venerdì 28 febbraio 2014

i miei autori


Vorrei ricordare qui alcuni degli autori che ho letto (oppure dei quali ho ascoltato la versione delle loro opere in audiolibro) recentemente, e li elenco semplicemente, senza nascondere un po’ di senso di colpa nei confronti di tutti quelli (troppi) che invece non ho ancora letto e magari non farò mai in tempo a leggere, perché il nostro tempo non è infinito, e perché per troppi anni ho dato la precedenza a letture legate allo studio ed al lavoro. Poi faccio anche altre cose oltre a leggere, e talvolta a scrivere. Su alcuni di loro ho lasciato tracce sul blog, e li trovi facilmente se vai all’etichetta AUTORI. Altri li ho letti in passato, molti altri, ma andiamo indietro nel tempo di oltre uno o due anni.
 

Alicia Giménez – Bartlett

Anaïs Nin

Amara Lakhous

Andrea Camilleri

Arthur Schnitzler

Cesarina Vighy

Chiara Gamberale

Cristina Comencini

Daniel Glattauer

Elena Bibolotti

Ellis Parker Butler

Eva Cantarella

Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Franz Kafka

Gad Lerner

Gianrico Carofiglio

Giorgio Bassani

Ippolita Avalli

Isabel Allende

Italo calvino

Jean-Claude Izzo

Johann Wolfgang von Goethe

Flann O'Brien

Georges Joseph Christian Simenon

Gustave Flaubert

José Saramago

Leonardo Sciascia

Louis-Ferdinand Céline

Marco Malvaldi

Maria Bellonci

Mariolina Venezia

Michela Marzano

Michela Murgia

Miguel De Cervantes

Niccolò Ammaniti

Oskar Wilde

Paolo Rumiz

Paolo Sorrentino

Pedro Zarraluki

Stieg Larsson

Tullio De Mauro



Poiché non sono un critico letterario mi astengo da giudizi o recensioni se non in casi particolarissimi, e aggiungerò man mano gli autori che sperò leggerò ancora.
(PS del 21 gennaio 2016. Non aggiorno questo elenco, era parziale, lo diventerà sempre più col tempo che passa, ma non mi sembra essenziale)

l'immagine è di Folon: Autunno
                                                                Silvano C.©


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giovedì 27 febbraio 2014

Tu non hai mai vissuto una guerra


 Informativa sulla privacy
…Tu non hai mai vissuto una guerra. Io sì, e ti assicuro che non ho voglia di viverne un’altra. Le guerre, però, una cosa buona ce l’hanno, solo una: ci mostrano con grande crudeltà quello che stiamo per perdere… “  Tomás

Quando hai vissuto già ben più di metà della tua vita non hai più tante cose da perdere, sicuramente meno di quelle alle quali dovrebbe rinunciare un giovane, anche se pure tu hai molto, moltissimo, da perdere ancora. A parte la vita stessa, che ha un valore intrinseco, che tu lo riconosca o meno, noi sino all’ultimo facciamo progetti o abbiamo sogni irrealizzati che abbiamo messo da parte.
Uscendo poi dal nostro egoismo ci sono le persone a noi vicine che in qualche modo condividono attese e dolori, e se possibile anche i momenti felici.
Proiettiamo in (o lasciamo ad) altri un senso che a volte sembra sfuggire, e non abbiamo alcun diritto di far pesare i nostri malumori, pur fondati e giustificati.
Chi mi conosce abbastanza bene potrebbe scoppiare a ridere sentendo questa mia affermazione mettendo in fila uno dopo l’altro decine e decine di esempi di miei comportamenti contraddittori, ed a me non rimarrebbe che sottoscrivere questo elenco, per quanto lungo possa alla fine risultare.   
Eppure questa è la cosa che più mi toglie la pace negli ultimi anni: il senso crudele di continua perdita di sicurezze, risparmi, sacrifici e investimenti fatti per lasciare qualche cosa a chi verrà dopo di me, e non solo a mio figlio, ma ai giovani, a tutti i giovani, derubati anche del sogno.
Nel libro di Pedro Zarraluki, dal quale ho preso le parole di Tomás, la speranza rimane, e si può ripartire dopo errori ed abbandoni, tradimenti e cose non dette. E si rimane (o si diventa finalmente) sé stessi.

     (consiglio per la lettura: Il piacere e la noia di Pedro  Zarraluki )                                                                                                  
                                                                                            Silvano C.©

PS _ Solo con gli intolleranti val la pena di essere intolleranti, ed usare contro di essi il mezzo dell’ironia, se possibile, è sempre la scelta migliore.

