Maragall, il sindaco di Barcellona ai tempi delle Olimpiadi del 1992, ha tenuto nel 2007una conferenza stampa nella quale dichiarava di essere affetto dalla malattia di Alzheimer, che si stima colpirà in tutto il mondo oltre l’uno per cento della popolazione entro il 2050.
Questa malattia fa dimenticare i ricordi, svuota la mente, fa sparire la personalità delle persone.
Carles Bosch sulla vicenda ha realizzato un documentario, in catalano, che ha vinto nel 2011 il Premio Goya, raccontando i primi due anni di malattia di Maragall.

Ciò che mi colpisce è che una delle tre parole slegate tra loro citate come esempio ed usate nei test per diagnosticare la malattia sia bicicletta, un termine semplice per un oggetto comune, un mezzo di trasporto tra i più diffusi, e questo mi fa scendere la tristezza, visto che sono nato a Ferrara, città delle biciclette.




                                                                Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

lunedì 17 marzo 2014

Annetta e Gustina, le due zigherane


Annetta e Gustina, sorelle di 17 e 19 anni, partono ogni mattina a piedi dalla loro casa di Mori per andare a Sacco, dove lavorano già dal 1864 nella nuova fabbrica, la Manifattura Tabacchi, aperta nel 1854, che l’Austria ha concesso di costruire in quella zona già nota da secoli come punto di commercio importante per i traffici lungo l’Adige, e sede di varie associazioni di zattieri, ma in lento declino negli ultimi anni. Sacco infatti, dal 1584, gode del diritto esclusivo delle spedizioni con zattere sull'intera tratta Bronzolo-Verona, ma l'ultima autorizzazione ufficiale è concessa da Maria Teresa nel 1744 e col 1806 non è più in vigore.



La nuova fabbrica impiega specialmente donne che vengono da Sacco, da Rovereto e dai paesi vicini, e questo porta un po’ di benessere in molte famiglie, che altrimenti avrebbero grosse difficoltà economiche.
Con la stagione favorevole le due sorelle attraversano il torrente Leno a guado, ma non è raro che siano costrette ad allungare non di poco il percorso arrivando sino al ponte di Santa Maria per poi ridiscendere di nuovo verso l’edificio della Manifattura. Il Leno non è sempre tranquillo, e la sua corrente è insidiosa. È una fatica supplementare alla quale sono costrette con tutte le altre donne che vengono dalla zona a sud di Sacco, da aggiungere alle dieci ore di lavoro in fabbrica ed al non breve percorso a piedi. La maggiore delle due sorelle, una mattina, rischia di essere travolta dall’acqua del torrente e si salva per miracolo, ma perde il figlio. Era incinta al sesto mese, e dopo l’incidente non potrà più avere altri figli.
Le donne lavoratrici e i Comuni interessati cercano una soluzione, perché gli incidenti sono abbastanza frequenti e il tragitto si allunga di alcuni chilometri se non si può attraversare il Leno a guado.
Nel 1874 la soluzione possibile è quella di costruire un ponte in ferro, ma le autorità non hanno disponibilità per tale impresa, e si raggiunge un accordo con le operaie, le zigherane, che accettano di tassarsi per venti anni se i Comuni interessati sono disposti ad anticipare loro i soldi. Così trecento donne ogni mese iniziano a versare parte della loro paga per la costruzione di un ponte, che in tre anni viene ultimato, ed inaugurato nel 1877.
Annetta e Gustina, che intanto hanno raggiunto l’età di 24 e 26 anni, da quel momento possono andare al lavoro e poi tornare a casa, col bello ed il brutto tempo, senza dover allungare inutilmente il loro viaggio.

Diversi anni dopo, è passata la furia della prima guerra mondiale, Rovereto e tutto il Trentino sono divenuti territorio italiano, ma la Manifattura è ancora in funzione, ed ora fa parte dei Monopoli di Stato. Le zigherane non sono contente di essere costrette ad abbandonare i loro figli senza sicurezza, e iniziano una lotta per ottenere un diritto secondo loro fondamentale.
Sono donne dure, le zigherane, e sanno farsi valere. Nel 1924 viene inaugurato, a pochi passi dalla Manifattura, il primo asilo nido aziendale del Trentino. 
La nipote di Annetta, Maria, può quindi arrivare da Mori attraverso strade un po’ più sicure di quelle che aveva dovuto percorrere la nonna, e quando arriva al lavoro può lasciate Tonino nell’asilo, dove nelle pause può andare a vederlo.
 
