mercoledì 31 luglio 2013

Specie opportunista



Leggo dall'Enciclopedia Treccani in rete: Specie o. Specie adattata ad ambienti in cui la disponibilità delle risorse varia in modo discontinuo, e caratterizzata da grande capacità di dispersione e da alti tassi riproduttivi.
Nei miei passati studi tra queste specie legate in qualche modo all’uomo ho trovato topi, gabbiani, ortiche, e diverse altre.

Tentare un allargamento del concetto al comportamento opportunista umano è assolutamente scorretto, e cadrei nell’errore opposto di chi attribuisce sentimenti e reazioni umane agli animali, come se vivessimo in un cartone di Disney.
Quindi, ben sapendo che quello che dico può essere facilmente smentito, anzi, rinfrancato da questa  considerazione, affermo che un comportamento opportunista nel senso biologico ed ecologico io lo vedo in certi gruppi umani marginali, che vivono ai confini delle leggi e della convivenza ordinata, in grado di sopravvivere alla società stessa in caso di una sua implosione, ma che contemporaneamente sono esposti e vulnerabili se attaccati direttamente dalle forze organizzate della struttura costituita, dal potere insomma, che difende prima di tutto sé stesso, e solo dopo le persone che ne giustificano la presenza.

Il Contratto Sociale per alcuni non è mai esistito, e quindi ogni sua conseguenza è semplicemente incomprensibile. Io visceralmente sono dalla parte della Società, della convivenza. Sono arrivato a questa convinzione sia in modo razionale che irrazionale, ne sono abbastanza sicuro, tuttavia non riesco a negare del tutto le ragioni emarginate degli “opportunisti”. È per quello che, ascoltando alcune canzoni di De Andrè, non posso fare a meno di iniziare a sognare un mondo anarchico e completamente libero, oltre ogni buonsenso.

                                                                            Silvano C.©


( La riproduzione è riservata. Ma non c'è nessun problema se si cita la fonte.  Grazie)

Lo schiaffo



Le punizioni corporali scolastiche sono un ricordo dell’infanzia, e tutto sommato abbastanza contenute, come quando il troppo vivace Carletto veniva legato al banco dalla maestra per un po’ di tempo. Chissà per quale motivo quell’insegnante puniva così quel bambino di 6 anni o poco più, ma c’era disapprovazione nei confronti di questo alunno, ormai perso nel passato, per il solo fatto di disturbare la lezione. Non aveva grande seguito di amici, non sicuramente come ne avrebbe oggi, e tutti i genitori allora erano concordi nel dire che andava punito in modo che capisse come ci si deve comportare.

Altri tempi, ormai, oggi preistoria, perché la scuola nel frattempo si è aggiornata, ha sfornato generazioni di italiani sempre meno rispettosi ed è stata superata, come entità educativa, dai mezzi di comunicazione di massa. Ora la scuola non è rispettata e in particolare quella pubblica sembra la fortezza Bastiani.  Nel senso che l’insegnante, dopo aver atteso tutta la vita il nemico, quando finalmente questi è arrivato, è lontano. Ma forse è solo un sogno quello di essersi preparato alla battaglia, senza in realtà mai impugnare una sola arma. Oppure il nemico è arrivato da tempo, poco a poco, non come un esercito di tartari organizzato e riconoscibile, ma con una invasione lenta, capillare, come in vecchio film di fantascienza: “L’invasione degli Ultracorpi”.

Ma veniamo allo schiaffo:

Premessa – Alla fine degli anni 80 del secolo scorso entrano orgogliosamente nella scuola i primi personal computer. Sono macchine ancora importanti e costose, usano il sistema operativo MS-DOS
ed il Basic è il linguaggio più in voga, almeno nel caso di chi inizia ad avvicinarsi all’informatica. Alcuni da pochi anni hanno comprato i mitici Commodore Vic-20 o Commodore 64, che funzionano collegati ad uno schermo televisivo e che se vengono spenti dimenticano tutto, salvo copiare i dati in una specie di mangianastri collegato.  Pochi hanno il denaro per un vero PC, e sicuramente non gli insegnanti senza un doppio lavoro. Costano ancora troppo, e non ci sono mai convenzioni agevolate per far acquistare queste macchine agli insegnanti, che se desiderano farlo non possono neppure scaricare l’IVA, pur essendo uno strumento di lavoro. Quando finalmente una manciata di queste macchine viene installata in un’aula speciale nasce la prima aula di informatica che il professor Piero abbia mai visto. Chi intende usarla si aggiorna in modo adeguato, e solo dopo ha l’accesso, singolarmente o con la sua classe, a questo santuario innovativo, che promette miracoli e meraviglie.

Fatto – Un pomeriggio, con un gruppo ridotto di ragazzi, dopo aver spiegato ed indottrinato per bene tutti, Piero li fa entrare in quest’aula. Chiede che ascoltino con attenzione ed eseguano le istruzioni man mano che le fornisce, perché non può verificare personalmente cosa succede ad ogni singola macchina, davanti alla quale gli alunni sono seduti in gruppi di due o tre, con l’impegno di ruotare a turno. Un PC dell’epoca è formato da una scatola che contiene il processore, da un monitor appoggiato su questa scatola e da una tastiera. Niente altro. Niente stampanti o casse, e soprattutto, niente mouse. La lezione è faticosa, Piero comincia ad avere poca voce perché un ragazzino, Mattia, disturba e lo obbliga ad interrompersi spesso ed a ripetere. Poi questo litiga con i compagni, e viene spostato di lato. Non soddisfatto inizia a battere sulla tastiera con la mano tanto per vedere che succede e come reagisce l’insegnante. Lui provoca, insomma, e Piero fa la cosa che nessun insegnante serio o preparato deve mai fare. Cade nella provocazione e gli molla un ceffone, tanto forte da far perdere sangue dal naso. Pensa, dentro di sè, come giustificazione, che sta per rompere una macchina molto costosa, una macchina di tutta la scuola, di centinaia di ragazzi. Ma è solo una giustificazione postuma, in realtà fa una cosa sbagliatissima, da denuncia. Il ragazzo scatta, urla, apre la finestra e si butta fuori (l’aula è al piano rialzato) poi scappa.

Sviluppo –  Ora i fatti sono meno nitidi, si rischia di dire inesattezze. Per un qualche miracolo non succede nulla. È l’ultima ora di lezione. Tutti vanno a casa pochi minuti dopo l’episodio. Piero è agitatissimo, anche se tenta di mantenere la calma. La notte quasi non dorme. Non sa che fare. In fondo è uscito dieci minuti prima della fine delle lezioni. In fondo stava facendo il vandalo. In fondo stava disturbando la lezione. In fondo ha solo fatto un’enorme cazzata che potrebbe costargli molto cara, perché quello è un minorenne, ed è affidato alla sua responsabilità. Ma non succede effettivamente nulla. Il giorno dopo il ragazzo, tranquillo e con l’aria di chi sa come vanno le cose del mondo si presenta a scuola e non dice una sola parola sul fatto del giorno prima. Piero non sa neppure cosa si sia detto dell’episodio tra gli alunni, ha il terrore di indagare. I giorni passano, poco a poco l’episodio diventa un ricordo. Non ci sono conseguenze di alcun tipo, se non nella coscienza del professore, che sa di aver mancato, o fallito, in un momento nel quale è stato messo alla prova.