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lunedì 24 febbraio 2014

Auguri e figlie femmine (Andrea)


Cammina tranquillo guardando le vetrine dei negozi chiusi da poco, la sera scende piano, e la gente in giro poco a poco si dirada. Passa un’auto, a bordo tre ragazze, più meno della sua età.
-         Dove vai tutto solo bel giovanotto? –
Lui si gira, incuriosito, e non risponde.
-         Se vuoi ti possiamo dare un passaggio, qui in periferia ormai l’autobus non passa più, lo facciamo volentieri…-
-         No grazie, preferisco camminare un po’…-
L’auto riparte senza che nessuna gli risponda, e lui continua a passeggiare guardando alcuni nuovi modelli di pantaloni di moda esposti in una sartoria artigianale e poi allunga il passo per non arrivare tardi a casa.
Decide di attraversare un piccolo giardinetto deserto a quell’ora, e intanto pensa a suo padre che gli ha detto di non far tardi, ed adesso inizia a fare tardi, quindi non è più il caso di perdere tempo in giro.
All’uscita dal giardinetto ritrova l’auto di prima sul marciapiedi, una portiera aperta, due ragazze sono scese e, senza che lui neppure se ne accorga si ritrova seduto sul sedile posteriore tra le due ragazze che lo hanno costretto a salire.
-         Sai che sei proprio carino – gli dice quella che guida mentre ingrana la marcia e parte.
-         Ha proprio un bel culetto, vero Marisa? – dice la ragazza seduta alla sua destra mentre allunga le mani su di lui.
-         Lascia stare il culetto, Anna, prova a sentire come ce l’ha – fa la ragazza che guida rivolta a quella che ha appena parlato.
Quella senza troppi complimenti gli mette la mano sulla patta dei pantaloni e lo stringe, guardandolo con gli occhi eccitati e cattivi.
-         Sembra che non gli piacciamo, eppure siamo carine e brave, come mai fa così, non siamo abbastanza belle per lui?-
Ora anche la seconda ragazza seduta dietro, quella alla sua sinistra, si gira e gli appoggia le mani in basso, poi con calma gli abbassa la cerniera e mentre lui è immobilizzato dalla paura, senza aria nei polmoni, incapace di emettere suoni, di parlare o di urlare.
-         No, il bel culetto non ha voglia di farlo con noi, e io mi sto arrabbiando. Stasera se non me ne faccio uno non dormo. Che si fa? Così non ci serve a nulla –
-         Tranquilla, lo lasciamo perdere e ne cerchiamo un altro. Prima però gli facciamo capire l’educazione, e che gli serva di lezione -
L’auto prosegue la sua corsa nelle strade ormai deserte, dirigendosi verso la campagna, e dopo meno di dieci minuti si ferma nel cortile di una casa colonica abbandonata da anni, fuori dalla vista di chi passa sulla statale.
-         Scendi carino – fa la ragazza che gli ha aperto i pantaloni tirandolo dalla sua parte e facendolo quasi cadere a terra, sulla ghiaia.
Poi tutto si svolge in pochi minuti che sembrano interminabili. Le tre lo circondano, gli abbassano i pantaloni e le mutande, lo deridono, una trova un vecchio badile e con quello gli da un colpo terribile sulle natiche, poi un altro sulle gambe, mentre lui cade finalmente urlando di dolore, ma nessuno oltre a loro lo può sentire.
Quella che guidava strappa di mano il badile all’amica e ordina alle altre due di girarlo pancia sotto.
-         Vediamo se gli piace il manico del badile più di noi, allo stronzetto–   dice con l’aria divertita avvicinandosi a lui.
In quel momento una sirena dei carabinieri, o della polizia, si avverte nelle vicinanze, le tre ragazze lo piantano a terra dolorante, gli buttano il badile addosso, salgono velocemente in auto e stanno pronte a fuggire. La sirena si avvicina e poi si allontana, non era per loro, ma intanto lui è riuscito a mettersi in piedi, seminudo, e si è spostato in una zona visibile dalla strada. L’auto riparte veloce e sparisce in un attimo dalla vista, e lui non ha neppure la prontezza di spirito di guardare la targa.
Si risistema, come può, si avvia verso la strada, a una trentina di metri, e poi si avvia verso la città, verso casa.
Meno di tre minuti ed un’altra auto si ferma di fianco a lui, ed il vetro del finestrino si abbassa.
-         Andrea, che fai qui? Vuoi un passaggio?- E’ il suo amico Luca, lui sorride, sale in auto, racconta di un improbabile errore che avrebbe fatto salendo su un autobus sbagliato e poi cambia discorso, sperando solo di poter arrivare a casa in tempo e di non destare sospetti. I vestiti che ha addosso sembrano a posto, solo un po’ impolverati, ma nulla di evidente.
A casa arriva una decina di minuti dopo il suo solito, e non deve neppure inventare scuse strane. Si rifugia in bagno, si spoglia velocemente, vede i segni dei colpi, ma per fortuna rimangono nascosti quando lui si riveste. Solo dentro di lui tutto è cambiato, non è più quello che era solo poche ore prima, e si vergogna da morire, vuole che nessuno sappia nulla di quanto gli è successo.
……………………………
Andrea frequenta il “Rifugio dell’uomo”, associazione che difende i diritti dell’uomo, che chiede la parità, l’uguale dignità, il riconoscimento della libertà di essere secondo la propria natura. Si interessa, assieme ad altri due compagni, della pubblicità sessista. In quei giorni è apparso in tutta la città il manifesto pubblicitario di una torrefazione locale, il “Caffè Bistrol”, che riprende un uomo di pelle olivastra, completamente nudo e di spalle, a figura intera, con in mano una tazzina fumante. La didascalia dice: “Sono nero e caldo, sono tuo” e sotto il logo della ditta. Hanno già segnalato la pubblicità al garante, ma ancora non hanno avuto risposta, ed i manifesti intanto restano ai loro posti.
Rimane nella sede un po’ oltre il suo solito, si ritrova con Amir, di origine araba, a scambiare due parole, prima di trovarsi più tardi con la sua ragazza, Giulia.
Lui gli racconta che in Italia siamo fortunati. In fondo è vero che il potere è in mano alle donne, che la Presidente della Repubblica è una donna, che la Presidente del Consiglio è una donna, che la Chiesa Cattolica ha una Mama e che ogni carica della gerarchia cattolica è riservata solo alle donne, ed è anche vero che gli uomini guadagnano meno delle donne, fanno carriera meno facilmente in questa società femminista, che la gravidanza delle donne è garantita in mille forme diverse mentre un uomo non sposato difficilmente trova impiego, ma potrebbe andare peggio.
In alcuni paesi gli uomini non possono neppure guidare l’auto, o non possono studiare, e se sono in pubblico una donna della famiglia deve sempre accompagnarli.
……………………….
Andrea non riesce a liberarsi di quel ricordo, si fida di Giulia, è una brava ragazza, probabilmente si sposeranno, ma neppure a lei ha mai confidato della violenza che ha subito quando aveva compiuto da poco 18 anni. Ancora oggi se ne vergogna. Giulia, del resto, è molto sicura di sé, non manca mai di frequentare la messa domenicale, ed è legata ad ambienti conservatori, anche se poi sa essere molto tenera nell’intimità e si rivela molto più aperta della maggioranza delle altre donne.
Un giorno, parlando con lui, lei gli ha confessato che la pastora ha sbagliato ad accusare i ragazzi se le donne li fanno oggetto di violenza. Non le sembra giusto che un ragazzo non possa permettersi di uscire di casa con una maglietta dalle maniche troppo corte, in estate, oppure con i pantaloncini se vuole fare un po’ di footing senza che si senta urlare contro i commenti più osceni ed allusivi. Si, Giulia è proprio una brava ragazza.
…………………………………..
Il momento più bello di Andrea è arrivato, oggi è il marito di Giulia. Attorno amici e parenti li festeggiano, lui tiene ancora dentro di sé quel segreto, ma ora è sicuro di aver superato quell’evento traumatico di quasi 10 anni prima. Sorride, alza il calice pieno di bollicine baciando la sua Giulia mentre tutti gridano:
 - Auguri e figlie femmine -