Il 13 maggio 2012 viene inaugurato, a Borgo Sacco, il monumento alla Zigherana, ma quattro anni prima, nel 2008, la Manifattura è stata definitivamente chiusa.

(Alcuni fatti citati sono reali, la storia che racconto è tuttavia solo verosimile)



Zigherane, un mestiere scomparso
                                                                Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

venerdì 14 marzo 2014

L’anello debole



Siete veramente certi che in una catena il primo a spezzarsi sia sempre l’anello più debole, e che quindi sia quello a determinare la resistenza complessiva dell’intera catena? Se la risposta è NO, allora significa che non dovete leggere il seguito del post, ma che avete già riflettuto a sufficienza sul tema e non arrivate a conclusioni affrettate o sulla base di semplici sentito dire o luoghi comuni.
Se invece la vostra risposta è SI’, allora vi prego di seguirmi in questo elementare ragionamento. Pochi muniti, lo prometto. Del resto già vedete quanto è lungo il post complessivamente, e quindi sapete cosa vi aspetta.
È un’elementare legge fisica, intuitiva. L’anello deve reggere tutto il peso dovuto alla forza di gravità dell’oggetto che sostiene.

L’anello più in basso, ad esempio l’anello di una catena alla quale è attaccato il secchio che serve a sollevare l’acqua da un pozzo, deve reggere solo il peso del secchio, vuoto o pieno che sia.
L’anello più in alto, invece, oltre a dover reggere il secchio, deve reggere anche tutta la catena che gli sta sotto, che non è detto sia leggera.
Quindi, in quel caso, potrebbe benissimo spezzarsi l’anello più in alto, anche nel caso fosse il più forte di tutta l’intera catena.

Sin qui con la fisica. Allargando il discorso invece, perché è quello il mio scopo finale, è evidente che in una società nella quale tutti siamo in qualche modo legati gli uni agli altri, durante momenti di tensione come quello nel quale stiamo vivendo potrebbe essere uno qualsiasi dei suoi membri a cedere tra i primi, anche uno di quelli più forti. Tutti abbiamo bisogno degli altri, in qualche misura, anche se ci sentiamo garantiti dalla nostra posizione che riteniamo abbastanza sicura. Ma, e questo è ugualmente importante, ogni singolo membro non deve essere abbandonato a sé stesso, anche il più debole. La sua salvezza è la salvezza di tutti
Le conclusioni pratiche e comportamentali, se volete, ora scrivetele voi.

                                                                Silvano C.©


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mercoledì 12 marzo 2014

#Brustlina 11


Vuoi risparmiare un poco sulla revisione auto? Chiedimi come.

Dopo i primi 4 anni l’auto deve andare a revisione ogni 24 mesi. Se ad
esempio io devo sottoporre a revisione il mio veicolo entro il mese di marzo 2014 posso usarlo sino al 31 di marzo senza incorrere in alcuna sanzione, e prenotare in officina la revisione per il primo aprile. La sera del 31 la porto in officina e le operazioni meccaniche e burocratiche si svolgeranno solo il giorno successivo. Di conseguenza la prossima scadenza sarà non il marzo 2016, ma l’aprile 2016, spostando il termine di un mese. In altre parole io la sottopongo a revisione ogni 25 mesi, non ogni 24, con un risparmio di circa il 4 % su tutte le spese, tasse comprese. Ovviamente vado in officina se ho bisogno di controlli occasionali anche prima della scadenza di legge, ma in ogni caso un piccolo risparmio è assicurato. Di questi tempi non è da buttare via. 
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Aggiornamento del 6 maggio 2014
Ieri ho fatto la revisione alla mia auto, usando il metodo descritto sopra. 
La mia auto ha già alcuni anni, come si può intuire, ma funziona e non ci tengo a sostituirla con un modello più recente come fanno alcuni. Non ne avrei neppure la possibilità, anche se so benissimo che oltre un certo limite le spese di manutenzione rischiano di diventare eccessive e conviene cambiarla. Scelte di vita. Per me l'auto è un mezzo, non un fine.