Conclusione - Molti anni dopo Piero, che continua ad insegnare, rivede Mattia, per caso, in un supermercato. È cresciuto, si è fatto uomo, lavora nel reparto macelleria. Sorride al suo vecchio professore e, malgrado abbia in mano il coltello affilatissimo che sta usando, non lo assale. Gli ricorda l’episodio, Piero arrossisce. Lui dice sorridendo che la sberla se la meritava, che poi non ha detto niente a nessuno, né a casa né ad altre persone. Gli dice pure che ha dei bei ricordi di quegli anni, e che ha fatto impazzire molti insegnanti, non solo lui.
Passa altro tempo, e Piero visita una fiera campionaria, con la figlia. Mentre stanno curiosando tra i vari stand lo ritrova. Mattia è elegantissimo, sicuramente più di lui, e lo accoglie in un piccolo spazio dove offre un bicchiere di brut a lui ed uno di aranciata alla figlia. Dice che da anni ormai è diventato uomo di fiducia e venditore in quella ditta di infissi che opera in tutta la regione e anche in giro per l’Italia. È ormai un uomo arrivato. È sposato ed ha pure una bella casa. La scuola, a modo suo, gli è servita. Forse anche lo schiaffo, chi lo sa.

                                                                                                                Silvano C.©


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lunedì 29 luglio 2013

Nove giorni, una vita. Bianca


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Bianca nasce il 5 aprile del 1933 a Voghiera, da una famiglia di mezzadri per quei tempi benestanti, i Gavioli. È la primogenita, ma le gravi complicazioni che dopo il parto colpiscono la madre col rischio che questa perda la vita, la rendono figlia unica. È un duro colpo per Guido, che avrebbe voluto un figlio maschio, ma questi si consola presto, abituato a lavorare e a non lamentarsi mai troppo. Anche se è assolutamente ateo e comunista, con una contraddizione che ritiene perfettamente naturale, ringrazia Dio di avergli salvato Lorenza, che ama da morire, ed accetta la situazione. Per fortuna suo padre e sua madre sono ancora in forze, pensa, e relativamente giovani, quindi in grado di aiutarlo ancora per diversi anni nella conduzione del piccolo podere dal quale ricava il sostentamento per tutti i suoi.
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Quando  Bianca compie i 10 anni, l’Italia è in guerra al fianco della Germania ormai da quasi tre anni. Nelle varie zone della provincia di Ferrara sono arrivati i primi sfollati dalla città, non per paura, ancora, perché solo verso la fine dell’anno, esattamente il 29 dicembre, ci sarebbe stato il primo bombardamento aereo sul capoluogo con oltre 300 morti, ma piuttosto per la difficoltà di trovare generi alimentari e anche per ragioni “politiche”. Erano entrate in vigore dal 1925 le leggi fascistissime, ma solo negli ultimi anni avevano iniziato a dare i loro frutti più nefandi, in particolare quando si erano combinate agli effetti delle leggi razziali. La piccola Bianca però non si rende conto della guerra se non dai discorsi dei genitori, non è coinvolta direttamente, ed infatti nessuno dei suoi familiari viene richiamato sotto le armi come invece gli zii Nicola e Secondo (nessuno dei due tornerà più a casa). Il padre è l’unico uomo in grado di condurre i lavori in azienda, ed ha problemi cardiaci, mentre il nonno ormai ha compiuto 57 anni, ed è troppo vecchio per la guerra. Lei aiuta in campagna, e viene trattata da maschio dal padre, il maschio che non ha avuto. E si diverte, a suo modo, e si sente importante. Lavora senza sentire la fatica, è sana e forte.
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Gli anni del dopoguerra sono un momento di ripresa per l’Italia, ma per la famiglia di Bianca sono segnati da lutti e nuove difficoltà. Muoiono a pochi mesi di distanza i nonni che vivevano con loro. Il padre perde la mezzadria, perché non può garantire da solo ormai il lavoro sul fondo agricolo del Nencini, il proprietario. Si dice anche che antichi dissapori tra Nencini e Gavioli siano divenuti insanabili, il primo monarchico deluso dalla politica, il secondo comunista, sempre più impegnato con il sindacato. Il 5 marzo di quell’anno poi muore Stalin, ed il padre mette il lutto al braccio. Ora sono rimasti in tre, e si sono trasferiti da tempo in una piccola casa nei Prati di Palmirano, dove il padre ha trovato una sistemazione economica. Tutte le mattine deve partire in bicicletta per andare a Cocomaro di Cona,  a molti chilometri da casa, dove lavora come bidello. Anche Bianca ha un nuovo lavoro, a Gaibanella, presso un’azienda agricola con cantina. A casa resta solo la madre, che cura un piccolo allevamento di polli e conigli che vende ogni tanto ai macellai della zona. Bianca vorrebbe festeggiare il suo ventesimo compleanno col fidanzato, visto che è domenica, ma lui, che lavora come muratore, è lontano, in Veneto, e non si vedranno che fra più di un mese. E così resta con i suoi, e trascorre la giornata dando una mano alla madre. Pensa a quando si sposeranno, l’anno prossimo.

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Il 5 aprile del 1963 Bianca saluta il figlio Carlo che esce di casa, ad Aguscello, per andare alla scuola elementare. Frequenta già la terza, è molto bravo, dice la maestra, e lei ne è orgogliosa. Il nonno si illumina quando vede il nipote, e assieme trascorrono molto tempo, quando il bambino è libero e non ha altri impegni o non deve svolgere i compiti. Guido ha finalmente coronato col nipote il sogno di un figlio maschio, e subisce con la moglie senza lamentarsi gli sgarbi e la malagrazia coi quali il genero si rivolge ad entrambi. È una pena per la figlia vedere i genitori trattati in quel modo, ma sopporta, anche per loro. Il marito, che dopo il loro matrimonio è diventato capomastro, rimane fuori casa tutto il giorno, e quindi per molte ore in casa regna una certa calma. Solo la sera quando lui rincasa i vecchi si rinchiudono nella loro stanzetta, e cercano di evitare ogni motivo di attrito. Del resto lui guadagna abbastanza ed ora vivono in una casetta piccola ma molto comoda, con il gabinetto dentro casa, ed uno spazio per lavarsi con una piccola stufetta in terracotta. Bianca quindi si rende conto che, malgrado il suo pessimo carattere, è pur sempre stata fortunata a trovare Sergio, ed ora loro figlio porta il cognome del padre:Corazza. "Il mio cognome è destinato ad estinguersi" pensa con tristezza Guido. La vita continua, però, indifferente ai sogni infranti.

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Quel giorno di aprile del 1973 inizia bene per Bianca. Il marito ed il figlio le hanno fatto trovare sul tavolo della cucina un mazzo di rose ed un pacchettino, facendosi promettere che lo avrebbe aperto solo a mezzogiorno preciso. Fanno colazione assieme loro tre, poi i due uomini escono, dopo averle fatto gli auguri, Il primo per andare al suo cantiere edile a Pontegradella il secondo al liceo.
Lei sistema in fretta la casa, poi, da via Mortara, in bicicletta va in Certosa, a mettere un fiore sulla tomba del padre, mancato due anni prima. Rimane una decina di minuti davanti alla lapide con la foto, che accarezza con le dita, poi saluta mentalmente ed esce dal cimitero. Riprende la bicicletta e in pochi minuti arriva alla Salus, dove è ricoverata ormai senza conoscenza la madre, colpita da un ictus in febbraio. La clinica è nuova ed efficiente, ma l’odore nella stanza della madre, dove stanno altre due donne anziane, è sempre pesante. Lei socchiude la finestra dopo aver salutato la madre che non sembra accorgersi della sua presenza. Poi va a chiamare un’infermiera, e le chiede se è stata cambiata, quella mattina. Ottiene una risposta affermativa ma un po’ evasiva, e dopo meno di 10 minuti, quando è seduta accanto al letto, arrivano due inservienti che la fanno accomodare fuori perché devono sistemare le degenti.
Mentre aspetta, guardando fuori dalla finestra verso Via Arianuova, sente la mente vuota ma con un ingorgo di emozioni che fanno ressa sulla porta per entrare, e lei che tenta di fermarle. Sa che non può vincere, e che alla fine loro sfonderanno ogni barriera, ma intanto resiste, e cerca di distrarsi guardando lo scarso movimento sulla strada, oltre i cancelli del parcheggio della clinica.
…..
A mezzogiorno preciso Bianca è a casa, e il rintocco delle campana di Santa Maria della Consolazione le ricorda che deve aprire il pacchetto ricevuto in regalo il mattino. Scioglie il nastro, poi, cercando di non rovinare la carta che lo avvolge, libera il pacchetto. C’è un biglietto,lo apre:

Tantissimi auguri Bianca, scommetto che ti eri dimenticata e sono state le campane di Santa Maria a ricordarti del tuo regalo. Lo abbiamo scelto assieme io e Carlo. Ed ha contribuito pure lui. Lo confermo ufficialmente.
Ti amo, Sergio
Auguri mamma, fai la brava oggi. E buon compleanno. Carlo

PS. Stasera ho prenotato per due alla Provvidenza. Io arrivo verso le 7. Tu preparati.

PPS. La prima pietra della chiesa è stata posta esattamente il 5 aprile del 1501 dal duca Ercole I d’Este in persona. Scommetto che non lo sapevi.

Ora, con un sorriso, Bianca apre il pacchetto…

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In radio un approfondimento sullo strappo di Berlinguer e sulla crisi del PCI con le dimissioni a Torino di Diego Novelli, ma si sente a fatica tanto il volume è basso. La casa è immersa nella semioscurità, lei riposa con gli occhi chiusi, su una poltrona in sala. Tra poco deve uscire. Da un paio di anni lavora per mezza giornata dal martedì al venerdì presso il notaio Busi, in via Contrari. È quasi in ritardo, ma ha un forte mal di testa, e non riesce a decidersi ad alzarsi. Oggi sarebbe pure il suo compleanno, ma solo il figlio, da Londra, le ha fatto una telefonata. Sergio non lo vede e non lo sente da anni, da quando è andato a vivere con quella donna che potrebbe quasi essere sua figlia. Non sono ancora divorziati, ma sembra che a nessuno dei due interessi. Si sono separati in modo quasi civile. Lui le ha lasciato l’appartamento di Via Mortara, e le passa pochissimi soldi ogni mese, che ovviamente non le bastano. In fondo è stata fortunata se il Busi l’ha presa. All’inizio era una frana completa, ma ora è diventata abbastanza efficiente.

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Bianca compie 60 anni, è lunedì. Scende piano le scale di casa, va in cortile e prende la bicicletta con la quale si muove in città. Non ha mai preso la patente, ed ora è decisamente tardi per pensarci. Come ogni lunedì, da quando è in pensione, va al mercato, in Piazza Travaglio. Le auto si sono fatte molto invadenti, e a volte ha difficoltà nel traffico, ma andando contromano e sui marciapiedi, se serve, riesce ad arrivare ovunque, col sole o con la pioggia, tenendo magari l’ombrello con una mano e il manubrio con l’altra.  Una volta quasi ha investito un vigile, spuntando contromano da via Cisterna del Follo, ma lui neppure l’ha notata. A Ferrara le biciclette sono le signore del traffico. Se non hai la bicicletta non sei nessuno, ed infatti i ladri non si fanno sfuggire ogni occasione alla loro portata, fosse pure un ferrovecchio. E nessuno le abbandona senza almeno un piccolo lucchetto. 
A volte, il pomeriggio, Carlo o Ethel le portano la nipotina di 4 anni, Lorenza. Carlo ha voluto chiamarla col nome della nonna, alla quale era molto affezionato. Quando non ha questo impegno si reca all’Ospedale S. Giorgio, un centro riabilitativo famoso non solo a Ferrara, tanto che, tra gli altri, in agosto di quell’anno verrà ricoverato anche Federico Fellini. In quelle stanze lei si sente utile, aiuta giovani e anziani a ritrovare fiducia e forza di continuare, e per tale ragione da un po’ di tempo si è fatta socia di una cooperativa di volontariato.
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il 5 aprile 2003 ad Asiago è nebbioso, ma sarebbe meglio dire che le nuvole sono basse.
Bianca segue un gruppo di anziani, portati in una struttura della parrocchia di San Benedetto. Il figlio disapprova le sue scelte, perché le ripete che dovrebbe riposarsi a casa sua, ma lei ha la testa dura, e non smette di andare dove vuole. Non è mai stata religiosa o praticante, fedele alle idee comuniste del padre sino alla fine, ma con il volontariato si è avvicinata al mondo cattolico, e se serve collabora senza problemi, anche se ormai l’età non le permette di essere utile come un tempo. A volte le piace pure litigare di gusto con una amica, che lei giudica una beghina intelligente, e commenta sarcasticamente, per farla arrabbiare, i viaggi che il Papa in carrozzina fa ancora in giro per il mondo. A suo modo ha trovato la felicità

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Entra in Certosa dopo aver parcheggiato l’auto in Via Borso, di fronte ad un fiorista. I fiori Carlo li porta da casa, vengono dal suo piccolo giardino. Ha voluto venire da solo, senza la moglie e la figlia. Cammina piano, diretto verso la zona nuova, dove sono tumulati, in due loculi affiancati, i suoi genitori. 

Arriva e, come ogni volta, legge le poche parole:
Sergio Corazza  N  15 settembre 1929        M  19 novembre 2004
Bianca Gavioli    N   5 aprile 1933                M   3 agosto 2012
Se la madre fosse viva oggi compirebbe 80 anni. E non sa trattenere le lacrime pensando che lei ha voluto portare al collo per il suo ultimo viaggio quella collana di granato che lui ed il padre le hanno regalato ormai  40 anni prima. Non se ne era mai separata.
                                                                                             Silvano C.©


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sabato 27 luglio 2013

Democrazia e regole in rete


Dunque, la rete è pericolosa, come ho già avuto modo di scrivere alcune volte, ma, come andare in strada è pericoloso e malgrado questo le strade si usano, così è per la rete.
Ovviamente ci sono regole da rispettare, e nessuno si illuda di fare quello che preferisce in assoluta libertà.

Io prima di tutto sfaterei il mito del gratis. Nulla è gratis, se non si paga in denaro si paga in tempo di utilizzo, che diventa denaro per chi fornisce il servizio, si paga in pubblicità che siamo costretti ad accettare, e si paga in imposizione di idee politiche, che è la forma più subdola di mantenimento del potere. Sui social networks poi il gratis si traduce in una mancanza assoluta di diritti e di discrezionalità e di possesso ceduto ad altri del proprio lavoro.

