domenica 30 giugno 2013

Di fronte al dolore sono disarmato


Ieri camminavo, auricolari del lettore mp3 nelle orecchie con un audiolibro a farmi da colonna in prosa al mondo. È passato un giovane ex collega in auto. Gli sono affezionato. La macchina colma in modo incredibile di oggetti, mi ha spiegato, lo faceva sembrare simile ad un nomade. 
Stava trasferendosi, dopo la conclusione dell’anno scolastico. Sapevo che la ragazza con cui stava era morta in questa primavera, lo avevo già incontrato. Mi ha spiegato che negli ultimi tempi ha sofferto molto, che lo ha fatto senza lamentarsi, che lei ha accettato il suo destino.
Mi ha poi confessato che ora non ha più paura della morte, e che malgrado tutto crede. 
Io gli ho fatto notare di essere invece un miscredente, senza insistere ovviamente, perché non era giusto per lui e neppure per me.
Aveva fretta, ma ha rubato un po’ di tempo per raccontarmi poche piccole grandi cose, quelle che segnano i passaggi di una vita. Lui ora pensa di cercare una vedova, una donna che possa condividere il senso della perdita, una persona che abbia magari già figli, per aiutarla a farli crescere. Io gli ho spiegato che secondo me il fatto stesso che lui sia aperto alla ricerca o alla possibilità di nuovi incontri non lo indirizza necessariamente nella direzione da lui descritta, ma neppure su questo ho aggiunto molto, perché in fondo chi mi dice che non abbia ragione lui.
La vita è complessa, sia per atei che per credenti, ed alla fine non ho molte certezze in merito. Quando a volte io teorizzo e prendo una posizione netta, spero di non esser mai integralista, perché è l’integralismo che in realtà rifuggo. Non è la buona fede di chi opera nel rispetto degli altri seguendo il proprio dio o la propria idea che trovo pericolosa, bensì la cecità dell’uomo che si piega e dimentica la propria umanità.
Di fronte al dolore, poi, sono disarmato.

                                                                                                           Silvano C.©


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sabato 29 giugno 2013

Vienna


Vienna è sicura, attraente, elegante e distante. La mia atavica timidezza annebbia sicuramente questo primo giudizio, e lo deforma.
Quando arriva è impossibile non notarla. Anche le colleghe l’ammirano, forse perché sembra fuori posto, sicuramente non una rivale, loro hanno già intuito.
Vengo affiancato a lei , sul lavoro, per il breve periodo che resta con noi. Le battute di tutti nei miei confronti non mancano, ma me la cavo rispondendo banalità, perché non si arriva mai a discorsi seri, e pure a me fa molto piacere movimentare l’ambiente, assolutamente consapevole che un sorriso o uno scherzo aiutano a iniziare bene la giornata, ed a superare le immancabili difficoltà e fatiche.

Rimane poco tempo, la prima volta.

Alcuni anni dopo, in un’altra occasione, eccola riapparire. La voce si diffonde ancor prima che io la veda fisicamente. Il destino la riaffianca ancora a me, e si sprecano le solite battute.
Lei sembra ancora più bella, alta ed elegante. A prima vista sembra aver sbagliato lavoro tanto è diversa dalle altre, ma a sua difesa, e tanti anni dopo, devo dire che non ha lasciato dubbi sulle sue capacità o sulla sua professionalità, né voci malevoli l’hanno criticata dopo che è andata via per la seconda ed ultima volta. Quindi è bella, intelligente e capace. Ma il dubbio mi resta dentro, sino a quando, in un paio di occasioni, inizio a capire. E questo non perché io sia particolarmente perspicace, ma per il fatto che lei parla, e mi racconta, quando si rende conto che si può fidare.

Con lei non ci provo. Sarei come minimo ridicolo. E non mi va neppure di fare battute allusive come altri colleghi più sicuri di me si permettono, sentendosi spiritosi. Queste si sciolgono prima di arrivare a lei, che le annulla con un sorriso o un semplice sguardo interrogativo.

In una prima occasione mi racconta ben poco, ci prendiamo solo le misure, e pure io mi sento molto bloccato, non sapendo esattamente come e cosa dire oltre alle solite frasi fatte.
La seconda volta però ci raccontiamo alcune cose. Io le trasmetto un po’ dell’entusiasmo che ancora provo per il lavoro, oltre che dirle sommariamente della mia vita privata, e lei parla della sua, che non è tutta splendore come appare.

È innamorata di un uomo anziano e molto ricco, intuisco sposato o comunque già impegnato. Lui la vuole elegantissima e appariscente, ed a lei questo fa piacere, ma non come anni prima, perché ora vorrebbe altro. Lei è molto legata a quell’uomo, ma non per il tenore di vita che le permette, o non solo per quello. Prova un sentimento profondo, che avverte sempre più dolorosamente squilibrato.
Io so ascoltare, quando mi dice tutto questo, ma non mi riesce di darle un aiuto serio quando mi confessa che da tempo medita di lasciare l’Italia ed accettare un incarico all’estero, anche perché si guadagna quasi il doppio che in patria, e la carriera procede più velocemente. Cerco di fare osservazioni di buon senso, ma capisco di essere inadeguato, malgrado le mie intenzioni.

Poco dopo la perdo di vista. Non so se è veramente andata all’estero, perché non ci siamo mai scambiati i numeri di telefono. Spero solo abbia trovato una sua strada, perché tutti cerchiamo qualcosa.

                                                                                                           Silvano C.©


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venerdì 28 giugno 2013

Irene


Trascini uno zainetto più grande di te, che pesa più di te, ma che non vale quanto vali tu.
Ai denti hai piccole piastrine metalliche, e per queste i compagni ti prendono in giro, perché sanno essere stupidi e crudeli alla vostra età.
Sei costretta a portare un fastidioso busto, che ti impedisce di fare alcune cose, ma che per fortuna non indosserai ancora a lungo.
Hai paura di troppe cose, perché hai capito che la vita non è tanto semplice come pensano alcuni maschi.
Hai progetti indistinti ma una forza di volontà che piegherebbe una barra di acciaio, se messa alla prova, e bucherebbe il cemento, come fa la piccola piantina che si trova davanti questo ostacolo.
Sei fortunata perché hai una famiglia che ti ama, e che estende l’amore anche ad un fratellino nato in un altro paese lontano.
La vita ti attende al varco, saprai conquistare il tuo spazio, saprai soffrire per le cose che contano, amerai e sarai amata come è giusto che sia, sino a quando non sarai più una bambina.
Spero che tu ricordi sempre come eri da bambina.



                                                                                                           Silvano C.©


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Voglio un Bel Paese


Dicono che per giudicare un ristorante occorra vedere anche lo stato dei suoi servizi igienici, e la mia scarsa esperienza personale in effetti lo conferma.
Bisognerebbe poter visitare pure la cucina, ma questo non è consentito ai normali clienti, e quindi rimane una zona grigia, inaccessibile, della quale tuttavia dobbiamo tener conto.