                                                                                   Silvano C.©


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domenica 23 febbraio 2014

Quello che


Quello che mi stupisce non è il povero che ruba per avere qualcosa di indispensabile alla sua dignità, quella che gli è rimasta almeno, quello non dovrebbe neppure entrare tra le notizie che si leggono in cronaca locale sui giornali. A stupirmi è chi invece rinuncia, da ricco, almeno in parte a quanto possiede, e non per un calcolo fiscale a lui favorevole, ma solo per un sentimento di giustizia ed umanità.

Quello che mi colpisce non è la donna che lotta giustamente per ottenere il pieno riconoscimento sociale, politico, religioso ed economico. Mi stupisce piuttosto il contrario, cioè la donna che subisce passivamente un mondo maschile imposto da una cultura neomedievale. E mi colpisce veramente l’uomo che difende il diritto della donna, capendo che così difende anche i suoi diritti.

Quello che attira maggiormente la mia attenzione non è la lotta di un popolo o di una minoranza oppressi, perché è componente tragica della realtà umana da millenni; è “normale”, ancorché ingiusta. E mi spaventa poi il vedere come queste lotte non di rado siano eterodirette, e portino a situazioni spesso peggiori di quelle di partenza. In questo caso ciò che mi stupisce è sempre l’eccezione: i tiranni, i guerrafondai, o i generali responsabili di atti gravissimi che ad un certo momento, pur forti ed inattaccabili, cambiano la loro condotta. Che sia pietà o calcolo da politica realistica non lo so, so solo che da un certo momento diventano forze di pace.

Quello che mi stupisce non è chi chiede il riconoscimento dei propri diritti, no, è chi riconosce di avere doveri ai quali non può venir meno.

Quello che non accetto è l’attacco di tutti contro tutti, in un circolo vizioso ed inarrestabile di parole che mutano in offese e poi in altro ancora, sino a soffiare su fiamme che poi diventano sempre più difficili da domare. Quello che invece è prezioso trovare è la saggezza lungimirante e ragionevole di chi cerca il dialogo, di chi compone le parti e cerca la vera pace, e penso a David Grossman o a Daniel Barenboim, fondatore della West Eastern Divan Orchestra.

Quello che non mi stupisce è che una ex ministra come Cécile Kyenge Kashetu si batta per l’integrazione, mentre mi colpisce molto di più se a farlo è una persona che vive in terra leghista, italiana da generazioni, bianca di pelle e che soffre pesantemente e direttamente le difficoltà che tutti vediamo per trovare lavoro, avere una casa ed una sicurezza per il futuro.

Quello che trovo del tutto naturale è che un gay voglia vedersi riconosciuto al 100% come cittadino con pari diritti e doveri di ogni altro, ma trovo molto più importante che a portare avanti le lotte dei gay siano anche gli etero, e che siano questi ultimi a lottare perché le differenze di genere o di giudizi sulle tendenze sessuali vengano superate.