Ma torno alle varie tipologie di regole, da rispettare:
  1. Prima di tutto io metterei la correttezza, l’educazione, che in rete si riassume in un neologismo: netiquette In altre parole norme condivise col solo scopo di rispettare anche gli altri “naviganti”. Ad esempio usare le maiuscole in modo continuo equivale ad urlare, ma qualcuno, fateci caso, questa banalità non la vuol capire.
  2. Subito dopo io inserirei la correttezza di quanto si scrive o si offre alla lettura di tutti. Qui rubo un’idea alla base dell’enciclopedia Wikipedia. Verificare le fonti, quando si affermano fatti o opinioni di altri o letture di una certa realtà. Ovvio che si può e deve poterla pensare diversamente, ma è fondamentale che non si diffondano cose false, bufale, notizie tendenziose o parziali e quindi male interpretabili. Io vorrei a questo proposito un vocabolario condiviso, ma non interessa in realtà a nessuno, non fa comodo cioè a chi deve raccontarci storie per addormentarci.
  3. Da rispettare ovviamente le norme contenute nei codici civile e penale, e su questo non aggiungo molto, se non il fatto che l’anonimato è un’illusione, e conviene evitare di essere sorpresi da chi comunque può vedere quanto scriviamo o postiamo per evitare grossi problemi facilmente immaginabili. I reati legati allo stalking ed alla pedofilia sono sicuramente tra i più odiosi.
  4. Poi ci sono le condizioni d’uso per entrare nelle piattaforme dei vari social networks. E qui, sinceramente, perdo la pazienza. Sono modalità stabilite per comodità di chi “offre” il servizio, sono caratterizzate dalla possibilità molto limitata di difendere le proprie ragioni in caso di contestazioni e dalla caratteristica di far cadere sentenze dall’alto, inappellabili o quasi. Alcune condizioni sono condivisibili quando ricadono ad esempio in uno dei tre punti precedenti, in particolare il terzo. Altre invece assolutamente risibili, solo per una più facile gestione delle piattaforme e della vendibilità della nostra presenza agli inserzionisti pubblicitari, quando va bene.

Se io potessi pagare il servizio, abbonandomi ad esempio, avrei diritti che così non possiedo. Magari pochi, ma ne avrei. In questo modo è facile vedere come sui social sia attiva una forma di censura che ha varie origini, sempre però legate al mantenimento del potere. E si vede come ad esempio, su Facebook, unilateralmente, vengano modificati gruppi, profili, pagine, distruggendo a volte lavori e discussioni di anni, impossibili da archiviare se non salvando tutto il materiale preventivamente. Oppure si veda come è possibile essere sospesi da Twitter solo per il mancato rispetto di regole formali. Eppure, in quest'ultimo caso, basterebbe poco per pre-avvisare i malcapitati utenti di tenere un comportamento non in linea con quanto previsto e permettere quindi di modificarlo prima della sospensione.

                                                                                             Silvano C.©


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venerdì 26 luglio 2013

Non ci casco più


È da quando ero ragazzino che vedo questi personaggi che nel bestiario umano sembrano camaleontici ma sempre uguali a sé stessi.
La critica acuta, mordace, ironica o cattiva, ruffiana o ammiccante, espressa con l’aria di chi è tuo amico, sta dalla tua parte, dalla parte dei deboli e della giustizia, ma che si esprime sempre con un attacco, mai un consenso pur se minimo a chi vorrebbe le stesse cose magari, ma sul serio, cercando di farle insomma, nei limiti reali e contingenti, esponendosi quindi alle critiche di questi campioni da bar, da lite politica in televisione o da guru su social network.
Confesso che sono stanco di questi giochetti.

Ai tempi del mio ingresso nell’età matura (si fa per dire ovviamente, perché maturo non lo sono neppure ora) ricordo alcuni ragazzi di successo con le ragazze (cosa che ho sempre invidiato loro, ovviamente) molto attivi politicamente, sempre pronti a trovare motivi per “distruggere il sistema”, era quello il linguaggio di quei tempi. Pochi anni dopo ho visto molti di questi idealisti disinteressati trovare posti sicuri e di prestigio nell’azienda di papà, nell’ente pubblico, o fare un’inversione a 180° e diventare più reazionari di quelli che un tempo combattevano. A volte alcuni di costoro, più importanti, mentre coloro che avevano convinto venivano arrestati, se ne fuggivano all’estero, ad esempio in Francia, e malgrado questo continuavano a pontificare di lotta e di rivoluzione, ma al sicuro e ben protetti.

Recentemente ho visto accalappiare da questa genia di sobillatori in mala fede una marea di giovani insoddisfatti della situazione politica, facendo balenare una nuova speranza di mutamento, uno tsunami populista che avrebbe dovuto travolgere tutto e tutti, eliminando sindacati, conquiste del passato, partiti di sinistra e quant’altro. Ammetto che è difficile approvare in toto l’operato di un governo, di questo in particolare, nato da un'emergenza politica in primo luogo, ma raccontare storie demagogiche non porta da nessuna parte e non fa ridere nessuno, anche se a dirigere tutto questo c’è un ex comico.

Non mi interessano neppure i movimenti o i partiti che appartengono ad una persona sola, e sono ormai la maggioranza, in Italia. Io voglio un partito o un gruppo politico vivo, che al suo interno veda un dibattito ed uno scontro, non la fedeltà alla linea, come ai tempi della vecchia URSS. Non ci casco più, dicevo, non rinuncio alle mie idee, e non cedo alle lusinghe di chi vuol dividere la sinistra. Non amo l’opposizione dura e pura che è solo distruttiva.
E non cedo neppure a chi gioca al tanto peggio tanto meglio, per far fallire il nostro modello di convivenza civile. L’Italia ha enormi problemi, ma nel mondo non sono tanti i paesi dove i poveri o i più deboli vivono meglio che da noi. Non certo gli USA, dove se non hai soldi non vali nulla, e non ti è concessa neppure la minima assistenza medica di base.

Vivo con dolore la mia situazione, quella della mia famiglia, perché non sono ricco, non ho conoscenze importanti, anzi, mi isolo schifato da molte cose, perché vedo le ingiustizie che colpiscono le donne, i bambini, i deboli, i vecchi, i gay, le lesbiche, gli stranieri onesti, i lavoratori precari, i giovani e così via.

E basta, perché a pensare a queste cose mi prende la rabbia, anche perché a volte mi rendo conto che per alcuni giovani il fascismo era bello, ed allora stiamo solo perdendo tempo, e spero solo che non ci caschiamo tutti di nuovo.

                                                                                    Silvano C.©


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lunedì 22 luglio 2013

Leandro


Sono nato in un paesino umbro, ormai 75 anni fa. Della mia infanzia ricordo la paura per le rappresaglie dei tedeschi, dei quali si raccontava che, durante la loro fuga verso nord, si comportassero peggio delle bestie. Ricordo che vivevo solo con mia madre e mia nonna, mio nonno morto prima che io nascessi, e mio padre prigioniero in Russia, e rivisto solo quando ormai avevo 7 anni. Non lo ricordavo più, e pure mia madre, pare che facesse fatica a credere che fosse lui. Eppure in quella casa fuori dal paese io ricordo di aver vissuto anche bei momenti, malgrado la guerra.

Non ho studiato molto, mi sono fermato alla terza elementare, e solo diversi anni più tardi ho scoperto che mi piaceva leggere, ed ho letto, ho letto tanto, perché i libri da un certo momento in poi non mi sono mancati, essendo stato assunto come sorvegliante e custode nella Biblioteca comunale Augusta poco dopo aver compiuto ventuno anni, al ritorno dal servizio militare, nella zona di Trieste.

All’inizio non avevo il coraggio di avvicinarmi agli enormi scaffali pieni di volumi antichi e preziosi, ma mi limitavo a svolgere il mio compito, che spesso consisteva, nelle ore notturne, a sorvegliare che nessuno entrasse di nascosto per rubare i preziosi testi antichi conservati in un paio di sale speciali, e quindi ogni tanto facevo giri nell’edificio deserto, sentendo solo il rumore dei mie passi.