Con le Città, le Regioni o gli interi Paesi un simile metro di civiltà è perfettamente trasferibile, andando stavolta a guardare le periferie e le zone degradate. Occorre cioè giudicare non solo partendo dai monumenti storici e dai centri residenziali dell’elite, ma verificando come vivono i poveri, gli umili, le classi meno fortunate.

Un degrado fisiologico, un imbarbarimento in alcuni luoghi fa parte delle nostre contraddizioni di esseri umani. Quando tuttavia si avverte una mutazione sociale, nel senso che le aree degradate si restringono o si allargano, allora scattano una soddisfazione oppure un allarme che a volte si amplificano anche in modo irrazionale.

Quando ad esempio troppi trovano normale gettare rifiuti ovunque capiti (e parlo di mozziconi, gomme da masticare, lattine, bottiglie, cartacce …), oppure ritengono loro diritto appiccicare dappertutto adesivi e manifesti non autorizzati, o riempire con scritte (liberate XXX, no tav, no guerra, no fasci, viva il duce …) o ancora trovano facile e divertente essere vandali imbrattando muri privati e pubblici, distruggendo arredo urbano, rovinando monumenti e cartelli, e così via, ecco, quando succede questo, allora siamo certi di essere in presenza di una civiltà malata. Che questa sia curabile o meno non lo so, sicuramente occorre tentare.

Cosa spinge a degradare l’ambiente nel quale si vive, a non rispettare gli altri che vivono vicino a noi, a dare maggior peso al proprio piccolo interesse rispetto al bene comune?
Tento alcune risposte, ma altre credo siamo possibili:
Gesti di piccoli balordi immaturi in branco che, crescendo, cambieranno e rinsaviranno.
Lotta politica apparentemente democratica, ma che non accetta le modalità democratiche.
Protesta di chi non possiede nulla, e quindi nulla ha da difendere o da perdere.
Ignoranza e/o disinteresse, perché non si hanno altri modelli di vita.
Provenienza da culture degradate, e quindi ancora in fase di civilizzazione.
Fallimento della scuola pubblica e privata, e paradigmi sbagliati imposti dai media.
Peggioramento delle condizioni economiche generali e contemporanea presenza di demagogia e populismo che soffia sul fuoco dello scontento, senza offrire soluzioni.

Inutile aggiungere che io vorrei periferie vivibili e decorose, accoglienza per chi la chiede e rispetto delle nostre leggi per una civile convivenza.

                                                                                                           Silvano C.©


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mercoledì 26 giugno 2013

Iconoclasta



Quanti grandi del passato meritano oggi la nostra attenzione o, per essere più preciso, di essere ancora considerati esempi, modelli di vita, ispiratori e maestri?
Miguel de Cervantes, per citarne uno solo, non assegna alla donna un pensiero moderno, emancipato, ma la relega negli stereotipi del tempo, affidandole un ruolo a dir poco discutibile.
Per i grandi filosofi greci era del tutto normale considerare uomini degni di questo nome solo una ristretta cerchia di persone, mentre il resto dell’umanità doveva semplicemente contribuire alla vita di questi fortunati.
Tanti  pedofili un tempo trovavano naturale abusare dei minori, con l’approvazione dell’intera società e dei minori stessi.
Una lesbica o un omosessuale che ruolo mai potevano pretendere se esibivano come oggi si deve, con orgoglio, la loro natura al fine di ottenere il giusto riconoscimento?
E molti scritti sacri perché godono oggi di tanto credito se teorizzano la riduzione della libertà e della dignità di interi gruppi di appartenenti al genere umano?
Possiamo distruggere, con opera capillare, prima di tutto dentro noi stessi, tutti questi falsi modelli che devono essere superati, e solo dopo forse rivalutati. 
Per quanto riguarda la nostra cultura e la nostra società, abbiamo il dovere di far nascere ogni volta il dubbio nei seguaci acritici di oggi, a maggior ragione su quanto abbiamo accettato come tradizione.

Concludo precisando che non intendo fare alcuna crociata. Mi sono bastate quelle che hanno opposto cristianità e mondo arabo nei secoli passati. Né intendo passare da un integralismo ad un altro. Ognuno si tenga le proprie icone, sacre o secolari che siano. Se è nato un dubbio, ne sono felice. Non scordo che i mulini a vento sono oggi le pale eoliche.


                                                                                            Silvano C.©


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lunedì 24 giugno 2013

Il cervello rettile

Henri Laborit
Scriveva Henri Laborit, rifacendosi parzialmente alle teorie di Paul McLean, che noi umani  possediamo un cervello primitivo, un cervello rettile, responsabile dei nostri istinti primari come nutrirci, riposarci, riprodurci, difenderci in caso di pericolo e così via. Su questo cervello si è evoluta in un secondo momento la corteccia, la sua parte più recente. Quest'ultima tuttavia non si è mai del tutto emancipata da quel suo primo nucleo, che continua a coesistere con lei.

Non pensavo a questo quando oggi  ho visto l’accoppiamento tra due lucertole, su un muro, o a dire il vero non ci ho pensato subito. Ed è stata l’insegnante che ha preso il mio posto nella scuola che ho lasciato a chiamarmi per farmelo vedere, a farmelo notare, altrimenti mi sarebbe sfuggito.

Una lucertola un po’ più grossa ne teneva un’altra un po’ più piccola mordendola alla base della coda. Quest’ultima fuggiva, arrampicandosi sul muro, seguita dal maschio che non la mollava. Ad un certo punto è riuscita a staccarsi, ma lui l’ha raggiunta di nuovo, l’ha bloccata e, piegando il suo corpo ad arco, si è accoppiato con lei. Tutto è durato una trentina di secondi, non di più. L’aggressione amorosa seguita dall’accoppiamento si è risolta alla fine con la separazione tra i due, che sono rimasti per un po’ immobili, a riprendere le forze.

La natura ci ha offerto spettacolo del suo modo di operare, di come mantiene e riproduce la vita, del gioco tra i sessi. Ed è stato allora che ho ripensato a quel libro di Laborit letto tanti anni prima: “Elogio della fuga”, ed al film: “Mon oncle d'Amérique”, che alcuni anni dopo Alain Resnais ha girato con Laborit nel ruolo di sé stesso.
Impossibile non fare associazioni di idee, non vedere ciò che rende simili uomini e rettili, ma poi mi sono fermato. Noi abbiamo la corteccia, noi abbiamo mezzi culturali superiori a quelli dei rettili. Noi siamo più evoluti. I nostri istinti, se siamo educati a superare le incrostazioni ancestrali, possono essere tenuti sotto controllo, e siamo in grado di arrivare ad una nuova era di rapporti tra femmine e maschi, sino ad avere finalmente il diritto di chiamarci donne e uomini.
La strada è ancora lunga. Il potere in mano ai maschi in molte culture e tante religioni che contribuiscono a tenere la donna in una situazione subordinata sono grossi ostacoli da superare. Io sono certo tuttavia che la corteccia riuscirà, alla fine, a prendere il sopravvento sul cervello rettile.