Quello che trovo legittimo è che ogni donna si batta contro la violenza sulle donne. Quello che risulterà risolutivo tuttavia sarà solo l’ammissione di colpevolezza o responsabilità, se non altro per comunione di genere, da parte di ogni uomo nel contribuire a trasmettere una cultura distorta e violenta.


                                                                                Silvano C.©


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sabato 22 febbraio 2014

#Brustlina 9


Ho fatto due passi poco fa. Ho visto al suo solito posto un manifesto pubblicitario con la scritta a caratteri cubitali: MAI PIU’ CELLULITE, il tutto illustrato dall’immagine che si vede su questo post e che è di dominio pubblico in rete, cioè usata in almeno una trentina di siti o blog.
Non ho letto i particolari del trattamento consigliato o dell’istituto che lo propone, mi sono solo chiesto se questa ragazza decisamente giovane prima ha mai avuto cellulite e, subito dopo, perché non hanno messo l’immagine di sua madre, nella stessa identica posa, o almeno quella di una donna sopra i quaranta.
                                                                     Silvano C.©


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Chiacchiere da bar


Enzo entra nel bar e ordina una birra, si guarda attorno, ascolta un po’ i discorsi che gli arrivano dai pochi presenti e che per un po’ lo distraggono. Luoghi comuni e frasi fatte, oppure vere e proprie mostruosità. 
Finisce di bere, paga ed esce infastidito. Fa due passi, la sera scende piano, non ha impegni urgenti ad inseguirlo, deve ancora cenare e non ha intenzione di vedere nessuno, non le persone che conosce almeno. Si sentirebbe in dovere di raccontare e sfogarsi, e non desidera suscitare la pietà di nessuno. Le strade per fortuna gli permettono di ritrovare un minimo sé stesso, una leggerezza temporanea, ed entra dopo un quarto d’ora in un altro locale, ordina un panino caldo fatto col pane toscano, specialità del posto, ed un’altra birra.
Quando gli servono al banco su un piattino quanto ha chiesto inizia a mangiare con calma. Gli piace stare in piedi, lo trova meno imbarazzante quando è da solo, guarda le stampe alle pareti, luoghi che lui conosce ma immortalati com’erano secoli prima. Stavolta per fortuna nessuno fa discorsi idioti a portata delle sue orecchie, e così si immerge nei pensieri che lo tormentano e che vorrebbe rimuovere. Dopo aver finito sente ancora bisogno di qualcosa, ma è stanco di girare a vuoto, non ci sono film che lo interessino, e del resto tutti o quasi i “suoi” cinema sono ormai chiusi da anni. Esce, cammina ancora, ma stavolta si dirige verso il centro, dove c’è più gente in giro.
Entra in un terzo locale, dove non aveva mai messo piede prima, anche se sa che non dovrebbe ordina una terza birra, si siede su una sedia alta, vicino alla parete, ed appoggia il bicchiere sulla stretta mensola che segue il contorno di tutti i muri ad esclusione del bancone. La testa è sempre più leggera, ora è un po’ brillo e se ne rende conto. Attacca discorso, cosa che gli capita di fare sempre più frequentemente, anche solo per una battuta, con uno sconosciuto che gli siede vicino. Potrebbe avere più o meno la sua età, e probabilmente non ha cose urgenti da fare neppure quello, infatti dopo qualche minuto stanno parlando scambiandosi confidenze.
Enzo gli racconta di suoi problemi col figlio, mentre l'altro ascolta, annuendo di tanto in tanto, intuendo che non serve il suo intervento, ma solo la sua attenzione. Poi è il suo turno di quello, che gli narra di una sua vacanza finita male, si ferma, forse col dubbio di averlo infastidito, ma Enzo gli sorride, e l'altro continua così a raccontare di un suo amico e delle sue vicissitudini. La premessa è che le donne sono più forti degli uomini, e la dimostrazione è nella sua lunga storia. Racconta di questo amico un po’ particolare, sempre pronto a richiudersi in sé stesso e ad ingrandire ogni suo problema, apparentemente aperto ma fondamentalmente egoista, pronto a sparire per mesi o anni e ipocondriaco all’inverosimile. Sua moglie ha avuto grossi problemi di salute, comtinua, cose da far uscire di testa più di una persona, cioè ha dovuto affrontare in sequenza ed a brevissima distanza due interventi chirurgici per due diversi tumori, ed ha dovuto sottoporsi a chemioterapia, ma sembrava che l’ammalato fosse lui, non lei. È un immaturo che talvolta ha momenti di generosità che spiazzano, ma fondamentalmente è inaffidabile. Se non ci fosse stata lei, a sopportarlo, in poche lo avrebbero fatto. Spiega che l'amico probabilmente se ne rende conto, malgrado tutto, e che tenta di ricambiare, ma non sa sino a che punto. Lo frequenta di tanto in tanto, sempre meno a dire il vero. Problemi oggettivi ne ha tanti, certo, ma chi non ne ha, oggi, di questi tempi? No, non c’è nulla da fare. Quel mio amico, senza la moglie accanto, sarebbe probabilmente già crollato da un pezzo.
Enzo lo ha ascoltato, senza intervenire, e conviene senza fatica sull’importanza della moglie nel caso di quel suo amico, ma non è tanto sicuro che la donna sia sempre e solo salvezza per l’uomo. Ed ora, forse assalito da una lucidità di ritorno, non desidera più continuare il discorso, non ha più voglia di ascoltare o di raccontare, probabilmente avverte un certo chè di falso nel suo interlocutore occasionale. I suoi occhi che vagano in giro lo rivelano. Spiega che si è fatto tardi, saluta in modo frettoloso, si alza, paga ed esce.
E' svuotato e leggermente ubriaco,  non tenta neppure di raccogliere le idee che gli sono cadute per terra, le lascia lì, che chi passa le calpesti pure.
Cammina per la strada che conosce, ancora non ha capito nulla e la notte ormai è scesa.
                                                                                      Silvano C.©