                                                                    Silvano C.©


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martedì 11 marzo 2014

Uomini che hanno paura delle donne


Ormai è chiaro ad ogni uomo o donna che ragioni anche solo per un attimo a mente libera da preconcetti culturali, religiosi, educativi o sociali:
una certa quota di uomini, più o meno potenti, ha paura delle donne.
Alcuni hanno temuto la madre, altri temono la moglie, la compagna o l’amante, altri temono che possa diventare il loro capo o la temono perché lo è già.
Noomi Rapace

Alcuni non sanno rapportarsi con le donne se non su un piano di fisicità, cioè di maggior forza, ma, e fingono di non saperlo, sono molto più vulnerabili di loro sul piano della resistenza. L’organismo maschile è, a tutti gli effetti, fatto per durare meno di quello femminile, e la donna, infatti, a parità di condizioni di vita, vive a più a lungo. Nascono in % più maschi che femmine nella specie umana, la natura lo sa, e quindi è corsa ai ripari da millenni.
La vicenda delle quote rosa è persino ridicola nella sua ovvietà. Un gruppo di eletti formato in maggioranza da uomini decide che le donne le sanno rappresentare molto meglio gli uomini, più preparati ed intelligenti immagino, di quanto le donne medesime non saprebbero fare per esprimere sè stesse.
In altre parole, e qui sta l’assurdo, è il maschio che si arroga il diritto dell’interpretazione autentica del pensiero femminile. Semplicemente demenziale. Ed ai limiti, visto che è un tema oggi di moda, del conflitto di interessi.
Sono stanco dell’ottusità di alcuni e dell’atteggiamento calcolatore di altri, e sono pure insofferente nei confronti dei semplici provocatori, come quel personaggio che ha scritto in rete di non volere oltre a tanti uomini parlamentari incapaci anche tante donne parlamentari incapaci.
Ma tu, uomo che temi la donna, non ti autodefinisci il più intelligente ed il più forte?
                                                                Silvano C.©


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lunedì 10 marzo 2014

Un filo unisce le cose


Il 7 marzo, attorno a mezzogiorno, lei torna a casa dal negozio dove lavora per la pausa pranzo. Non arriva mai a casa, un autocarro la travolge e l’uccide mentre pedala, in centro, sulla sua bicicletta. Una bicicletta come tante, ma con un sellino posteriore dove evidentemente ogni tanto portava uno dei suoi nipotini.
Lui l’aveva vista non più di un mese prima, sempre sorridente ed efficiente alla cassa, una donna sportiva, abituata a camminare in montagna, vedova da alcuni anni perché anche il marito era morto a causa di un incidente. Ma la vita evidentemente le aveva riservato anche gioie, perché poi ha saputo che aveva avuto figli e nipoti, tanti nipoti.

I' 8 marzo un passante si ferma ad un incrocio in centro a Rovereto.
Nel punto dove il giorno prima una donna è stata travolta ed uccisa ora c’è un mazzolino di mimosa ed una piantina di primule. Impossibile per lui fermare la commozione, ma prosegue, e poco dopo passa davanti al negozio dove lei lavorava. Tutti i manichini hanno il viso coperto, in segno di lutto. Alla cassa, è quasi l’ora di chiusura, tutti i dipendenti stanno parlando tra loro, e lui prosegue, dopo un attimo di indecisione. Odia la curiosità morbosa ed invadente, anche se indubbiamente è curioso di molte cose. Fa pochi passi, e dietro un angolo, al buio, una voce gli chiede trenta centesimi. Si gira, vede un anziano, inoffensivo, solo, malfermo sulle gambe. Si cerca in tasca il portamonete, cerca un euro e lo mette in mano al vecchio. Prosegue, ma fa meno di 20 metri, si ferma e volge di nuovo lo sguardo verso il mendicante. Adesso cerca in tasca una banconota, e ne sceglie una da dieci euro. Ritorna sui suoi passi e all’uomo un po’ stupito mette in mano i soldi, che lui accetta e comincia a mettere nel portafogli. Gli chiede spiegazioni sullo strano discorso che prima gli ha fatto per ottenere l’elemosina, e scopre che forse è originario di Udine, ma che non ragiona più tanto bene con la testa. Avverte anche il tipico odore di alcol che il fiato del vecchio gli fa arrivare, anche se non è molto forte. Non sa più che dirgli, lo saluta o lo consiglia di mangiare qualcosa, di non bere soltanto. L’altro gli risponde: un panino, un toast, vanno bene?. Si vanno bene, vanno bene. E lo lascia con un sorriso.   
Poi il passante prosegue, diretto verso casa, e nel buio della sera non sa fermare quelle lacrime liberatorie, che dedica a lei.

Il 10 marzo lei ha il suo funerale. Il passante non è andato a quell’ultimo saluto, non la conosceva, non aveva con lei alcun legame. 
Ugualmente lui percepisce chiarissimo il filo sottile che unisce ogni cosa.

                                                                Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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