                                                                                                  Silvano C.©


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sabato 22 giugno 2013

Proprietà delle 4 operazioni: La moltiplicazione


La moltiplicazione ha solitamente due termini, chiamati fattori. Possono però essere anche molti di più, e matematicamente sono interscambiabili, per la proprietà commutativa. Ogni fattore gode l’identica dignità di ciascun altro, e ciò rende questa operazione molto democratica. L’idea di aumentare, moltiplicare appunto, presuppone crescita, e questo politicamente ed economicamente porta con sé il consenso di molti.

La moltiplicazione ha un risultato, il prodotto, e parlare di fattori e di prodotti fa pensare alla terra, al lavoro nei campi, e predispone ad una visione ottimistica e pragmatica della vita, in armonia con la natura. Solo recentemente le leggi economiche hanno stravolto questa impostazione storica ed hanno imposto un diverso tipo di prodotto, chiamato PIL, demolendo culture e colture millenarie. Gli effetti finali di quest’ottica modificata ancora non si sono manifestati in tutto il loro potenziale distruttivo, ma già in molti chiedono di tornare ad una maggior attenzione per il nostro pianeta, e vogliono che il semplice profitto non prenda il posto del più corretto prodotto.

La moltiplicazione ha un segno, il per, che si indica a volte anche con un puntino. Talvolta questo segno è persino sottinteso, invisibile. Qualcuno viene tratto in inganno quindi, non riconoscendo subito la presenza di questa operazione, tradendo al contempo la superficialità del suo osservare.


La moltiplicazione ha varie proprietà. La commutativa è già stata ricordata. L’associativa  e la dissociativa aiutano nei calcoli a mente, perché il cervello va tenuto in esercizio, e funziona anche al buio, senza pile e senza corrente. La più complessa è la distributiva, ma non ho voglia di spiegarla, e questo non è un manuale di matematica. La matematica è nel cuore, è sfida continua, non è semplice sequenza di regole da imparare a memoria. Si deve amare come si ama un trenino elettrico, o una lettura, o una passeggiata. Come si arriva ad amarla non lo so. Io forse ho avuto le persone che mi hanno apprezzato da piccolo con qualche frase giusta. Forse ci sono nato. Magari è la compensazione per altre carenze (nessuno è perfetto…)


La moltiplicazione, spiegata in altre parole, non è altro che una addizione di addendi uguali tra loro ripetuta per un numero preciso di volte, magari applicando più volte l’algoritmo.
Parlando di moltiplicazione è impossibile non ricordare le tabelline, alla base di ogni vera possibilità che abbiamo di padroneggiare le operazioni più complesse.
Generazioni di maestri, giustamente, hanno insegnato per anni:
3x1=3
3x2=6
3x3=9
 e così via
Poi è arrivata una maledizione, che ha colpito la scuola elementare, e si è iniziato ad imparare: 3, 6, 9, 12, 15….
Da quel momento i ragazzi hanno smesso di usare la testa per calcolare, ma hanno iniziato ad usare le dita, con una regressione tragica.

Da ricordare poi che la moltiplicazione ha un elemento neutro, che lascia il risultato inalterato. È 1, l’unità. Se io mangio una volta un panino, mangio un panino. Non mi sembra difficile da capire.
Leggermente più complesso invece è immaginare come si possa moltiplicare e ritrovarsi con un risultato inferiore, esattamente come se si fosse diviso. E' il problema che incontra chi ragiona per pregiudizi, in altre parole. Questo resterà tuttavia un piccolo segreto, che scoprirete da soli, se già non lo sapete, perché un po’ di complicità serve sempre, e rende piccanti i cibi altrimenti meno attraenti.
Per quanto riguarda la gerarchia, moltiplicazione e divisione si eseguono sempre prima di addizioni e sottrazioni, quando si trovano in espressioni. Ma qui occorre fare una parentesi. Appunto. Una parentesi può infatti alterare questa gerarchia, e serve a ridiscutere quanto sembrava condiviso. Nella vita, col tempo, si capisce che le parentesi sono tante e varie, e semplificare ogni cosa è operazione sempre rischiosa, se non decisamente populista e sbagliata. Questo mi porta alla considerazione che, pur ritenendo la moltiplicazione democratica, come ho già scritto, è la matematica come concetto a non esserlo. Un calcolo, insomma, non è corretto se lo vota la maggioranza degli aventi diritto, ma è corretto solo se risponde e rispetta ogni regola ed ogni proprietà che lo riguarda.


Ecco, non resta molto da aggiungere direi, tralascio alcuni facili giochi di parole, e scrivo solo la dedica finale.
A Clelia, che pensa di non sapere la matematica, ma non sa che la matematica non ha mai smesso di pensare con amore a lei.
                                                                                            Silvano C.©


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giovedì 20 giugno 2013

Dolores


Due ragazzi si incontrano, sono giovani e poveri, ma si amano, e la vita sembra sorridere loro malgrado le difficoltà che il mondo intero, comprese le famiglie di entrambi, erige come alti muri invalicabili. Fuggono e decidono di vivere la libertà. Non sanno usare precauzioni per evitare una gravidanza. Lei rimane incinta, ed in fondo non le dispiace. Lui non se l’aspettava, non l’aveva previsto, non è pronto, è ancora giovane, vuole essere libero e non essere costretto a curare figli. Il giorno dopo aver avuto la notizia sparisce nel nulla, per sempre.

Dolores vive in periferia, l’ambiente è degradato, ma non come altri luoghi che ha conosciuto in precedenza. Anna, la figlia, tra poco compirà 15 anni, e lei desidera farle un bel regalo, quindi lavora ancora di più cucendo in casa montagne di abiti che le arrivano già tagliati e che lei deve confezionare sino ad etichettarli e metterli nelle buste col marchio della multinazionale che la paga.

Pablo lavora in una officina per automobili. Ripara e mette a punto motori, ma il lavoro non gli piace, gli serve solo per guadagnare denaro che gli permette di andare al bar o pagarsi le prostitute. Non ha amiche né amici. Le donne per lui non valgono nulla, sono solo un passatempo o, peggio, fonte di problemi. Già una aveva tentato di anni prima di farsi sposare con una scusa, e farsi mantenere senza fare nulla, ma non si è fatto impietosire, e l’ha mollata come meritava. E gli uomini sono tutti stronzi che tentano di fregarlo, esattamente come le donne; la differenza è che non vogliono farsi sposare, solo prendergli i soldi. Una sera beve un po’ più del solito, lo cacciano dal locale. Fuori insulta la persona sbagliata, e finisce la sua vita con un coltello piantato nel cuore.