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venerdì 21 febbraio 2014

un ferrarese non comune


Partiva ogni mattina da Borgo Scoline e, pedalando su via Ladino, raggiungeva in bicicletta la scuola elementare di Porotto dove insegnava, e questo anche in inverno, con neve, ghiaccio, pioggia o vento. Ma non era mica un eroe. Allora era normale. Tutti o quasi andavano solo in bicicletta. I mezzi pubblici univano alla città i paesi più grossi, non certo le frazioni sperdute come quelle poche case in croce lontane poco più di due chilometri dalla scuola.
Con sé aveva sempre una borsa di pelle, che agganciava al manubrio della bicicletta, e dentro ci teneva sia il materiale che doveva usare a scuola sia alcuni dei suoi quaderni di appunti con i quali, nel pomeriggio, si recava alla Biblioteca Ariostea o al Museo Diocesano, e si dedicava a ricerche su antichi testi o su vecchie epigrafi.
Non era sposato, viveva con la sorella, non gli interessava la carriera politica, e dedicava tutto il suo tempo alla scuola ed alle sue ricerche che poco a poco lo fecero conoscere anche fuori dai confini nazionali, lontano dalla notorietà però, solo in un ristretto gruppo di studiosi, come lui.
Come maestro consigliò i miei di iscrivermi alla scuola media, non all’avviamento, come sarebbe forse stato naturale. E così assieme all’esame di quinta elementare dovetti sostenere anche l’esame di ammissione alla scuola media. Rimasi solo tre anni nella sua classe, ed un mio amico, col quale non manchiamo quando capita di ricordarlo ancora, solo per due. Suo padre voleva che la quinta la facesse in una scuola di città. E ancora oggi lui pensa a quella scelta di suo padre come ad un errore.

Di lui ricordo il pizzicotto micidiale che mi dava sulla guancia quando riusciva a prenderla e stringerla tra indice e medio piegati. Lo faceva per darmi un buffetto, quando magari si tratteneva a parlare con mia madre, ed io non potevo fuggire. E ricordo anche che mi consigliava la Cartoleria Sociale per acquistare libri, dizionari o materiale per la scuola. Quella cartoleria oggi è esattamente dove si trovava allora, davanti alla statua del Savonarola, vicino al Castello, in Corso Martiri, a Ferrara.

(Fonte della foto della Cartoleria Sociale)
                                                                                                   Silvano C.©


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giovedì 20 febbraio 2014

Ucraina


I primi ad unificare il suo enorme territorio furono popolazioni di origine vichinga, e Kiev ne divenne presto il centro politico ed economico. Visse momenti di pace e di prosperità, si legò sempre più alle nazioni slave e lentamente la sua popolazione si convertì al cristianesimo. La Russia estese poco a poco la sua sfera di potere sul ricco vicino e neppure con la fine della seconda guerra mondiale l’Ucraina riuscì ad emanciparsi, ma si confermò quasi in modo definitivo parte integrante dell’URSS, della quale già faceva parte ufficialmente dal 1922.
Tra il 1939 ed il 1945 gli ebrei ucraini subirono persecuzioni ed eccidi, ad opera dei tedeschi, dei russi e degli stessi ucraini, come racconta Gad Lerner in un suo libro: Scintille (la famiglia di Lerner ha origini anche ucraine). Non solo gli ebrei ma tutti gli ucraini pagarono un tributo di sangue enorme nella prima metà del secolo scorso, ed almeno 15 milioni di persone morirono per problemi legati all’economia ed alle invasioni di truppe straniere, che generarono una sorta di guerra civile.
Finalmente, dopo la caduta del muro di Berlino, e dopo anni ancora difficili ma senza scontri armati, dal 1° dicembre 1991 l’Ucraina conquistò l’indipendenza, pur rimanendo ancora un paese fortemente legato alla Russia.
Gli anni di ritrovata libertà fecero però crollare l’economia, ed è a quel periodo che risale l’inizio della ricerca di nuove opportunità di lavoro fuori dal territorio nazionale. A partire almeno dal 2000, ma sicuramente da prima, inizia un flusso prima limitato ma poi sempre più imponente di donne che lasciano la loro famiglia, a volte anche figli piccoli, e vengono ad esempio in Italia per supplire alle carenze del nostro sistema assistenziale, in pratica a fare le badanti ai nostri anziani, grazie alla nostra situazione economica in contrasto con la loro. Una badante in Italia guadagna più di un professionista in Ucraina. E molte, purtroppo, vengono anche assunte in nero, per sfuggire al pagamento di contributi previdenziali (cioè tasse a carico di famiglie e lavoratori) che il nostro Paese impone chi assume un’altra persona per svolgere un servizio che ci dovrebbe essere fornito gratuitamente, se fossimo un Paese normale, dove tutti pagano le tasse e tutti contribuiscono al bene comune.
La rivoluzione arancione quindi inizia a toccarci da vicino, e la vita politica sempre tormentata del paese conosce speranze e disillusioni, sino all’arresto ed al processo di Julija Tymošenko
Nel frattempo l’Europa di allarga, spinte diverse si evidenziano nel paese, con filosovietici, filoeuropei e semplici indipendentisti o nazionalisti che si fronteggiano. I fatti di oggi hanno queste origini, sommariamente riassunti qui; ci fanno capire che l’Ucraina è alle porte (spesso dentro le nostre case) e che non è un paese lontano.