Non ero inesperto con le ragazze, e non avevo paura di quelle del mio paese, con alcune avevo avuto già le mie esperienze, e la mia prima volta la ricordo ancora, con Mara, nel fienile dei suoi, che erano contadini, quando avevamo 15 anni io e 16 lei. Io non sono stato il primo per lei, ed infatti da lei ho imparato molte cose. Ma con le ragazze di Perugia, quelle che avevano studiato, mi sentivo un ignorante, ed era una cosa del tutto diversa, o almeno io ne ero convinto.

Francesca invece mi sembrò meno lontana delle altre sin dalla prima volta che la vidi. Lei era bibliotecaria allora, la più giovane bibliotecaria di tutte, era bella, istruita, e, per non so quale motivo, le ero simpatico. Iniziò col darmi da leggere un libro di Salgari, che a fatica, di notte, in quasi un mese riuscii a finire. Mi chiese come mi era sembrato, quando lo riportai, convinto che mi avrebbe sgridato come un ragazzino perché ci avevo messo tanto. Non sembrò per nulla colpita dal tempo che ci avevo messo, ma mi ascoltò con interesse quando le raccontai le mie impressioni. Mi sorrise e mi diede un secondo volume, stavolta di Verne, che lessi avidamente ma lentamente, impiegandoci ancora quasi un mese.
                                                            ……….
Francesca è morta da 4 anni, siamo stati sposati per quasi 50, abbiamo avuto due figli, entrambi laureati, Angela e Piero. Lei ha un compagno e vive a Parigi, parla italiano e francese con la stessa facilità, e mi ha regalato un nipotino, Andrè, che però vedo pochissimo. Lui invece è rimasto a Perugia, ed insegna nel liceo G.Galilei. E’ sposato ed ha adottato un bambino brasiliano. Sono stato a cena a casa loro poche sere fa. Mi ha fatto piacere la loro compagnia, ma io vivo a casa mia, con una signora ucraina che mi aiuta. Vivo come se Francesca fosse sempre con me, parlo con lei, le chiedo consigli su quale libro leggere adesso, litigo con lei, mi sembra di sentirla russare, di notte sento i suoi piedi freddi, mi sposta le cose per farmi scherzi.
Non mi manca, perché quando posso la vado a trovare in via Enrico dal Pozzo, e quando non posso è lei che viene a trovare me, qui, in via Luigi Masi. Noi non stiamo mai lontani, neppure ora.

                                                                                    Silvano C.©


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domenica 21 luglio 2013

Invisibili



Quanti sono gli invisibili, quelli che vivono con dignità, spesso con poco, talvolta in vera povertà, ma non chiedono nulla?
Non so quanti siano, sono tuttavia tanti, e si nascondono tra la furbizia e l’indifferenza di chi pensa di fare solo i fatti propri mentre invece, e di questo sono certo, non inganna neppure sé stesso, perché in alcuni atteggiamenti c’è almeno malizia, se non esattamente premeditazione.

È invisibile chi vive di una misera pensione, chi non è seguito dai figli adulti che stanno altrove, chi svolge il lavoro con attenzione ed impegno ma non ha ambizione di arrivare al posto di un altro, chi si defila quando gli altri si fanno avanti per accampare diritti, talvolta inventati o ingigantiti.

Conosco una famiglia che vive ai margini, con sussidi ed assistenze di ogni genere da parte dell’ente pubblico. Conosco ogni suo membro, più o meno direttamente, so la tecnica che usano per chiedere sbandierando la loro miseria, salvo poi fare voce grossa o avere atteggiamenti decisamente arroganti in situazioni diverse. Ho avuto la figlia come alunna, arrivava a scuola in taxi pagato dalla Provincia, vivevano e vivono ancora adesso in una casa popolare ottenuta con mille facilitazioni. Organizzammo una gita scolastica mediamente costosa, e loro furono prontissimi a presentare domanda di aiuti e coperture economiche, sulla base di documentazioni assolutamente regolari. Solo vari mesi dopo io venni a conoscenza che un’altra ragazzina, della stessa classe, non aveva partecipato alla gita per motivi che io pensavo personali e condivisibili, mentre in realtà la famiglia non si poteva permettere quella spesa, ed aveva inventato una scusa per evitare di dover spiegare e quindi chiedere sostegno.  Due giorni fa ho visto la madre, seduta su una panchina, telefonare con un cellulare nuovissimo, di ultima generazione, molto costoso, che io sicuramente non mi voglio permettere. Ancora oggi quella famiglia è seguita dall’assistenza pubblica.

Eppure, gli invisibili non li vediamo. Sanno rendersi tali.

                                                                                 Silvano C.©


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sabato 20 luglio 2013

Simposio



Adelandro – Benvenuti amici, sono felice che abbiate accettato il mio invito, anche se so che tra alcuni di voi si sono alimentate e cresciute nel tempo molte e forti contrapposizioni. Conoscete il tema che ci siamo dati, e vi invito a non uscirne, perché già capirci anche solo su questo, cioè approfondire le singole posizioni intendo, non certo abbracciarle, sarà impresa difficile. Io cercherò di essere solo un moderatore, senza prendere le parti di nessuno, per far rispettare le regole di una discussione saggia e prudente, onesta e corretta. Lascio la parola a chi vuole iniziare.

Belisa – Inizio io, se permettete. Molti mi conoscono, e so che mi prendete per una illusa invasata. Io però so che far soffrire o uccidere un altro essere vivente è male. Io vivo con cani, gatti, ed altri animali, che rispetto e mi rispettano. Questi sono migliori di molti di voi, sono buoni e fedeli, non mi hanno mai tradita come hanno fatto tanti uomini, sono loro i miei veri fratelli. Io non mangio e non mangerò mai carne, e mi sto allontanando anche dal latte, dal formaggio, dalle uova e da ogni prodotto di origine animale. Mi sento bene, sono in salute, sono attiva e la testa funziona. Il mio corpo non è obeso come quello di alcuni di voi, né la mia mente è oscurata da antichi…

Caldeo – Scusami, Belisa, ti devo interrompere, se non lo fa Adelandro. Non puoi attaccare nessuno dei presenti, solo discutere e presentare le tue idee, le tue opinioni, che noi ascolteremo, ma non puoi offendere. Io mangio carne, da quando ero bambino, e non mangio solo carne, ovviamente. L’uomo è nato onnivoro, ha denti canini adatti a strappare la carne, si è evoluto grazie all’energia che la carne gli forniva e lo rendeva più autonomo rispetto a chi consumava solo vegetali. È da un milione di anni che il nostro organismo si è adattato in modo da poter assumere gli alimenti che la natura ci offre. Rinunciare alla carne non ha senso.

Dario – Le cose cambiano, Caldeo. Io non sarei estremista come Belisa, perché non credo che un cane sia mia fratello, come ha detto prima. Ma non credo neppure a quello che mi dici tu. O almeno io starei attento a chiusure come le tue. Io vedo che il mondo muta, che noi uomini siamo sempre più numerosi, che non sappiamo controllare saggiamente il consumo di terre e mari e aria. Le acque sono sempre più inquinate, uccidiamo la natura e specie che non abbiamo mai conosciute spariscono ogni giorno. Dobbiamo consumare di meno, dobbiamo ridurre l’inquinamento, controllare le nascite, e modificare quindi il nostro stile di vita. Sicuramente dobbiamo ridurre il consumo di carne e di prodotti di origine animale, sia per la nostra salute che per il bene del nostro pianeta. Produrre un solo chilo di carne costa come produrre 10 chili di alimenti vegetali, che potrebbero sfamare più persone.