La casa di appuntamenti sarebbe illegale, ma tutti la conoscono, e tra i clienti ci sono pure poliziotti. Vi lavorano prostitute che vengono da tutto il paese, anche diverse straniere. E ci sono non solo ragazze di professione, da qualche tempo, ma anche donne ancora belle o meno belle, spinte dalla necessità, spesso non più giovanissime, che si vergognano di quello che sono costrette a fare, e che cercano di mantenere il segreto sulla loro vera identità. Del resto tutte hanno nomi d’arte, per così dire, e il fatto che l’ultima che si è aggregata al gruppo si faccia chiamare Fulgencia non crea nessuna curiosità.

Anna frequenta la scuola superiore, diventerà una brava infermiera, è quello che vorrebbe fare, che le piace. Studia e ottiene ottimi risultati. Aiuta la madre, che vede sempre più appesantita dagli anni e vuole raggiungere quella sua meta anche per lei, per darle soddisfazione, perché sa che la madre ci tiene tantissimo.

Ersandez  arriva col pick-up come tutti martedì per caricare le confezioni finite e scaricare il lavoro per i successivi 7 giorni. Stavolta però non scarica nulla. Raccoglie tutta la merce, anche quella che Dolores non ha fatto in tempo a confezionare. Si scusa, ma dice che non ci sarà più lavoro e le lascia una generosa mancia, l’equivalente di quanto avrebbe guadagnato in un mese di lavoro duro. Lei tace, le parole le si gelano in gola e non escono.


Una ragazza al 7° mese di gravidanza deve lasciare la famiglia presso la quale aveva trovato lavoro. La pancia non la può più nascondere, e crea scandalo. Viene accolta in un convento ma è maltrattata dalle suore che la considerano una poco di buono. Le fanno pesare che è solo per il figlio che porta che merita la loro assistenza. Lei è colpevole di fronte a Dio, e non merita pietà.
Quando il bambino sarà nato, verrà dato in adozione, perché non può essere lasciato ad una depravata come lei, ma ha bisogno di una vera famiglia per crescere da buon cristiano.

Anna capisce che è capitato qualcosa di grave, quando torna a casa, ma la madre sorride, e le dice che semplicemente non lavorerà più a casa, perché non ha le macchine nuove che servono ora, ma dovrà recarsi nel laboratorio, e fare i turni, probabilmente quello notturno, visto che non ha bambini piccoli da accudire come molte altre operaie. Per il resto è molto vaga, e non spiega bene tutti i particolari del suo nuovo lavoro, ma sembra tranquilla, e per il momento Anna non insiste.


Fulgencia lavora nella casa di appuntamenti, che sarebbe meglio chiamare postribolo, e si crea poco a poco una clientela affezionata. È una puttana materna, disposta ad ascoltare, si avvicina alla solitudine di molti dei clienti della casa, la comprende perché ha vissuto il dolore, e non accusa inutilmente gli altri del suo destino. Quando qualcuno la chiama in modo volgare, ma senza volontà di offenderla, sorride, e sa che va bene così.


Il poliziotto gode fama di duro, e da quando ha perso la moglie e la figlia in un incidente stradale, ormai più di 8 anni prima, ha lottato per non lasciarsi andare, aiutato da tutti i parenti, e si è buttato sul lavoro. Da quel momento ha giurato di non voler più soffrire in quel modo per una perdita, ed ha evitato ogni possibile legame affettivo. Ha iniziato a frequentare la “Casa de Amor” un anno esatto dopo l’incidente, non in modo regolare, ma due o tre volte ogni mese. Per caso ha un incontro con Fulgencia, perché la ragazza che solitamente gli interessa quel giorno non c’è. Quasi non parlano, durante il rapporto violento che Miguel impone alla donna, ma lei non protesta, lo lascia fare, ed i loro occhi sembrano capirsi e dire molto più di quello che le bocche non saprebbero esprimere.

La ragazza partorisce in infermeria. Nasce una bambina, mentre lei si aspettava un maschietto. Le monache la battezzano col nome di Anna, e non la tolgono subito alla giovane madre, come le hanno promesso, perché deve allattarla, ma una famiglia tra poco sarà pronta ad accoglierla, e la ragazza si sente morire dentro.
Una settimana esatta dopo il parto, approfittando di quello che nel frattempo ha imparato sulle abitudini delle suore, poco prima dell’alba, all’inizio di una bellissima giornata di aprile, la giovane donna fugge con la figlia neonata e poche cose raccolte in fretta. Le ricerche che le religiose faranno scattare dopo poche ore non porteranno a nessun risultato. Il confine a pochi chilometri fa desistere la polizia dal già poco impegnativo tentativo di recuperare le fuggitive dopo soli due giorni.

Anna si diploma come la migliore del suo corso, e probabilmente riuscirà ad avere un posto nel convitto, manca solo qualche formalità, qualche certificato della famiglia e potrà, l’anno dopo, frequentare il corso-tirocinio da infermiera professionale.

Fulgencia viene aggredita da un cliente nuovo, un maniaco che pretende di ferirla per gioco con un coltello durante la prestazione. Lei protesta, si difende, tenta di chiamare aiuto.
La polizia, nelle indagini svolte dopo la sua morte, stabilisce che l’assassino ha infierito a lungo sul corpo, anche quando ormai privo di vita. Poi l’uomo avrebbe tentato la fuga, ma sarebbe stato bloccato quasi subito con gli abiti ancora sporchi di sangue.

Miguel non è un poliziotto qualunque, gode fama di duro e sa come muoversi negli ambienti che frequenta. È rispettato, e quando chiede qualche favore ai colleghi o ai superiori, cosa che in verità fa molto raramente, ottiene sempre quello che desidera, perché tutti sanno che non è mai per un vantaggio personale. Stavolta però è diverso, i motivi personali ci sono. Quello che lui non avrebbe mai voluto che succedesse è capitato ancora. Ora soffre per la perdita di una donna, una che qualcuno chiamava puttana, e che, anche se adesso lei non c’è più, ha ancora bisogno di lui.

I giornali locali ignorano del tutto l’omicidio avvenuto nella “Casa de Amor”, e questo, per la verità, con grande sollievo anche delle autorità locali e della proprietaria, ma riportano la notizia dell’arresto di un omicida, mentre non si sa nulla o quasi della vittima, e il fatto viene legato all’emigrazione clandestina ed alla delinquenza che sfrutta questo traffico.

Anna viene informata a casa, il mattino stesso, di un gravissimo incidente avvenuto poco oltre confine, in un laboratorio dove la madre lavorava con turni notturni. Dolores non ha sofferto quando è stata travolta dalla caduta di una pesante macchina. È morta sul colpo. Il corpo arriverà già chiuso nella bara, e non sarà possibile vederlo. L’assicurazione della ditta provvederà ad ogni spesa.
Inoltre, a lei, come figlia ed unica erede, verrà data come indennizzo una discreta somma, tale da permetterle di completare il corso-tirocinio e farla diventare infermiera professionale.