( Fonte della foto di Julija Tymošenko, qui ritratta con Vladimir Putin) 

                                                                                 Silvano C.©


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Giordano


Giordano partiva da Quartesana ed arrivava sino a Porotto, in bicicletta, vestito da festa, solo per venire a trovare noi, e magari fare scambi di fumetti con me. La strada era lunga, ed è lunga ancora oggi, anche se fatta con altri mezzi, ma a quei tempi la cosa sembrava del tutto normale. Quello che invece non era del tutto “normale” era lui, e lo si capiva se un po’ si scambiavano alcune parole. Forse aveva la mente di un bambino, o forse viveva in un suo mondo, ma non era diverso quando si trattava di lavorare, e lavorare pesante.
Viveva in famiglia col fratello maggiore, che si era sposato ed aveva pure figli. Ma lui a sposarsi neppure a immaginarlo. E chi lo avrebbe voluto? Forse ci pensava però, ora non saprei dirlo. È passato molto tempo, e lui non c’è più da troppi anni.
Aveva un suo posto, era rispettato per quello che sapeva fare, perché nelle famiglie patriarcali di un tempo tutti trovavano da fare, ed ognuno, a suo modo, era reso indispensabile dalla mansioni, anche umili, che svolgeva.
Una sola volta ho tentato di prenderlo in giro, Giordano, ma è bastato che lui mi afferrasse semplicemente il braccio con la morsa della sua mano per capire quanto erano duri i suoi muscoli, e quanto dissuasivo potesse essere con chi si azzardava a dargli fastidio.
Aveva una bicicletta adatta a lui. Robusta, copertoni grossi, impolverata dal viaggio appena compiuto ma ben tenuta, con un fanale anteriore ed una dinamo Radius. Non era nera, come la maggioranza delle biciclette di quegli anni, ma marrone. Arrivava e rimaneva una mezz’oretta, quasi mai di più. Giusto il tempo di vedere i parenti, di salutare, e poi di tornare a casa, per cena. E non veniva mai troppo spesso in visita, giusto un giro in bicicletta una o due volte al mese.

