domenica 29 dicembre 2013

Ti regalo un rametto di mimosa




Ho fatto due passi stamane ed ho visto un albero di mimosa con le infiorescenze ancora verdi ma inconfondibili, pronte al balzo finale che tra due mesi circa le renderanno quel simbolo dell’otto marzo tanto amato e tanto odiato da uomini e donne.
Oggi è il 29 dicembre 2013, quindi un periodo dell’anno non sospetto e lontano dall’8 marzo, perché non vorrei che  si pensasse alle donne ed ai loro diritti solo quel giorno. Servono meno ipocrisia e meno cioccolatini. 
Già il 9 marzo quello che si era detto solo 24 ore prima rischia di essere dimenticato, almeno da parte di alcuni uomini.
Storicamente alcuni temi della giornata internazionale della donna vennero affrontati per la prima volta nel corso della seconda internazionale socialista, a Stoccarda, e in seguito, poco alla volta, venne deciso in molti Paesi del mondo di dedicare sul calendario un giorno all’anno alla donna.
In Italia la giornata, chiamata all’inizio festa della donna, venne celebrata nel dopoguerra ogni anno a partire dal 1946. 
In quel giorno l’UDI diffondeva Noi Donne, allora ancora ritenuto fonte di turbativa per l’ordine pubblico. A comprare Noi Donne, in famiglia, era mio padre, che poi lo regalava a mia madre, con la tradizionale mimosa, o con un altro fiore, se mimose non ne trovava. E, garantisco, mia madre gradiva e quel fiore non era ipocrita.
Ora molto tempo è passato. Mi è capitato di mettere su alcune pagine personali di amiche su Facebook, qualche anno fa, foto di mimose. Alcune mi hanno aggredito, come se non avessi capito nulla, come se ricordassi solo quel giorno che ci sono le donne con i loro diritti e i loro problemi, come se questi non fossero anche i miei, come cioè se io, come uomo, dovessi semplicemente essere soddisfatto dei miei diritti e della mia libertà ignorando quella delle donne. Confesso che mi sono pure offeso, senza dirlo ovviamente, ma cercando di spiegare che quel giorno è solo un’occasione di riflessione in più, non il solo in tutto l’anno.
Poi, quando lavoravo, se potevo, portavo alle colleghe qualche mazzetto di mimosa e qualche cioccolatino. Già in quelle occasioni le reazioni erano diverse. Sapevano chi ero, e come la pensavo, e spiegarmi era facile, in caso di fraintendimenti. Poi a tutte le alunne, per diversi anni, non facevo mancare un piccolo ramettino di mimosa unito ad un gradito cioccolatino, mentre i maschi scalpitavano e alcuni arrivavano al punto di imitare le ragazze per avere anche loro un cioccolatino.
Uno di loro una volta, durante una lezione sul tema, ebbe il coraggio di dire che non era giusto che le ragazze avessero il ciclo ed i ragazzi no. Mi venne spontaneo fargli notare che se non aveva il ciclo avrebbe sempre potuto avere il triciclo. Uno a zero e palla al centro.

Oggi i grandi temi ancora aperti sulla problematica femminile sono troppi, e non in tutti i campi si fanno progressi, anzi, ci sono forti movimenti di reazione. Io vorrei solo citare alcuni di questi temi, in disordine sparso, senza approfondirlo quanto meriterebbe, perché questa non è la sede più adatta e rischierei di scrivere un post troppo lungo, che nessuno leggerebbe.