Anna è stravolta, distrutta, ha perso la madre.
Non sa, e forse non saprà mai, che ha trovato un padre segreto, in grado di difenderla, da quel momento in poi, dai pericoli che lui conosce molto bene.


                                                                                             Silvano C.©


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mercoledì 19 giugno 2013

finestre


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Sono le 7 di sera. Spegne le luci della stanza, prepara lo strumento sul treppiedi e lo punta. Di fianco, sul davanzale ha il quadernetto per i suoi appunti, un raccoglitore ad anelli con fogli multicolori a quadretti da 4 mm, un pennarello punta fine Pilot ed una microtorcia led.
Claudio è un metodico, introverso e timido per alcuni, serio nel suo lavoro in ferramenta, ma ancora precario, assunto per periodi brevi, e mai a tempo pieno. Ormai però, ad ogni scadenza, il suo capo lo riassume, perché sa trattare con i clienti, e, specialmente con i più prepotenti o rompiscatole sembra sparire, non reagire, smontando la carica aggressiva dell’interlocutore di turno e vendendo alla fine il prodotto che fa comodo alla ferramenta.

Da quando abita da solo, in quel miniappartamento, è rimasto affascinato dalle luci del condominio di fronte, oltre il grande viale che separa il suo palazzo  da quell’edificio di 8 piani, oltre il piano terra occupato da piccoli negozi ed attività commerciali.
Ha maturato così l’idea di guardare dentro quelle finestre cedendo ad una sua antica debolezza, anche se sarebbe più corretto definirla deviazione o peggio ancora.
Ha schematizzato sul raccoglitore quel palazzo, i suoi piani, con tre appartamenti per piano (a parte il piano terra, ovviamente). Dei 24 appartamenti, uno è sempre chiuso, 5 sono uffici o studi professionali, ed altri 6 raramente offrono qualcosa di interessante da vedere.

Ora il cannocchiale è puntato sul settimo piano, al centro. Guarda. La stanza è illuminata, ma non ci sono movimenti. Si sposta verso destra, poi ancora, sino a trovare una nuova sorgente di interesse. Vede una scrivania, o così gli sembra, un computer ed un uomo di mezza età che digita, vicino alla finestra. Sembra sorrida. Resta un po’ ad osservare, scrive poche parole su un foglio, poi continua la sua esplorazione. Il piano sul quale lui ha la migliore prospettiva è il quarto, praticamente all’altezza del suo appartamento. Ai piani alti lui arriva a vedere solo se succede qualcosa vicino alle finestre, per il resto intuisce semplicemente. I piani inferiori li vede meglio, ma spesso scorge solo i piedi dei vari inquilini. Una volta al secondo ha visto per qualche mese una donna che spesso stava in mutande in giro, ma ad una certo momento si è trasferita, ed ora l’appartamento sembra affittato ad un gruppo di studenti. Non vi succede più nulla di interessante.
Il tempo passa velocemente quando si mette alla sua postazione, ma raramente trova situazioni che veramente soddisfino la sua morbosità. La ragazza del quinto piano non è in casa, ed è un peccato. Della coppia che vive a nord del quarto piano pare presente solo lei, e continua a passare da una stanza all’altra, ma non vede molto, perché lei non ha acceso luci, e spesso sparisce nell’ombra. Verso le otto sposta  tutto, accende la luce e si decide a cenare.
Le donne lo impauriscono, davanti ad una ragazza balbetta e inizia a sudare. Le spia, vorrebbe coglierle nell’intimità, superare con la fantasia la distanza che lo separa da loro.

Il giorno dopo, al lavoro, è efficiente come sempre, ma poco prima dell’ora della chiusura il capo lo chiama nel suo piccolo ufficio.

Ora Claudio sente che il mondo gli è crollato addosso. Non ha risposto alle parole che ha udito. Non sa reagire al colpo, non ha riserve di energia anche per assorbire questo. Torna a casa alla solita ora, senza mutare il percorso abitudinario.
Sale a piedi ed entra nel suo appartamento. Si avvicina alla finestra, ma non desidera più illudersi di avvicinare chi resterà sempre lontanissima. Apre i vetri, si sporge e si lascia cadere nel vuoto.
                                                                                                          Silvano C.©   

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La stanza blu (Eleonora)


Informativa sulla privacy
In fondo a via Sant’Andrea in quegli anni abitava una giovane che conduceva vita ritirata, e che doveva provenire di sicuro da famiglia benestante, anche se pochi potevano vantare una conoscenza più che superficiale delle sue origini.

Eleonora Pazzi usciva di rado, con abiti austeri ma sempre molto eleganti, e, alla moda del tempo, usava cappellini con veletta che nascondevano le fattezze del suo volto ai più. La domenica andava alla messa che si teneva alle sette nella non lontana Santa Maria in Vado, accompagnata da una fantesca, ed era la sua maggior concessione alla vita pubblica del quartiere.
                                    
Il Collegio per Ragazze Orfane di Formignana, tenuto da madri di un ordine vicino alle Carmelitane, proteggeva una ventina circa di sfortunate, dai 12 ai 20 anni, che vi erano mantenute anche grazie alla generosità di alcuni benefattori, certi noti, come il Conte Venturini, ma per la maggioranza anonimi.

In Via della Concia, al numero 9, ogni mercoledì sera, per chi avesse fatto attenzione ai movimenti dei passanti ed agli ingressi furtivi, avrebbe notato che uomini ben vestiti e quasi sempre diversi, soli, entravano velocemente per la piccola porticina che si apriva subito a discreti colpi sul suo legno.
Dentro, a ricevere nell'ombra il visitatore, un omaccione corpulento, il viso segnato da una cicatrice, sorridente ed ossequioso, ma per nulla tranquillizzante. Dava la netta impressione di esser capace di memar la mani e di non aver paura di nulla.
La casa accoglieva incontri clandestini, si è già capito, ma un mistero fitto la circondava, ed era necessario appartenere ad un segreto e ristretto gruppo di persone per sapere quanto occorreva per esservi introdotti.

Nella piazzetta di lato a San Domenico in quegli ultimi mesi si notò stazionare una elegante vettura per l’intera notte tra il mercoledì e il giovedì. Al volante un impeccabile chauffeur, del tutto indifferente ai pochi curiosi che talvolta si avvicinavano.

A Formignana, nel Collegio, si conduceva una vita semplice, non da clausura ma sicuramente poco aperta al mondo. Le ragazze si istruivano, molto più di quanto normalmente si attendesse da giovani donne in quel periodo. Venivano seguite con amore dalle madri, educate alle arti della casa e della vita, nel rispetto della tradizione religiosa ma senza imposizione a quelle che dimostravano minor calore in tali pratiche. A tutte si cercava di dare un'occasione seria e controllata di inserimento nella società, trovando loro, in altre parole, un marito. In tutto questo non mirando tanto al censo o alla posizione, quanto piuttosto alla serietà della persona. E quasi tutte coloro che uscivano dal Collegio trovavano una loro via ben meno miserabile di quella che le avrebbe attese se abbandonate, da piccole, al loro destino.