                                                                              Silvano C.©


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martedì 18 febbraio 2014

nato sull'isola


Viene via dalla sua isola quando cerca lavoro rendendosi conto che se resta non troverà nulla e dovrà vivere ancora per troppi anni a carico dei suoi genitori, così parte con la morte nel cuore. Col primo stipendio, ancora precario, cioè assunto a tempo determinato, si fa un regalo, e spende esattamente la metà di quella somma, una cifra enorme per lui, per acquistare un orologio automatico subacqueo. Nuotare ed immergermi verso il fondo nel mare davanti al mio paese, pensa, sarà più bello se avrò questo orologio al polso.
Vive anni belli e difficili, solitudine e nuovi amici, ma sempre lontano dalla sua isola, dove torna appena può, alla quale si sente legato e dalla quale si sente anche respinto. Poco a poco le cose cambiano. Esperienze, scoperte, scelte, poi una decisione importante, si sposa. La sua vita ora è nella nuova città, anche se conserva amici sull’isola, e non spezza ancora i legami. Con la compagna vive anni pieni: viaggi, condivisione di mete, complicità.
Il lavoro gli piace, è fonte di qualche problema ma anche di soddisfazioni, e si sente piacevolmente al posto giusto tanto che a volte neppure crede di lavorare, e si ritiene fortunato rispetto ad altri che guadagnano di più, ma non sempre fanno una vita che a lui piacerebbe.
Nel frattempo ha una figlia, molto desiderata, che lo lega ancor di più alla moglie, e la fanno crescere da soli, senza l'aiuto dei parenti, perché entrambi si sono allontanati dalle loro famiglie di origine.
Alcuni degli anni più belli della loro vita, quelli che corrispondono ai primi della loro bambina, sono irreparabilmente rovinati da un fallimento immobiliare che li coinvolge come acquirenti di un appartamento che rischia di andare all’asta e nel quale hanno investito ogni risparmio ed anche di più. È un periodo nerissimo, che sembra durare secoli e che si risolve con una perdita enorme a livello economico ma con il mantenimento della proprietà dell’appartamento. Lui conserva in una valigetta tutti i ritagli di giornale, i documenti legali, le cause e gli accordi giudiziari. Ma poi la valigetta viene risposta, nascosta, rimossa, anche se mai eliminata. Si riprende a vivere, le cose di nuovo funzionano. Il colpo tuttavia non è stato indolore.
Lui sente nostalgia per la sua isola, mentre lei, che aveva voluto allontanarsi dal suo paese natale, avverte molto meno questo sentimento. Lei capisce che lui soffre di questa lontananza, ma non hanno modo di avvicinarsi, o addirittura di andare tutti a vivere sull’isola. Il loro lavoro non possono perderlo. Quando potrebbero finalmente spostarsi, è lui che non vuole più farlo. Sa quanto gli è costato abbandonare la sua casa natale, le sue origini, ed ora la figlia ha un’età nella quale i legami sono importanti, e non vuole che lei debba spezzarli.
Arrivano gli anni della maturità, dei progetti a lungo termine, e intanto i rapporti con i suoi genitori ed i suoi fratelli si fanno tesi. Tornare all’isola è sempre più una pena, forse sbaglia, ma non si sente più a casa sua.
Nel frattempo, con la soluzione del problema del loro appartamento, hanno potuto chiedere un prestito, hanno messo da parte altri risparmi, hanno avuto qualche aiuto, riparatore di torti subiti, e lui inizia a pensare seriamente ad una piccola casa tutta loro, sull’isola, dove la figlia intanto potrà iniziare ad andare, e più avanti potrà sfruttare lui stesso, quando finalmente andrà in pensione.
Dopo ricerche, viaggi, incontri e visite, finalmente acquistano una piccolissima casa, vicina al mare, non nuova, con qualche problema, ma abbastanza economica, dopo aver scartato tutte le altre possibilità offerte dal mercato o troppo costose o assolutamente inadatte. Seguono anni febbrili, durante i quali lui dedica molto del suo tempo libero per sistemare in autonomia quella piccola casa. Costruisce anche alcuni mobili, altri li compra ed altri ancora li porta dal suo appartamento. Per pochi anni la figlia segue una scuola alberghiera sull’isola, e va a vivere in quella casetta. Poi le cose mutano, e lei, per scelte sue, ritorna a vivere in famiglia, dopo aver trovato un lavoro precario e sottopagato a poca distanza dall’appartamento dei genitori.
Passa ancora un po' di tempo, e lui, finalmente, va in pensione, cominciando ad assaporare la possibilità di andare di tanto in tanto nella sua casetta, e rivedere così la sua isola, ma stavolta da casa sua, senza dipendere da nessuno.
Il sogno dura poco. Prima ancora che finisca il lavoro un’alluvione colpisce la zona dove si trova la sua piccola casa sull’isola. Sulle prime i danni non sembrano tanto gravi, ma col passare dei mesi la situazione emerge in tutta la sua gravità. Tecnici del Comune, ordinanze del sindaco, problemi con i vicini, e, alla fine, l’ordine di sgombero. Lui dedica così il primo anno di pensione a distruggere ed a smontare quello che aveva costruito e montato solo poco tempo prima, e, alla fine, si ritrova con una casetta nella quale non potrà più rientrare sino a quando non verranno eseguiti lavori di consolidamento del terreno e delle strutture murarie. Ora le poche stanze sono vuote, lui ha staccato anche le prese della corrente, che aveva scelto e sistemato una ad una. Rimangono alcuni scatoloni, una brandina ed uno specchio senza cornice incollato col nastro adesivo sopra il lavandino del bagno.
Spera sempre di poter tornare, un giorno, in quella casa, ma i mesi, e gli anni, passano.  


(Dedicato a tutti gli alluvionati, ai terremotati, a chi ha perso il lavoro e a chi non lo trova, a chi è costretto a fuggire e a chi cerca un luogo per vivere e sognare)

                                                                                                   Silvano C.©


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neve


Quando arriva il momento che hai tanto atteso, quello della vendetta, quello della tua giustizia sacrosanta e personale, a volte non te ne rendi neppure conto. Non ci pensi più perché ciò che hai raggiunto e ti ha fortificato ora rende inutili quei gesti teatrali meditati con astio, dettati da paure, ansie, desideri repressi ed incomprensioni.
Solo il debole “uccide”, chi non può affermarsi se non con un atto violento, barando insomma. Chi non teme l’altro non ha bisogno di ucciderlo, realmente o metaforicamente, e chi non ha più nulla da chiedere perde il bisogno di odiare per darsi una giustificazione a gesti ormai superflui.
Forse è la pietà umana a prendere il posto dell’odio precedente, che fa ritirare gli artigli, o forse, ancora peggio, il disinteresse, l’assenza.
Il sentirmi più forte, quando mi è capitato, mi ha sempre disarmato, come capita ad un cane quando l’avversario gli offre la gola oppure si abbassa in segno di sottomissione. Se prima ero disposto a fare pazzie, poi, estraneo a me stesso, neppure ricordo più cosa mi aveva mosso, perdo le cause e gli effetti, mi distraggo e penso ad altro.
Se sono calmo, rifletto, non sono distratto da miei problemi reali o fittizi, allora spesso vedo nella rabbia altrui anche un segno di debolezza, una richiesta di attenzione o di aiuto e trovo quasi sempre le giuste armi comportamentali o dialettiche. Ma non è per nulla facile, e troppo spesso, quando sono messo alla prova, sono esattamente l’opposto di quanto teorizzo qui. 