Adelandro – Grazie, amici, vedo che avete capito cosa si chiede da voi. Io vi chiedo uno sforzo ulteriore, e cioè di proiettare, come sta appunto facendo Dario, la vostra particolare visione che avete sul tema, sul futuro nostro e dei nostri figli. Il passato ci deve servire cioè solo come spunto di riflessione su quello che dovrà essere il nostro domani.

Belisa – Non offendo nessuno, io vedo la realtà. Non è giusto far soffrire inutilmente gli animali, né ucciderli. Non lo era in passato, non lo è oggi, e ancora di meno la sarà in futuro. Oltretutto i carnivori sono più aggressivi, ed ai soldati che vanno in guerra si offre una dieta ricca di carne per questo motivo. Anche Seneca faceva notare che tra i mangiatori di carne si trovano i tiranni, gli assassini, gli schiavisti, mentre coloro che si nutrono dei frutti della terra sono più miti. Nel giardino zoologico di Giesen un orso, se era costretto a mangiare carne al posto di vegetali, diveniva irrequieto e pericoloso. Il futuro dell’uomo è vegetariano, dovete accettarlo.

Ermete – Io faccio una riflessione economica, senza entrare nel merito dei vostri discorsi, per farvi notare un aspetto che sino ad ora avete ignorato. Tutta l’economia alimentare mondiale futura forse sarà diversa da quella di oggi, ma per adesso interi settori, come la zootecnia, l’allevamento, la pesca, l’industria conserviera e così via danno lavoro a milioni di persone, si rifanno a tradizioni e culture millenarie, e una modifica di tutto questo comporta una rivoluzione che non so assolutamente prevedere nei suoi effetti devastanti.

Dario – Hai ragione, Ermete, è per quello che io credo nelle modifiche graduali del nostro stile di vita. Non dimenticare però che l’allevamento arriva ad eccessi quando diventa intensivo, quando fa abuso di medicinali per aumentare la velocità di crescita, quando ignora l’inquinamento, quando il mangime è prodotto con farina proveniente da animali malati macellati, e che da tutto questo sono derivati mucca pazza, influenza aviaria e suina, mercurio nei pesci e così via.

Caldeo – Ma anche l’agricoltura è malata, con pesticidi, rifiuti tossici abbandonati e sepolti in zone di pregio agricolo. Questo annulla in parte la critica alla zootecnia. Il male cioè è comune. Siete sicuri che l’insalata che mangiate sia sana? Ne siete veramente sicuri? La verità è che noi siamo animali come tutti, e dobbiamo accettare la nostra natura, che è onnivora. E gli animali del resto si mangiano tra di loro. Provate ad allevare un carnivoro con le carote, e poi sappiatemi dire. Certe vostre affermazioni sono ridicole, scusate. Anche un vegano deve nutrire il suo cane con carne di altri animali, oppure non tiene animali a sua volta.

Belisa – Non diciamo cose sbagliate o di comodo, per favore. Molti degli alimenti dati agli animali domestici sono preparati  con gli scarti degli animali uccisi per gli uomini carnivori. E aggiungo che è una questione di consapevolezza e di libero arbitrio. Gli animali non possono scegliere, noi sì. E le galline non fanno le uova per noi, ma per mantenere la specie. Ecco perchè non mangio neppure le uova.

Caldeo – Ma sei incredibile, Belisa. neppure i fiori son fatti per noi, ma per produrre frutti e semi che servono a generare nuove piante, mentre mi pare che tu abbia un bel giardino, e che spesso tagli i fiori e te li porti in casa. Riguardo al libero arbitrio però hai ragione, e la consapevolezza che noi abbiamo, e loro no, per tua stessa ammissione, o almeno così ho capito, ci mette in una posizione diversa. Prima di tutto di decidere liberamente, e tu quindi non puoi decidere per me, ma questo è e resta un mio diritto. Poi anche di nutrirmi di loro, come loro stessi non si pongono neppure il problema se è il caso o meno di nutrirsi di altri animali.

Fosco – Io non sarei tanto arrabbiato e coinvolto nella questione, come state facendo voi due, che ne fate un fatto personale, quasi. La scienza medica consiglia una alimentazione variata e nessuno studio serio dimostra che un apporto moderato ed equilibrato di alimenti di origine animale possa essere dannoso per un individuo sano. In certe patologie o in certe fasi dello sviluppo poi la carne è assolutamente indicata, anche se alcuni sostengono che possa essere sostituita, come dice ad esempio il professor Veronesi. Pure io credo che possa essere sostituita, anche se con alcune eccezioni limitate. Ma che si possa sostituire non significa che sia dannosa se si consuma. Sono due concetti diversi.

Caldeo – Ma voi sapete cosa mangiano gli eschimesi? Praticamente solo carne e grassi animali.

Dario – Io penso che alimentarsi solo con vegetali sia difficile e richieda tempo, cosa che molti non hanno. E poi serve attenzione a non accumulare carenze di nutrienti. Difficile mangiare fuori casa solo vegetariano ad esempio, senza spendere cifre folli, e poi, in tempi di crisi, una alimentazione sana è un lusso che molti non si possono permettere più.

Belisa – Voi esagerate. Si può fare benissimo. Basta studiare un po’ gli alimenti, ed organizzarsi. Io poi sono contraria pure a vivisezione e sperimentazione di farmaci sugli animali, perché sono come noi. Con che coraggio o con quale logica mi dite che il gattino non si mangia e il vitellino invece si?

Adelandro – Belisa, non ci interessa qui la sperimentazione sugli animali, la tua posizione del resto è chiara. Attieniti al tema. È corretto invece il tuo riferimento a gattino e vitellino.

Dario – Si, va bene, ma io sono per il mangiare sano senza dogmi. Ed il mangiar sano comprende anche un po’ di carne. Inoltre non scordo la storia umana, il suo passaggio dal nomadismo con caccia e raccolta occasionale di frutti alla vita sedentaria, con allevamento ed agricoltura. Noi siamo quello. E nel tempo le nostre condizioni sanitarie sono migliorate, anche grazie all'alimentazione più sana e completa ed alla sperimentazione su animali (chiedo scusa e mi fermo subito su questo aspetto). Vi cito solo una frase di Eugenio Del Toma:
“….nel caso dei vegetariani, dunque, non si contesta un possibile orientamento, ma piuttosto l'esasperazione, la rigidità che sconfina nel dogma, scelta che può benissimo avere ragioni etiche, filosofiche o religiose, ma non ne ha dal punto nutrizionale.
La nutrizione non è una religione. Nessuno vuole demonizzare una dieta vegetariana prudente e ben fatta, anzi, ci si possono trovare anche dei vantaggi rispetto al “mangiar comune” di tanta gente che non cura particolarmente l'alimentazione. 
Ma non credano i vegetariani che la loro astinenza “a oltranza” dalla carne e dal pesce sia nutrizionalmente motivata.”

Caldeo – Ma voi sapete, scusate se vi sembra una provocazione, che anche i vegetariani, o gli erbivori se preferite, sono pericolosi? Avete mai visto un toro incazzato?