Nella casa di via della Concia c’era una stanza segreta, una stanza blu, con drappi alle pareti di quel colore, con specchi e luci sapienti. V’era anche un falso specchio, che permetteva, ad un osservatore che avesse voluto rimanere segreto, di vedere quanto avveniva nella stanza. E a volte il visitatore effettivamente restava nell'ombra, seguendo così tale sua inclinazione di rimanere semplice spettatore.
Altre volte si palesava, in un secondo tempo. Oppure l’ospite, su sua richiesta, veniva immediatamente introdotto nella stanza blu e lì raggiunto, o atteso, dalla bella Claudina.

Una vettura viaggiava per tutto il giorno per le strade insicure della Lombardia e dell’Emilia per portare a Ferrara da Milano un aristocratico signore, poco più che trentenne, discendente di una antichissima e ricchissima famiglia di origini francesi. Stazionava una notte in città, ed il giorno dopo ripartiva, per il viaggio di ritorno.

Una bambina aveva subito violenza da parte di una persona che avrebbe dobuto proteggerla, uno zio. Il padre aveva sorpreso il fratello, l’aveva ucciso, ma ne era stato a sua volta ferito a morte. La madre non aveva retto al dolore ed alla vergogna, ed era morta a sua volta in pochi mesi di crepacuore. Il nonno materno, vedovo, aveva allora mandato la piccola in un Collegio del quale aveva avuto informazioni molto positive, rinunciando, per amore della giovanissima nipote ad educarla di persona per allontanarla dall’ambiente che avrebbe potuto farle ricordare il suo passato. Aveva poi amministrato con sapienza  i beni che sarebbero andati a lei, raggiunta la maggiore età.  Costei, infatti, al compimento dei 20 anni si trovò ricca e indipendente, sola al mondo (il nonno nel frattempo era passato a miglior vita), con un legame fortissimo di gratitudine con le madri che l’avevano accolta e fatta crescere, facendole quasi dimenticare le ragioni che l’avevano condotta da loro.

Claudina a volte si presentava completamente nuda, altre volte invece si denudava lentamente lasciandosi ammirare come più faceva piacere al suo ospite. Acconsentiva senza riserve ai desideri anche più strani, facendo intuire in questo suo fare non semplice condiscendenza, ma una vera partecipazione. Non fingeva, Claudina, ma provava gioia e partecipazione anche nella depravazione apparentemente più squallida.
Talvolta semplicemente danzava, offrendo il suo corpo senza veli allo sguardo dell’uomo che ospitava per quella notte. Altre volte si concedeva come una modella per un artista del colore, e le pose più lascive erano quelle che meno sembravano porle pensieri.  Accettava anche di essere toccata, senza far mistero del piacere che questo le procurava, e, ovviamente, offriva il suo corpo per ogni rapporto intimo, senza negare nulla.

La casa di via della Concia, quella dove si trovava la stanza blu, aveva una via di accesso segreta, che partiva da un androne anonimo posto quasi di fronte a Palazzo Bentivoglio e passava per un cortile interno e stretti corridoi. Attraverso quella via giungeva o ripartiva la giovane che si faceva chiamare Claudina, in ore sempre diverse, e conservando sino alla fine il mistero sulla sua vera identità.

Il giovane Andrea aveva saputo di quella donna in modo curioso, dalla confidenza di un suo ex compagno di studi, che l’aveva descritta bellissima e prima di ogni tipo di pudore.
Aveva insistito per avere particolari, aveva ottenuto non senza fatica indicazioni precise, ed era riuscito a fissare un incontro, al quale si era recato con un lungo viaggio, senza dir nulla delle sue intenzioni ai suoi genitori.

In fondo a via Sant’Andrea la bella Eleonora Pazzi viveva ormai da circa 10 anni, e nessuno dei vicini aveva avuto confidenza, pur trattando lei con cortesia ogni persona che incontrava. Il cortile interno della casa a due piani del resto le consentiva di vivere all’aperto, quando la stagione lo permetteva, ma sempre in modo molto riservato. Nessuno avrebbe potuto dire se lei fosse in casa o meno, visto che non era solita ricevere visite e considerato, cosa ben più importante, che pure quella casa aveva un ingresso secondario. Non proprio segreto, certo, ma sicuramente fuori dalla vista di molti, in una rientranza di via Scandiana.

Alcuni avvenimenti senza legame apparente si succedettero dopo circa 10 anni di permanenza di Eleonora a Ferrara:
La bella Pazzi abbandonò la sua casa di via Sant’Andrea con tutta la servitù, senza lasciare alcuna traccia dietro di sè. Nessuno seppe mai quale fosse divenuta la sua nuova dimora.
Andrea De Bois, a Milano, sposò nella piccola chiesa di Santa Maria della Consolazione la bellissima Isotta Gualtieri, alla presenza della famiglia di lui, di pochi altri invitati ed amici intimi.
Al Collegio di Formignana arrivò un documento notarile che trasferiva a quella benefica Istituzione la proprietà di due immobili situati nel vicino capoluogo ed una notevole somma depositata nella locale Cassa di Risparmio.
Nessuno riuscì più a vedere o ad avere notizie della misteriosa Claudina, che all'improvviso sparì per sempre da Ferrara.
Un corpulento portiere, col viso segnato da una vistosa cicatrice e dall'aspetto poco raccomandabile, prese servizio da un giorno all'altro a palazzo De Bois.

                                                                                                Silvano C.©


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domenica 16 giugno 2013

Proprietà delle 4 operazioni: L’addizione



L’addizione può avere due o più termini, che si chiamando addendi, sono interscambiabili tra loro, dal punto di vista matematico, ma nella vita di tutti i giorni hanno un ordine che devono rispettare. È poco educato ad esempio scavalcare in una fila alle Poste chi è arrivato prima di noi, invocando la proprietà commutativa, ed è per evitare questo genere di scortesie che si è introdotto il numerino per regolare le attese, in molti uffici. È la prima operazione che imparano i bambini, è la più naturale sin dai tempi antichi, è la più amata da strozzini ed usurai, da avari e dongiovanni. Per molti anni nella nostra vita ha connotati solo positivi, sino a quando, in una raccolta di figurine, mancano pochi pezzi alla sua conclusione, oppure quando si scopre, con stupore, che si possono sommare pure addendi col segno meno davanti. Sono i numeri relativi che ci aprono occhi e mente, che ci fanno capire come, nella vita, occorra mettere in conto anche il dolore e la mancanza, sino alla perdita di cose e persone.

L’addizione ha un risultato, la somma o totale. È una sintesi, un modo per far stare assieme, ma, anche questo risultato, nasconde una regola che si capisce col tempo. Si possono sommare solo elementi simili, che abbiano attinenza. Non si possono sommare chiodi e bottiglie. Non possiamo, in-somma, mettere assieme amici tra loro diversi, ad esempio. Ne ricaveremmo solo imbarazzi, non una macedonia di pere e fragole.