La riforma delle pensioni in atto colpisce le donne molto più duramente degli uomini perché sino a non troppi anni fa era a loro riconosciuta, giustamente, la possibilità di anticipare rispetto all’uomo tale data in considerazione del lavoro domestico, della cura dei bambini e degli anziani, e di essere, in altre parole, parte dello Stato Sociale altrimenti assente. Parificare nei doveri le donne italiane a quelle europee quando prima non si è pensato a parificarle anche sul versante dei diritti è l’operazione più squallida politicamente e socialmente che si potesse realizzare. E sicuramente le più colpite sono le donne dei ceti medio e basso. Servizi carenti come asili nido non in numero sufficiente, scarsa assistenza agli anziani, trasporti pubblici poco efficienti e simili difficoltà rendono di fatto difficile molto più per una donna che per un uomo la vita attuale.
Sul piano del lavoro la parità di trattamento è lontana. La donna ha maggior facilità di essere licenziata, gode solitamente di minor retribuzione a parità di funzione svolta, e il fatto che possa rimanere incinta ne limita oggettivamente in molti settori la possibilità di carriera.
Le leggi come la 194, per una maternità consapevole e responsabile, o quella sul divorzio, che hanno fatto uscire l’Italia dal medioevo, devono ancora essere pienamente accettate dalla popolazione. La 194 in particolare è vista come un diritto all’omicidio e non come un modo per evitare le mammane e la carenza di educazione sessuale, tanto osteggiata in certi ambienti e da certe culture, italiane o di importazione.
La violenza operata ogni giorno su troppe donne che pensano sia naturale subirla, gli omicidi di donne da parte di mariti, compagni, fidanzati, fratelli e padri o familiari ed amici, o anche da parte di sconosciuti incontrati occasionalmente, la sudditanza psicologica presente e voluta da troppe culture legate al passato sono problemi di una gravità indicibile. E qualcuno si ferma al fatto che coniare un neologismo per descrivere l’omicidio di una donna solo per il fatto che è una donna non sembra opportuno.
L’immagine della donna seminuda usata come specchietto per gli allodoli maschi al fine di attirare l’attenzione e vendere ogni tipo di merce.
Il ruolo secondario e vessillifero in troppa televisione spazzatura nella quale il conduttore appare bello e condiscendente e spiritoso ma le donne mostrano culo e tette, che fanno tanto colore, assieme talvolta ad una piccola corte dei miracoli di idioti che fanno smorfie per far ridere il popolo, che così alleva i figli con idee a dir poco idiote e pericolose ben inculcate sin dalla tenera età.
La mancanza di rispetto nella società, in molte società, in quasi tutto il mondo, del ruolo fondamentale svolto dalla donna, dando per scontato che quello dell’uomo è più importante.
La quasi assoluta disparità nella considerazione a livello religioso, e, per restare a quella cattolica, l’impossibilità anche per le donne di arrivare ai massimi livelli della gerarchia della Chiesa.
La scarsa possibilità che ha una donna di vestirsi come vuole, nel rispetto delle leggi ma non delle regole di una morale imposta. Una donna può essere provocante nel modo di vestire, se lo desidera, senza per questo essere considerata una che vuole essere stuprata. Io a questi proposito aggiungerei che occorre anche un po’ di buon senso e di misura, ovviamente, e di rispetto di luoghi e ruoli. Ma questo esattamente alla stregua di quanto vale per gli uomini. Io, cioè, evito di mettere i pantaloni corti se vado in chiesa, di girare a torso nudo in un museo, e di vestirmi come se fossi in spiaggia quando sono al lavoro. Ma tutto il resto è nella mente di chi guarda, non necessariamente in quella di chi veste come preferisce.
Io poi vorrei la rivalutazione del ruolo della prostituta almeno al livello di quello dei clienti, che sono non di rado persone rispettate e rispettabili. Il lavoro che fanno dovrebbe essere riconosciuto, liberato dal controllo della malavita, reso più sicuro sul piano sanitario e della vita stessa della donna. Magari potrebbero pure pagare le tasse, in ché non sarebbe male per la nostra economia.

Ancora? Non so, credo che basti, per ora.
Quindi, ad ogni donna, per concludere, e con lo spirito che ho tentato di spiegare, buon 29 dicembre, buon 16 gennaio, buon 9 settembre e, ovviamente, buon 8 marzo. Con gratitudine.

Qui, sul blog, a partire dall'agosto 2011, parlo di femminismo.
                                                                                                 Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

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