Belisa – Io allora cito le parole del professor Armando D'Elia:
 “Un numero crescente di persone, specie giovani, hanno raggiunto questo livello di consapevolezza e hanno "depurato" la loro maniera di alimentarsi; sono, cioè, diventati vegetariani, conseguendo, con questo, non solo un miglioramento evidente della propria salute fisica, ma anche una serie di conseguenze positive nel campo mentale. Il cervello, nutrito, come prima si diceva, con sangue disintossicato, acquista caratteristiche fisiologiche positive particolari: il pensiero si fa più lucido e penetrante, si consegue una vera e propria "dilatazione della mente", aumenta la capacità di autocontrollo e la resistenza al lavoro intellettuale e a quello fisico; scompare lo stato di nevrosi e di violenza cui si accennò nel precedente stelloncino dando posto ad un atteggiamento improntato invece a tolleranza, a mitezza, a disponibilità al dialogo sereno, alla ricerca di soluzioni pacifiche delle vertenze, alI'amore,  alla socievolezza, alla condivisione. A QUESTO PORTA IL VEGETARISMO. “

Fosco – Vi invito a riflettere su un particolare alimento, o meglio su una sostanza presente in molti alimenti erroneamente ritenuti solo bevande: l’alcol. L’alcol è di origine vegetale, ma per il nostro organismo è un veleno, specialmente se assunto in eccesso o in condizioni particolari. E all’alcol associo molte sostanze di origine vegetale, come droghe e altri principi usati in medicina da considerare a parte. Ma questo credo che esuli in parte dal tema discusso, e mi fermo qui.

 Adelandro – Si Fosco, in parte esula, hai ragione. Io suggerisco di chiudere qui, per ora, questa nostra discussione. Ringrazio quindi te, Belisa, Caldeo, Dario ed Ermete per quello che avete detto. Posso solo dirvi, da parte mia, che nessuno di voi ha detto cose che, almeno in parte, io non possa condividere. A presto

                                                                                                     Silvano C.©


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mercoledì 17 luglio 2013

Quanto del futuro dipende da noi?


Anche senza alcun nostro intervento, attivo o passivo, il futuro arriverà.
Noi ci saremo o forse no. È sperabile che nel futuro prossimo quasi tutti noi possiamo esserci, anche se, come già cantava Dalla, se qualcuno sparisse non sarebbe un gran danno.
Io sono spinto da due opposte forze.
La prima mi dice, in modo chiaro ed esplicito, che in ogni caso la natura farà il suo corso, che io sparirò senza lasciare tracce o con segni talmente labili che tra non molto la mia individualità sarà sparita ed i miei atomi riutilizzati in altro modo (come del resto già avviene con un ricambio talmente continuo ed incessante che stento a pensarmi ancora lo stesso di ieri o di un anno fa). Come me spariranno persone care e che ho amato, amici, parenti e conoscenti. Lentamente, solo più lentamente, del resto, spariscono anche i grandi che hanno segnato la nostra storia.
La seconda forza mi dice invece che qualcosa resterà, dei miei gesti e nelle mie azioni, in quanto ho trasmesso, consapevolmente o inconsapevolmente. E questo mi spinge ad agire, a cercare non tanto per lasciare una impronta duratura, anche se ovviamente un po’ ci penso, quanto piuttosto per modificare il presente, e migliorarlo, per allargare un po’ il numero degli aventi diritto e per togliere potere a chi non lo sa gestire per il bene comune.

 "da noi le sere d'inverno portano ancora i racconti, e i racconti son la nostra gente.e quel che di loro rimane. (tornato buon ricordo)" aggiunge a commento di questo testo un'amica.

A questo punto mi scontro con la mia incompetenza, e con la constatazione che di qualcuno mi devo fidare, che non posso conoscere tutto, che non ho letto quasi nulla di quanto c’è in una biblioteca, che la mia ignoranza è abissale, e tento allora, più modestamente, di informarmi sui pochi temi per i quali sento vicinanza e di trasmettere un po’ di quanto ho capito, sino ad oggi, ben sapendo che domani le cose potrebbero mutare.
                                                                 Silvano C.©


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martedì 16 luglio 2013

Senza uomini



È trascorso un tempo lunghissimo e significativo della mia breve vita di uomo, un tempo che ha portato mutamenti e grandi sogni e speranze e illusioni di avere un mondo di diritti e certezze di una vita migliore per i nostri figli.
Tutto bruciato e finito. Le donne ancora devono ottenere i diritti che sembravano dietro l’angolo. Ancora molte di loro mi escludono, perché uomo, maschio, che ragiona col cazzo e non con la testa, che parte da una situazione di privilegio, che non sa cosa significa vivere nel corpo di una donna, subire violenza ancora oggi dagli stessi parenti.
È vero, molte cose non le so, sono incompleto, appartengo, non per mia scelta, ad un genere preciso, e neppure tutto del mio genere conosco, perché non so cosa significa essere gay o transessuale ad esempio. Non posso avere tutte le esperienze del mondo, e neppure lontanamente pensarlo. 
Quindi va bene. Accetto di essere escluso ancora una volta, come negli anni 60 del secolo scorso, è giusto, non posso dire cosa deve fare una donna, femminista o meno che sia, che lotti per una sua particolare visione della dignità o esattamente per il suo opposto.
Accetto, e spero che questo mondo senza uomini venga superato, una volta per tutte, che l’idiozia maschile e la violenza sorda di chi non trova argomenti ma solo forza bruta vengano messe alle corde dagli uomini ormai stanchi di appartenere ad un genere di oppressori. Non è per diritto divino che il potere è maschile, ed io poi non credo al divino, e rifuggo da ogni posizione religiosa che non ponga assolutamente sullo stesso piano i generi.
Quando vedrò una donna Papa, ad esempio, inizierò a seguire con interesse quanto predica la Chiesa. Prima non mi è possibile.
Ben venga quindi un mondo senza uomini, se noi uomini non sappiamo fare di meglio.


                                                                                   Silvano C.©


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lunedì 15 luglio 2013

Matrimonio, per così dire…


Mettiamola così. A tutti fa piacere essere ascoltati quando si ha voglia di dire qualcosa. Altre volte non si ha desiderio di dire o scrivere, ed allora si ascolta e si legge, o semplicemente si eseguono lavori manuali, o ancora ci si isola un po’ dal resto del mondo, perché pure di questo si ha bisogno, di tanto in tanto, in modo naturale e per niente patologico. A patto di non esagerare, ovviamente, perché ogni medicina è veleno se usata in dosi eccessive.

Ora voglio raccontare del mio matrimonio, avvenuto ormai nel secolo scorso, nel millennio scorso. Quando la rete era solo quella da pesca.
Matrimonio civile, in quel di Riva del Garda, lontano dalla mia città di origine, come lontano dalla città di origine di mia moglie: par condicio.
Cerimonia in Municipio, “officiata” da un oscuro commerciante locale che neppure conoscevo di vista, delegato dal sindaco ma con fascia tricolore, perché, se una cosa so di non essere, è persona importante. Non sono mai riuscito a capire come introdurmi negli ambienti su; per mancanza di ambizione, di vera motivazione o probabilmente di doti tali da farmi emergere di luce mia propria.

Invitati pochissimi: genitori e parenti prossimi, alcuni amici del momento e della mia storia. In tutto una ventina di persone.
Abbigliamento assolutamente non acquistato per l’occasione ma pescato tra le cose più adatte, a nostro insindacabile giudizio, tra ciò che già possedevamo. Mi è costato molto di più, pochi anni dopo, partecipare, da solo, al matrimonio di uno di quei pochi amici invitato al mio. Il suo è stato uno sposalizio da manuale, con tantissimi invitati, cerimonia in chiesa, gente elegante e pranzo in un ristorante lussuoso. Io, per l’abito scuro e adatto all'occasione, il regalo importante, il viaggio in una regione lontana ed il soggiorno in albergo mi sono sottoposto ad un piccolo salasso senza poter dire di no, pur essendo l’opposto della mia filosofia di vita. 
Ma per tornare al mio, di matrimonio, ricordo che quando scendemmo in cortile dal salone del Municipio ci lanciarono riso che avevano sottratto a nostra insaputa a casa nostra (perché, non l’ho ancora detto, io e mia moglie convivevamo già prima del matrimonio). Riso integrale, accidenti. Ma sul momento non lo realizzai e sorrisi come uno stupido, come conviene sempre in tali casi.