L’addizione ha un segno, il più. E cosa ci potrà mai essere di più positivo? È il segno della crescita, del miglioramento, della speranza illimitata, del boom, dell’accumulo e dell’ordine. Ordine, beninteso, che non accetta discussioni. In economia questa idea può trasformarsi in una maledizione, perché nulla è mai sufficiente, ci sarà sempre qualcosa di più conveniente. È il segno dell’insoddisfazione, della bulimia. È il segno che maggiormente  dimentica gli altri. È per questo che è un segno infantile, della giovinezza dell’uomo o dei popoli.

L’addizione gode di varie proprietà. Di una di queste,  la commutativa, ho già scritto. L’associativa si presta a far calcolo a mente veloce, aiuta a cogliere differenze e somiglianze, per iniziare a raggruppare ed a classificare, stimolando una spinta innata in molte persone dare giudizi. Talvolta pregiudizi. La proprietà dissociativa invece ti pone dei dubbi, ti fa crescere, ti fa riconsiderare quanto ti sembrava logico e pacifico per raggiungere una nuova visione, o consapevolezza. È la proprietà che emenda dai difetti l’addizione e il nostro ragionamento, e, cosa incredibile, non muta il risultato finale. Un filosofo quindi suggerirebbe, a questo punto, di diffidare un pò di quanti affermano cose giuste, ma di analizzare piuttosto chi siano questi, e come abbiano raggiunto tali conclusioni.

L’addizione ha un algoritmo primitivo, ed il pallottoliere è utilissimo per apprenderlo. Non è un’operazione da sottovalutare tuttavia. A tal proposito mi sono dimenticato dello zero, che gli antichi romani non conoscevano ancora, beati. Lo zero, come addendo, non muta la somma, è l’elemento neutro, tecnicamente. Ma provate, in un gruppo di lavoro, ad inserire una nullità, e verificate di persona se è vero quanto asserito, e cioè che tale nullità non sia di alcuna utilità. Il gruppo di lavoro difficilmente manterrà il suo standard nei risultati attesi, la somma, ma si innescheranno dinamiche che rallenteranno il gruppo, se la nullità non accetterà di contribuire, secondo le proprie capacità. 
Quindi, come sapevano i romani, meglio che nessuno si ritenga uno zero, o sia trattato da zero. Qualcuno mi suggerisce infatti che: "la società odierna tratta come "0" una gran parte di persone: diversamente abili, anziani, bambini..." ed io non posso che far mia questa giusta osservazione.

Chiedo infine venia se, da ferrarese, vi invito a cercare informazioni sull’addizione erculea. Non potete ignorare Biagio Rossetti, Ercole I d’Este e la "prima città moderna d'Europa ".



                                                                                                            Silvano C.© 

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sabato 15 giugno 2013

Mio padre, io ed Antonioni

Ho rivisto ultimamente due capolavori di un regista del quale sono indegno conterraneo, Michelangelo Antonioni, ed ho visitato a Ferrara, alcuni mesi fa, la mostra al Palazzo dei Diamanti a lui dedicata. La mostra mi ha restituito un esteta curioso del mondo, impegnato e criptico, che conosceva le cose e vedeva luoghi lontani. Un ingegno multiforme, riconosciuto e stimato.
Mio padre invece non lo conosce nessuno, non ha girato molto il mondo, è arrivato in Africa, ma vi è stato fatto prigioniero. Ha lavorato con umiltà e sacrificio, ha scelto allora una parte politica che ora è la mia. Non ha optato per l’incomunicabilità, e sicuramente è sottovalutato, come forse il regista è stato sopravvalutato.
Zabriskie Point e Blow - Up mi hanno riportato ad un tempo che avevo perso, dentro di me, in luoghi sconosciuti e che, ritrovati, appaiono mutati. A volte più piccoli e modesti, altre volte ancora grandi, ma irriconoscibili.
La scena finale della distruzione della villa nel deserto in Zabriskie Point, che è entrata nella storia del cinema, è emblematica per quello che ho capito poi e che cerco qui di spiegare. Mio padre non avrebbe mai fatto una cosa del genere, mio padre è stato da giovane un muratore, ha costruito, ha risparmiato per mettere da parte la sicurezza per la sua vecchiaia, per lasciare qualcosa a noi. Ha raccolto quello che trovava in giro prima che arrivasse la moda/necessità del riciclaggio e del riuso, non ha mai buttato nulla, non si è mai sognato di distruggere.
Quando in Blow – Up il protagonista tratta con tanta indifferenza un’auto lussuosissima, oppure Jane Birkin con l’amica distrugge quel rotolo di cartone da sfondo nello studio fotografico per poi rotolarsi nuda e giocare col fotografo mi è apparso chiaro perché né io né mio padre saremo mai grandi visionari e geniali produttori di opere simili.
Io avrei cercato soluzioni per non sprecare, il regista ha cercato soluzioni per liberare la sua arte.
Quando ho visto Blow – Up al cinema mi aveva colpito la sensualità estetica delle protagoniste femminili, in quel mondo rarefatto ed irraggiungibile di ricchezza e bellezza. Ora ho capito un motivo in più che mi spiega perché questo mondo resta per me irraggiungibile.

                                       
                                                                       Silvano C.©


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sassolini


Tanti anni fa, primo incarico a tempo determinato nella scuola, in Valsugana. Io, il signor professore, vivevo in affitto, pagato in nero, e mangiavo panini sulle sponde di un torrente un paio di giorni in settimana, quando avevo orario giornaliero suddiviso tra mattina e pomeriggio. Lui, il semplice droghiere, che mi vendeva i panini, aveva una bella casa in centro, un’auto lussuosa, e andava in ferie in paesi esotici. Il mio padrone di casa di allora, in seguito, è stato indagato dalla finanza per evasione fiscale nella gestione dei suoi tanti immobili, a Levico Terme.

Ad una fiera di sapori, a Rovereto, appena introdotto l’Euro, ho comprato alcuni dolcetti siciliani ad una piccola bancarella regionale. Solo arrivato a casa mi sono reso conto che li avevo pagati una fortuna, praticamente il doppio di quanto sulle prime avevo pensato. Quel venditore ha abusato della mia buona fede, della mia leggerezza e pure della mia stupidità. Da allora non ho mai più comprato cose in questo tipo di fiere o manifestazioni.

Un giorno ho dovuto chiamare un idraulico, emergenza, lo scarico della cucina si era intasato. Nessuno disponibile se non in tempi biblici. Avevo persino contattato una ditta di spurgo che sarebbe dovuta intervenire con un camion ed una motopompa a pressione. Alla fine ho trovato una persona disponibile, è venuta dopo un solo giorno, ha fatto il lavoro, e, a quel punto, mia moglie non se l’è sentita di chiedere fattura. Questo idraulico vive in una bellissima casa con terreno, sulla pendice del monte che vedo dalla cucina del mio appartamento. L’ho vista, quella casa, col binocolo, e mi è chiaro come la mantiene.