La neve cade e attorno scende il silenzio, come se fosse ovatta che attutisce i suoni. I colori vivaci cedono al bianco e nero, come in una vecchia cartolina.
                                                                                 
                                                                                          Silvano C.©


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#Brustlina 8


Con la bella stagione alle porte la linea continua e la doppia linea continua sulle strade italiane diventeranno un optional, in particolare per motociclisti e scooteristi. 
E questo esattamente come diventerà difficile non vedere ai semafori questi utenti della strada mettersi sempre e comunque davanti a tutti
Del resto, altrimenti, che vantaggio ci sarebbe a circolare nel traffico rispettando tutte queste norme pensate solo per gli altri?
Un grazie a chi mi smentirà, col suo comportamento in strada. 




                                                                                     Silvano C.©


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lunedì 17 febbraio 2014

L’infinitamente piccolo


Quando un maestro fece scoprire ad un ragazzino che esisteva qualcosa di non visibile ad occhio nudo e di non sospettabile, anche se intuibile a dire il vero, si aprì improvvisamente per quel ragazzino l’idea di infinitamente piccolo e della possibilità per l’ingegno umano di raggiungerlo, quell’infinito.
Quel momento aveva seminato in lui un ulteriore stimolo allo studio della filosofia, ad intuire l’esistenza della teologia, ad ammirare l’artigiano che c’è in ogni scienziato, a vedere la poesia dentro la natura, a scoprire che la matematica è bella.
E la cosa buffa, se buffa la ritieni, è che tutto questo era nato dallo scoprire quanto sporco c’è sotto le unghie usando una semplicissima e poco costosa lente contafili da 10 ingrandimenti con la struttura pieghevole.
Quel maestro era Adriano Franceschini.
                                                                                                   Silvano C.©


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Biciclette


Non ricordo quando ho imparato ad andare su una vera bicicletta, e non su un triciclo o una piccola bici con applicate ai due fianchi laterali le rotelline supplementari per impedirmi di cadere, ma so che è successo molto presto. E non ricordo neppure la mia prima vera bici. Per certo so che non ho mai avuto in tutta la mia vita, che io lo rammenti, una bicicletta nuova, ma sempre biciclette usate, passatemi da altri o comprate direttamente usate. Con mio figlio invece sempre tutto nuovo, a partire dal triciclo sino a quella che usa attualmente, ma questa è già una storia diversa, e della quale forse dovrei sentirmi colpevole.

Non so perché ma io personalmente non ho mai sentito il bisogno della bicicletta nuova, ed ora razionalmente lo capisco benissimo. Quando ero ragazzino tutto era improntato al risparmio, l’economia italiana stessa non si reggeva sul consumo senza limiti, e le cose erano fatte per durare, non studiate per avere una vita a durata programmata. Quindi io usavo la bici di mio padre, semplicemente. Bastava che avesse freni, gomme gonfie e catena in ordine, oltre al manubrio ed al sellino, e il resto non serviva. La bicicletta era il solo ed unico mezzo di trasporto individuale. Le auto e pure le moto ed i motorini erano per i ricchi. E costavano non poco.

In bicicletta si andava ovunque, anche a chilometri di distanza, e non per fare sport, ma solo perché così era necessario comportarsi per vedere persone, andare al lavoro o a scuola, fare la spesa o passare un po’ di tempo libero.

Ora a Ferrara un po’ di tutto questo è rimasto, ci sono ancora tanti meccanici di biciclette, anche se meno di un tempo, e tutti, assolutamente tutti, vanno in bicicletta. A volte sono veri e propri pericoli ambulanti per sé e per gli altri. Se il pedone ancora non riesce ad attraversare tranquillamente sulle strisce perché le auto sono un po’ restie a rallentare, il ciclista merita ed ottiene rispetto. E in ogni caso se lo prende.  C’è poco da inveire da parte dell’automobilista che non approva, perché una bestemmia in dialetto ferrarese il ciclista doc non la risparmia a nessuno.

Ma il vero ciclista DOC di Ferrara non usa mezzi alla moda, solitamente non fa montare il comodo cestino anteriore o posteriore, spesso i fari sono un optional (da lui infatti Mogol e Battisti hanno avuto l’idea di quel verso: “guidare a fari spenti nella notte”, è giusto che tu finalmente lo sappia). 
Non rinuncia però ai parafanghi, e non smetterà mai di prendere in giro chi, su bici da corsa o rampichini, vede girare quando piove con il sedere e la schiena spruzzati di fango.

La bicicletta non è un mezzo di trasporto, è uno stile di vita.

                                                                                                   Silvano C.©


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domenica 16 febbraio 2014

#Brustlina 7


Accetto che si faccia un gran parlare di animali ed in particolare di cani, anche se io preferisco i gatti, da parte di persone che li ritengono addirittura migliori degli umani: più fedeli, disinteressati, pronti al sacrificio, obbedienti e così via. Senza entrare nel merito, anche se sarebbe utile farlo, mi limito ad osservare che tali amanti dei nostri amici quasi mai denunciano i tanti, troppi padroni maleducati di cani, che inzozzano con gli escrementi dei loro amati i luoghi che frequentiamo tutti noi, che il cane non lo abbiamo. Sospetto che alcuni, magari pochi, di questi tantissimi amanti in rete dei cani siano gli stessi che poi ci lasciano i loro regali in strada, nei giardini, nelle passeggiate.

                                                                     Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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