Il pranzo di nozze fu una comica. Si svolse presso un agritur, con antipasti della casa e un primo costituito da canederli. Mio padre brontolò non tanto sottovoce che lui, un banchetto matrimoniale con pane secco in brodo servito come unico primo piatto lo trovava poco adatto. Pure la torta, una crostata, venne giudicata poco consona dai puristi della cerimonia. Ma tant’è, quello ci piaceva, e quello scegliemmo ed organizzammo. Volevamo una cosa informale, che non impegnasse nessuno a sprechi inutili, volevamo condividere un momento, e ci siamo riusciti.
Anche il servizio fotografico non fu da meno. La foto più bella che abbiamo è quella dove noi due salutiamo da una finestra dell’agritur, ripresi dal basso. Io in posa papalina e benedicente, lei sorridente e più composta. 
Anche le altre poche foto sono state uniche nel loro genere. Un amico ha rimesso per errore nella fotocamera un rullino con immagini delle sue vacanze. Il risultato è stato spiazzante. Ad esempio ora mia moglie e mio suocero sono assieme e sovrapposti ad un suggestivo tramonto greco; solo un professionista creativo avrebbe potuto immaginare di realizzare un'immagine simile.

Pure altre cose furono uniche nel nostro matrimonio, ma non ha senso dilungarmi in tali ricordi personali, visto che lo spirito della cerimonia credo di averlo descritto a sufficienza.

                                                                                  Silvano C.©


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Slot



Inutile raccontare storie o cercare scuse. Sfruttare tanta povera gente spesso (anche se non sempre, è chiaro) culturalmente inadeguata ed economicamente in difficoltà con le slot, i gratta e vinci, i giochi in rete e così via è profondamente sbagliato ed indice di una crisi profonda, se ancora avessimo bisogno di nuovi indicatori a tal proposito.

Occorre prima di tutto mettere in chiaro che:
·  Se il gioco è regolato dalle leggi dello Stato è perfettamente legale e chi installa macchinette nel proprio esercizio non commette alcun illecito.
·  Chi vuole giocare è libero di farlo, purché maggiorenne e non interdetto.
·  Chi guadagna anche oltre il necessario per mantenere la propria famiglia da questa attività ha il diritto di farlo.
·  Lo stato dovrebbe modificare una legislazione ipocrita che da un lato sfrutta fiscalmente il gioco d’azzardo, il tabagismo e l’alcolismo, per restare limitato a temi simili, e dall’altro condanna e fa campagne pubblicitarie contro tali comportamenti personali.
·  Mi è difficile condannare moralmente un bar o una rivendita di giornali o tabacchi che, per non fallire, installa una slot, e cerca di non abusarne.

Il fenomeno è esploso in contemporanea con la profonda crisi che attraversiamo, e gli organi di informazione quasi giornalmente pubblicano notizie di schiavi patologici del gioco sempre più numerosi che rovinano sé stessi e le proprie famiglie, talvolta con conclusioni che portano al suicidio, al furto, alla denuncia per dichiarazioni false e così via. Sono persone malate, si parla a questo riguardo giustamente di "ludopatia", e qualcuno ne approfitta.

Io vedo la sua diffusione capillare, e tutti lo vedono, se non sono ciechi. Vedo l’Italia trasformata in un paese della speranza nel gioco e nella fortuna, in una enorme bisca legalizzata (dimenticando in questo ragionamento la malavita, il riciclaggio, il nero, che meriterebbero un serio approfondimento).
E vedo chi non si accontenta, si comporta da squalo senza scrupoli, e vuole accumulare denaro oltre quanto sarebbe accettabile e sufficiente per vivere in sicurezza e dignità. Cioè vedo, come tutti, chi con le slot si può permettere una vita di lusso, auto costose, case di prestigio, e trovo questo tanto più squallido quanto più lo vedo legato allo sfruttamento di poveri illusi, in buona fede, che scambiano per amici i gestori di questi locali.
Ho visto con i miei occhi una povera donna gioire di una vincita al gratta e vinci, e la vincita era di 50 euro, mi pare. Questa, euforica, ha dato 10 euro di mancia alla venditrice del biglietto fortunato, e questa disonesta disgraziata, perché non la so definire in modo diverso, ha accettato i soldi, come se già non ne avesse avuto il suo legalissimo e sicuro guadagno.
Ecco, tutto questo mi ferisce profondamente, lo trovo a dir poco schifoso, e, per questo motivo, qualcuno mi ha definito moralista. Evito, per educazione, di spiegare cosa penso io di questa persona che difende la libertà se non si infrange nessuna legge.
Tra legge e giustizia non c’è corrispondenza, ecco cosa mi limito ad osservare.

                                                                                             Silvano C.©


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domenica 14 luglio 2013

Virtuale


 Informativa sulla privacy
Sono obsoleto e quindi uso strumenti di lettura non sempre aggiornati e compatibili. (Pensate che ho nostalgia del vinile, della pellicola fotografica, delle audiocassette…)
Io, riguardo al termine “virtuale”, ero fermo al suo significato filosofico, oppure all’immagine che si forma con certe lenti, o ancora all'aspetto anatomico, e a simili definizioni, cioè a concetti vecchi di secoli.
Ora invece virtuale è ciò che effettivamente viviamo, almeno per un po’, ogni giorno, tutti noi che siamo in qualche modo in rete. E il virtuale si confonde col reale, col solido, con la persona viva che soffre ed ama, che suda col caldo, che ride di una stupidaggine che fai e che ti guarda negli occhi, che vede come sei e alla quale non puoi raccontare che sei alto, bello, biondo, ricco e dotato di mille qualità.
Il virtuale così vissuto è una trappola che ancora non si è rivelata in tutta la sua distruttiva capacità, o in tutte le sue magnifiche opportunità. Invade la vita privata come mai prima nella storia umana, neppure nelle peggiori dittature che l’uomo ha subito o subisce (e le dittature o i regimi non amano particolarmente le potenzialità di comunicazioni del mondo virtuale, sono pericolose, per loro)
Io penso solo ai rischi che corriamo di staccarci dalla realtà, di illudere persone, di raccontare cose con eccessiva leggerezza, senza pensare che poi qualcuno ne potrebbe soffrire, anche noi stessi, ovviamente.
Un amore virtuale esiste o deve necessariamente divenire prima o poi reale? Ed un tradimento virtuale è meno grave di uno reale o invece è esattamente la stessa mancanza di rispetto per la persona che stiamo ingannando? Non approfondisco per pietà il sesso virtuale, che ci rende incapaci di rapportarci correttamente con gli altri, che trasforma il reale in artificiale, e che può gettare le premesse per incomprensioni o violenze.
E fuggire dalla vita reale perché inaccettabile, difficile, problematica è lecito se poi ci si ritrova in un virtuale, onanistico, autoreferenziale mondo inesistente, che fuori dalla porta di casa si scioglie e ci lascia nudi?

                                                                                       Silvano C.©


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