Ho preso un caffè, molti anni fa, ad Affi, vicino all’autostrada del Brennero.
Al banco l’ho pagato 1,10 euro.

Un rivenditore di tabacchi e giornali, da alcuni anni, ha trasformato la sua attività commerciale, puntando tutto su gioco, scommesse e slot. Attorno è un via vai di persone un po’ “particolari” ma lui gira con un SUV da 70mila euro. Non so com’è casa sua.

Un piccolo negozio vende abbigliamento adatto a persone di una certa età, merce di qualità, sicuramente, ma di prezzo quasi inavvicinabile, puntando sulla pigrizia della clientela affezionata ed attempata, che non vuole o non può cercare altrove.

Ora io mi chiedo. Se molti esercizi hanno chiuso o chiudono, è solo colpa del governo e della crisi, o, in parte, in una piccola parte, certo, non c’è pure un calcolo sbagliato di fondo, o una rapacità commerciale che, alla lunga, nessuno può accettare, neppure in tempi di vacche grasse?
                                    
                                                                                                  Silvano C.©


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giovedì 13 giugno 2013

Proprietà delle 4 operazioni: La divisione



La divisione ha due termini, dividendo e divisore, non sono interscambiabili, hanno un ordine gerarchico che devono rispettare. A volte si trova scritta o rappresentata come una frazione, ed allora è evidente chi sta sopra e chi sta sotto, anche se non ci si deve assolutamente far ingannare, a tal proposito, su chi realmente comandi (e qui ci vorrebbe una digressione sui rapporti di coppia, ma non mi azzardo). Qualcuno associa la divisione anche alle percentuali, e si diverte a far disegni e grafici a torta, ottimi da dividere in belle fette ad una festa tra amici. È una operazione inversa, e a qualcuno andava effettivamente di traverso a scuola. Tra le 4 operazioni è sicuramente la più difficile, ed ha una colpa: ha fatto odiare la matematica a generazioni di alunni, convinti, sbagliando, di essere negati.

La divisione ha un risultato, che però non sempre ha lo stesso nome per tutti. Qualcuno lo chiama quoziente, e capita come quando, dopo aver pagato ti restituiscono un po’ di soldi di resto. I meno fortunati lo chiamano quoto, perché dopo aver diviso non hanno nessun resto. In compenso, però, quando la divisione ha un quoto, è veramente più facile da eseguire, esattamente come dividere una bella pizza in due parti uguali.

La divisione ha vari segni, perché non si adatta a farsi limitare troppo. Già la dividono, che volete ancora da lei? 
La divisione gode di un paio di proprietà. Una è chiamata invariantiva, come nella sottrazione, e se non cambia nulla, è inutile approfondire. L’altra, detta distributiva, risulta utilissima per calcoli mnemonici veloci, ma scriverla è più lungo che applicarla, e quindi  mi astengo. Immagino senza rimpianti (anche se, sinceramente, dovreste averne).

La divisione evidentemente ha, come già avete sospettato, molti agganci alla vita reale.
Io la ritengo l’operazione di moda, abbastanza complessa da non apparire banale a tutti, ma sufficientemente subdola da nascondere meccanismi elementari che parlano alla pancia, o, se preferite, alla parte primitiva del nostro cervello, quello rettile, secondo alcuni.
Solo facendo uso della corteccia la divisione diviene uno strumento di analisi, serve a dividere un tema complesso in parti più semplici. Chi si limita ad essere rettile invece di analizzare con buon senso e capacità critiche, si ritrova ad usare la divisione come un’arma contro gli altri, per erigere steccati, muri, a dividere il noi da voi, l’io dal tu, i maschi dalle femmine, i bianchi dai neri, e via continuando, perché avete capito immagino.
Ed allora, usando in tal modo la divisione, qualcuno non capisce che sporcando inutilmente la strada, la spiaggia o il sentiero di montagna opera la divisione, la cesura, tra sé stesso e gli altri. Chi lotta per una buona causa diventa odioso se per farlo imbratta con scritte ed adesivi muri e luoghi pubblici, e divide il mondo tra chi è a favore e chi è contro, mentre nessuno potrà mai essere al 100% a favore o contro qualsiasi cosa (e, appunto, le percentuali sono un altro modo di vedere le divisioni).
Non dividiamoci, per favore, quando si tratta di essere solidali con i meno fortunati.
Gli evasori fiscali, i malavitosi e tutti coloro che fanno “operazioni” sporche dividono male le ricchezze del mondo, e sarebbero da bocciare in matematica, prima ancora che da denunciare.
                                                                                                                                          Silvano C.©


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mercoledì 12 giugno 2013

Proprietà delle 4 operazioni: La sottrazione


La sottrazione ha due termini, minuendo e sottraendo, non sono interscambiabili, hanno un ordine che devono rispettare…
La sottrazione ha un risultato, la differenza, che dice tante cose, è importante, aiuta a capire talvolta il senso delle cose, purché non abbia troppa importanza, altrimenti si pone come ostacolo al dialogo.
La sottrazione ha un segno, il meno. Erroneamente si intende come indice di negatività, ma è pura convenzione. I numeri tra loro hanno pari dignità, anche quelli negativi, ed integrano e completano il campo del reale. Essere negativi a volte è assolutamente positivo, quando ad esempio ci capita di esserlo in qualche indagine medica.
La sottrazione ha pure una proprietà, chiamata invariantiva, ma se non cambia nulla, è inutile approfondire.
Quello che mi interessa maggiormente è la sottrazione come idea, come operazione che si adatta più o meno a certe fasi della vita, o come astrazione applicata alla quotidianità.
Inutile dire che in questo momento la sento molto mia: sto riducendo molti contatti, quindi sottraggo, tolgo.
Ho accumulato, ad esempio, materiali ed esperienze, nel corso degli anni. Ora rimuovo, cerco l’essenziale, non dimentico, sicuramente non le persone, quello mi è impossibile, ma mi isolo. Mi tolgo in qualche misura dal mondo.
Cerco di focalizzare l’essenziale, sfoltire, astenermi. Non sono per nulla capito in questo minimalismo quasi ossessivo che talvolta assimilo alla fuga di un animale ferito, o alla ricerca di qualcosa dentro di me, ma che è visto come chiusura egoistica che ignora tutto e tutti. Forse, ancora di più, è il rifiuto per ciò che ho tentato e non sono riuscito a fare, o il tentativo ingenuo di emendarmi dagli errori.
La sottrazione, se il minuendo è minore del sottraendo, porta ad una situazione di pericolo, o di difficoltà. Sicuramente è un processo che non può durare all’infinito, e non so neppure se applico correttamente l’algoritmo.
                                                                                                                          Silvano C.©


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